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GIULIANA BALICE. EQUILIBRI INSTABILI a cura di Italo Tomassoni 14 gennaio – 1 aprile 2023 Fondazione Sabe per l’Arte Ravenna

Presidente Norberto Bezzi

Ufficio stampa Irene Guzman

Vicepresidente Mirella Saluzzo

Comunicazione Valentina Fabbri Andrea La Pietra

Comitato scientifico Francesco Tedeschi Claudio Marra Federica Muzzarelli Claudio Spadoni Gian Luca Tusini Direttore artistico Pasquale Fameli

Apparati a cura di Alice Boltri Fotografie Daniele Casadio Sante Castignani Progetto grafico Gasdevy Design ISBN © 2023 Danilo Montanari Editore

Con il patrocinio del Comune di Ravenna Assessorato alla Cultura Dipartimento di Beni Culturali, Università di Bologna, sede di Ravenna Accademia di Belle Arti di Ravenna

GIULIANA BALICE. EQUILIBRI INSTABILI a cura di Italo Tomassoni 14 gennaio – 1 aprile 2023 Fondazione Sabe per l’Arte Ravenna

Presidente Norberto Bezzi

Ufficio stampa Irene Guzman

Vicepresidente Mirella Saluzzo

Comunicazione Valentina Fabbri Andrea La Pietra

Comitato scientifico Francesco Tedeschi Claudio Marra Federica Muzzarelli Claudio Spadoni Gian Luca Tusini Direttore artistico Pasquale Fameli

Apparati a cura di Alice Boltri Fotografie Daniele Casadio Sante Castignani Progetto grafico Gasdevy Design ISBN © 2023 Danilo Montanari Editore

Con il patrocinio del Comune di Ravenna Assessorato alla Cultura Dipartimento di Beni Culturali, Università di Bologna, sede di Ravenna Accademia di Belle Arti di Ravenna

GIULIANA BALICE EQUILIBRI INSTABILI a cura di Italo Tomassoni

F O N D A Z I O N E S A B E P E R L' A R T E

D a n i l o M o n t a n a r i Ed i to re

GIULIANA BALICE EQUILIBRI INSTABILI a cura di Italo Tomassoni

F O N D A Z I O N E S A B E P E R L' A R T E

D a n i l o M o n t a n a r i Ed i to re

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La Fondazione Sabe per l’Arte intende porsi quale punto di riferimento per la promozione e la diffusione dell’arte contemporanea nella città di Ravenna attraverso mostre, incontri, proiezioni e altre attività culturali. Particolare attenzione è dedicata alla scultura, intesa come paradigma di una tensione espansiva tra la forma, il fruitore e l’ambiente. Il concetto di ‘scultura’ ha assunto ormai un’ampiezza tale da includere le pratiche dell’installazione e dell’intervento site-specific, contemplando anche la possibilità di collocarsi nelle dimensioni immateriali della fotografia, del video, della computergrafica e del suono. Attraverso una diversificata proposta culturale, la Fondazione si propone quindi di articolare una riflessione attorno a questi temi, coinvolgendo artisti, critici, teorici e studiosi attivi su tutto il territorio nazionale. Presieduta da Norberto Bezzi e da Mirella Saluzzo, la Fondazione si avvale della consulenza di un comitato scientifico coordinato da Francesco Tedeschi, docente di storia dell’arte contemporanea presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, e composto dai professori Claudio Marra, Federica Muzzarelli e Gian Luca Tusini dell’Università di Bologna, attivi rispettivamente nelle sedi di Bologna, Rimini e Ravenna, cui si aggiunge Claudio Spadoni, ex direttore del Museo d’Arte della città di Ravenna.

La direzione artistica è affidata invece a Pasquale Fameli, critico d’arte e studioso affiliato anch’egli all’ateneo bolognese. Oltre all’organizzazione di mostre ed eventi culturali, la Fondazione si dedica alla catalogazione delle opere di Mirella Saluzzo e alla costituzione di una biblioteca specializzata sulla scultura contemporanea, con particolare attenzione alla documentazione relativa agli artisti ospitati dalla Fondazione stessa. La Fondazione ha sede in via Giovanni Pascoli 31 a Ravenna, all’interno di un edificio ottocentesco completamente rimodernato. Sul cortile interno dell’edificio affaccia inoltre lo studio della stessa Saluzzo, che perpetua la vocazione creativa del luogo: nel corso del Novecento, infatti, lo stabile ha ospitato prima una falegnameria e successivamente una tipografia, costituendosi così da subito come luogo del “fare”. In anni più recenti, tuttavia, l’edificio ha acquisito anche la facoltà di “mostrare”: dal 2003 al 2015 ha ospitato infatti la Ninapì – Nesting Art Gallery, spazio culturale underground che ha esposto per anni le opere di numerosi giovani artisti italiani e internazionali. Oggi, con l’apertura della Fondazione Sabe per l’Arte, il “fare” e il “mostrare” si intrecciano in un’unica realtà dinamica e polimorfa, volta a modellarsi sulle forme del presente.

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La Fondazione Sabe per l’Arte intende porsi quale punto di riferimento per la promozione e la diffusione dell’arte contemporanea nella città di Ravenna attraverso mostre, incontri, proiezioni e altre attività culturali. Particolare attenzione è dedicata alla scultura, intesa come paradigma di una tensione espansiva tra la forma, il fruitore e l’ambiente. Il concetto di ‘scultura’ ha assunto ormai un’ampiezza tale da includere le pratiche dell’installazione e dell’intervento site-specific, contemplando anche la possibilità di collocarsi nelle dimensioni immateriali della fotografia, del video, della computergrafica e del suono. Attraverso una diversificata proposta culturale, la Fondazione si propone quindi di articolare una riflessione attorno a questi temi, coinvolgendo artisti, critici, teorici e studiosi attivi su tutto il territorio nazionale. Presieduta da Norberto Bezzi e da Mirella Saluzzo, la Fondazione si avvale della consulenza di un comitato scientifico coordinato da Francesco Tedeschi, docente di storia dell’arte contemporanea presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, e composto dai professori Claudio Marra, Federica Muzzarelli e Gian Luca Tusini dell’Università di Bologna, attivi rispettivamente nelle sedi di Bologna, Rimini e Ravenna, cui si aggiunge Claudio Spadoni, ex direttore del Museo d’Arte della città di Ravenna.

La direzione artistica è affidata invece a Pasquale Fameli, critico d’arte e studioso affiliato anch’egli all’ateneo bolognese. Oltre all’organizzazione di mostre ed eventi culturali, la Fondazione si dedica alla catalogazione delle opere di Mirella Saluzzo e alla costituzione di una biblioteca specializzata sulla scultura contemporanea, con particolare attenzione alla documentazione relativa agli artisti ospitati dalla Fondazione stessa. La Fondazione ha sede in via Giovanni Pascoli 31 a Ravenna, all’interno di un edificio ottocentesco completamente rimodernato. Sul cortile interno dell’edificio affaccia inoltre lo studio della stessa Saluzzo, che perpetua la vocazione creativa del luogo: nel corso del Novecento, infatti, lo stabile ha ospitato prima una falegnameria e successivamente una tipografia, costituendosi così da subito come luogo del “fare”. In anni più recenti, tuttavia, l’edificio ha acquisito anche la facoltà di “mostrare”: dal 2003 al 2015 ha ospitato infatti la Ninapì – Nesting Art Gallery, spazio culturale underground che ha esposto per anni le opere di numerosi giovani artisti italiani e internazionali. Oggi, con l’apertura della Fondazione Sabe per l’Arte, il “fare” e il “mostrare” si intrecciano in un’unica realtà dinamica e polimorfa, volta a modellarsi sulle forme del presente.

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È possibile parlare di un caso Giuliana Balice? Questa domanda è legittimata dalla circostanza che solo oggi il suo lavoro si ripropone all’attenzione del pubblico e della critica dopo oltre dieci anni di assoluto silenzio. Infatti, quella di Giuliana Balice è una vicenda sulla quale è calata un’inspiegabile disattenzione nonostante la sua attività sia rimasta costantemente alimentata e sempre segnata da una straordinaria qualità tecnica e progettuale. È dunque grave che l’attenzione della critica sul suo lavoro sia rimasta assente dai primi anni Duemila. Avevo conosciuto l’opera di Giuliana Balice dal tempo di una sua mostra personale a Firenze nel 1969. Successivamente ne avevo approfondito lo studio, insieme a Gillo Dorfles, in occasione della presentazione di una monografia sull’artista di Guido Montana a Milano nel 1974. Poi silenzio fino al 2015, quando Giuliana mi chiese di visitare il suo atelier. Rimasi colpito dalla ricchezza della sua produzione, talmente complessa, coerente, rigorosa e, soprattutto, distante dall’Arte Programmata e “Aperta” degli anni Sessanta, da farmi pensare che fosse davvero un dovere culturale rileggere e riproporre quel corpus con iniziative critiche che andassero al di là dell’occasione estemporanea della curatela di una mostra o di un testo critico per una presentazione in catalogo. Ho quindi ritenuto che fosse utile, anzitutto, ricostruire in termini organici tutto il profilo del lavoro con una monografia che ripercorresse e attraversasse l’intero arco della ricerca dell’artista dagli anni napoletani dell’Accademia alla produzione milanese matura e tarda, fino a oggi. La monografia, per i tipi di Skira, ha visto la luce a dicembre 2021, con un esauriente corredo fotografico, e un accuratissimo repertorio di schede, documenti e apparati biobibliografici (a cura di Davide Dall’Ombra e Alice Boltri).

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È possibile parlare di un caso Giuliana Balice? Questa domanda è legittimata dalla circostanza che solo oggi il suo lavoro si ripropone all’attenzione del pubblico e della critica dopo oltre dieci anni di assoluto silenzio. Infatti, quella di Giuliana Balice è una vicenda sulla quale è calata un’inspiegabile disattenzione nonostante la sua attività sia rimasta costantemente alimentata e sempre segnata da una straordinaria qualità tecnica e progettuale. È dunque grave che l’attenzione della critica sul suo lavoro sia rimasta assente dai primi anni Duemila. Avevo conosciuto l’opera di Giuliana Balice dal tempo di una sua mostra personale a Firenze nel 1969. Successivamente ne avevo approfondito lo studio, insieme a Gillo Dorfles, in occasione della presentazione di una monografia sull’artista di Guido Montana a Milano nel 1974. Poi silenzio fino al 2015, quando Giuliana mi chiese di visitare il suo atelier. Rimasi colpito dalla ricchezza della sua produzione, talmente complessa, coerente, rigorosa e, soprattutto, distante dall’Arte Programmata e “Aperta” degli anni Sessanta, da farmi pensare che fosse davvero un dovere culturale rileggere e riproporre quel corpus con iniziative critiche che andassero al di là dell’occasione estemporanea della curatela di una mostra o di un testo critico per una presentazione in catalogo. Ho quindi ritenuto che fosse utile, anzitutto, ricostruire in termini organici tutto il profilo del lavoro con una monografia che ripercorresse e attraversasse l’intero arco della ricerca dell’artista dagli anni napoletani dell’Accademia alla produzione milanese matura e tarda, fino a oggi. La monografia, per i tipi di Skira, ha visto la luce a dicembre 2021, con un esauriente corredo fotografico, e un accuratissimo repertorio di schede, documenti e apparati biobibliografici (a cura di Davide Dall’Ombra e Alice Boltri).

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Il volume, licenziato con il titolo Una geometria inquieta, costituisce un punto fermo nel lavoro di indagine critica; e, in quanto dotato dello statuto ontologico dei dati, è destinato a riaprire il caso di questa artista, oggi presentata con una selezione di sculture nella struttura espositiva della Fondazione Sabe per l’arte di Ravenna. Con il concorso del presidente del comitato scientifico della Fondazione, Francesco Tedeschi, e del direttore artistico, Pasquale Fameli, sono state selezionate opere che documentano un percorso condotto con estrema coerenza formale dalla fine degli anni Sessanta agli anni Dieci del Duemila. L’eccellente lavoro di allestimento della mostra, dovuto alla direzione di Fameli, completa la ricognizione di un profilo artistico che mette in luce una presenza non certo marginale di una poetica analitica della scultura italiana di fine secolo. Quanto al significato culturale di questa mostra, occorre partire dal confronto dell’opera di Giuliana Balice con il contesto degli anni Sessanta quando la giovane artista, lasciando dietro di sé una pregevole produzione figurativa maturata nel corso del suo alunnato accademico a Napoli, sua città natale, si stabilisce definitivamente a Milano. Va ricordato che nella produzione giovanile napoletana, assume rilievo sintomatico una stilizzazione della forma che, al di là delle regole dell’accademismo, accentua l’importanza di componenti geometriche che scandiscono le composizioni sia nella figura che nel paesaggio; componenti che è giusto evidenziare perché fanno presagire gli sviluppi futuri della sua ricerca. E infatti una vera e propria rivelazione della raggiunta maturità linguistica di Giuliana Balice si manifesta a Milano nel 1962, quando l’artista realizza una serie di opere grafiche che intitola Lampi geometrici. Queste opere si pongono come una effettiva illuminazione del ruolo centrale che la geometria, da allora, avrebbe svolto in tutto il successivo sviluppo del suo immaginario. Il paradigma geometrico diventa infatti per Giuliana Balice una linea guida che si articola lungo

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una duplice direzione. Da un lato rappresenta un terreno di indagine per approfondire la natura apriori (tautologia) del mezzo espressivo; dall’altro crea le condizioni per aprirsi potenzialmente allo spazio esterno predisponendosi a collegamenti puntuali con l’ambiente. A confronto diretto con le ricerche artistiche condotte a Milano in quegli anni, Giuliana Balice comprende che può diventare interprete di un modo personale e originale di indagare e sviluppare, attraverso la geometria, il rapporto tra il mistero della forma e il mondo. Traduce i bagliori geometrici in entità fisiche, concrete, trasferendo dalla superficie bidimensionale della carta le forme di più evoluti linguaggi plastici. Due opere del 1969 presenti in mostra, Bianco Verticale e Fluttuante, documentano con chiarezza i primi esiti di questa visione operativa che inaugura una carriera destinata a proseguire con grande rigore, fino a toccare i vertici formali di capolavori come Delfica (1990) o Equilibrio instabile (2001), opera, quest’ultima, della tarda maturità che dà il titolo a questa mostra e che fa parte di una serie che affronta monograficamente questa tematica che segna la sensibilità percettiva dell’artista. Gli anni in cui Giuliana Balice inizia a lavorare sul modulo geometrico sono anni cruciali per la storia dell’arte contemporanea non solo italiana. A metà degli anni Sessanta, infatti, la ricerca estetica acuisce la polarità concentrazionedispersione della ricerca che aveva già caratterizzato il clima sperimentale delle avanguardie storiche: la concentrazione dell’arte sulla riflessione delle sue intrinseche componenti; e la dispersione della sua oggettività nel flusso costante della vita e del mondo. Negli anni Sessanta questa polarità riemerge e si acuisce. Alla ricerca affannosa di un superamento dell’Informale (la poetica che aveva registrato e documentato la tragedia della Seconda Guerra Mondiale e il dubbio esistenziale dell’artista), gli artisti si impegnano a ritrovare una ragione di vita in una

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Il volume, licenziato con il titolo Una geometria inquieta, costituisce un punto fermo nel lavoro di indagine critica; e, in quanto dotato dello statuto ontologico dei dati, è destinato a riaprire il caso di questa artista, oggi presentata con una selezione di sculture nella struttura espositiva della Fondazione Sabe per l’arte di Ravenna. Con il concorso del presidente del comitato scientifico della Fondazione, Francesco Tedeschi, e del direttore artistico, Pasquale Fameli, sono state selezionate opere che documentano un percorso condotto con estrema coerenza formale dalla fine degli anni Sessanta agli anni Dieci del Duemila. L’eccellente lavoro di allestimento della mostra, dovuto alla direzione di Fameli, completa la ricognizione di un profilo artistico che mette in luce una presenza non certo marginale di una poetica analitica della scultura italiana di fine secolo. Quanto al significato culturale di questa mostra, occorre partire dal confronto dell’opera di Giuliana Balice con il contesto degli anni Sessanta quando la giovane artista, lasciando dietro di sé una pregevole produzione figurativa maturata nel corso del suo alunnato accademico a Napoli, sua città natale, si stabilisce definitivamente a Milano. Va ricordato che nella produzione giovanile napoletana, assume rilievo sintomatico una stilizzazione della forma che, al di là delle regole dell’accademismo, accentua l’importanza di componenti geometriche che scandiscono le composizioni sia nella figura che nel paesaggio; componenti che è giusto evidenziare perché fanno presagire gli sviluppi futuri della sua ricerca. E infatti una vera e propria rivelazione della raggiunta maturità linguistica di Giuliana Balice si manifesta a Milano nel 1962, quando l’artista realizza una serie di opere grafiche che intitola Lampi geometrici. Queste opere si pongono come una effettiva illuminazione del ruolo centrale che la geometria, da allora, avrebbe svolto in tutto il successivo sviluppo del suo immaginario. Il paradigma geometrico diventa infatti per Giuliana Balice una linea guida che si articola lungo

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una duplice direzione. Da un lato rappresenta un terreno di indagine per approfondire la natura apriori (tautologia) del mezzo espressivo; dall’altro crea le condizioni per aprirsi potenzialmente allo spazio esterno predisponendosi a collegamenti puntuali con l’ambiente. A confronto diretto con le ricerche artistiche condotte a Milano in quegli anni, Giuliana Balice comprende che può diventare interprete di un modo personale e originale di indagare e sviluppare, attraverso la geometria, il rapporto tra il mistero della forma e il mondo. Traduce i bagliori geometrici in entità fisiche, concrete, trasferendo dalla superficie bidimensionale della carta le forme di più evoluti linguaggi plastici. Due opere del 1969 presenti in mostra, Bianco Verticale e Fluttuante, documentano con chiarezza i primi esiti di questa visione operativa che inaugura una carriera destinata a proseguire con grande rigore, fino a toccare i vertici formali di capolavori come Delfica (1990) o Equilibrio instabile (2001), opera, quest’ultima, della tarda maturità che dà il titolo a questa mostra e che fa parte di una serie che affronta monograficamente questa tematica che segna la sensibilità percettiva dell’artista. Gli anni in cui Giuliana Balice inizia a lavorare sul modulo geometrico sono anni cruciali per la storia dell’arte contemporanea non solo italiana. A metà degli anni Sessanta, infatti, la ricerca estetica acuisce la polarità concentrazionedispersione della ricerca che aveva già caratterizzato il clima sperimentale delle avanguardie storiche: la concentrazione dell’arte sulla riflessione delle sue intrinseche componenti; e la dispersione della sua oggettività nel flusso costante della vita e del mondo. Negli anni Sessanta questa polarità riemerge e si acuisce. Alla ricerca affannosa di un superamento dell’Informale (la poetica che aveva registrato e documentato la tragedia della Seconda Guerra Mondiale e il dubbio esistenziale dell’artista), gli artisti si impegnano a ritrovare una ragione di vita in una

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progettualità sociale che darà luogo all’Arte Cinetica, all’Arte Programmata, alla ricerca Gestaltica; o, parallelamente, ad approfondire lo statuto intrinseco dell’opera d’arte e valutarne la portata creativa (Arte Concettuale, Arte astratto-concreta, Minimalismo, Pittura-Pittura, Support/Surface). Mentre Umberto Eco teorizza il concetto di ‘opera aperta’ (1962) che implica la partecipazione del fruitore al compimento dell’opera; e mentre, nel 1967 Giuseppe Marchiori ordina a Foligno una mostra destinata a fare storia, Lo spazio dell’immagine, in cui l’opera esce dalla cornice, invade lo spazio e cerca fuori di sé il suo complemento materiale; Giuliana Balice si raccoglie in se stessa, incrementa il momento più intenso e autoriflessivo della sua personale ed inquieta ricerca. In un noto saggio teorico, Tra presenza e assenza. Due ipotesi per l’età postmoderna, Renato Barilli formalizza molto bene la dicotomia che caratterizza tutta l’arte europea del secondo Novecento, tesa, per un verso, alla apertura al sociale, partecipativa e vitalistica (la presenza); e, per un altro, a continuare la linea purista della tradizione razionalista di Suprematismo, De Stijl, Neoplasticismo fino all’Arte Concettuale. Nel contesto dello scenario coevo, il lavoro di Giuliana Balice brilla per la sua autonomia e per il suo individualismo: non è privo di significato il fatto che il Gruppo T di Milano, il Gruppo N di Padova e gli altri “Gruppi” internazionali (il Gruppo Zero di Düsseldorf, le Groupe de Recherche d’Art Visuel di Parigi e i “Gruppi” sviluppatisi in Spagna e in America Latina) intendono annullare il contributo individuale sostenendo la necessità di un’arte che sia il prodotto di un approccio produttivo anonimo, anche in sintonia con le logiche industriali; e che, su un altro versante successivo al Sessantotto, l’arte prenderà la via dichiarata dell’impegno politico mediante la registrazione dei propri processi di intervento sulla realtà. Balice non appartiene a nessuno di questi orientamenti: mantiene, semmai, rapporti tangenziali (per esempio con

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Grazia Varisco, celebre cofondatrice del Gruppo T di Milano); ma non chiede di arruolarsi alle logiche di gruppo, che sono per l’appunto logiche collettive e superindividuali. La sua rimane un’esperienza isolata che si esprime secondo una lingua che questa mostra documenta sinteticamente nei suoi più significativi snodi formali. Con queste opere, Giuliana Balice celebra l’autonomia dell’opera e dell’arte. Oltre ogni eteronomia, rivendica il valore assoluto dell’opera eludendo qualsiasi dilatazione sociologica o allusione metaforica. Si lega al rispetto della logica delle sue realizzazioni e ripropone ogni volta la riflessione sulla ontologia del fare arte. Con queste direttive la ricerca di Giuliana Balice, sia pittorica che plastica, è costantemente sorretta da tutta una severa attività di progettazione grafica che satura la pagina e funge quasi da radiografia assonometrica dei volumi delle opere. È animata dalla convinzione che la coscienza dell’atto creativo non sia separabile dall’oggetto artistico e che tale oggetto esiste indipendentemente dalle categorie dello spazio e del tempo che definiscono l’oggetto naturale o storico. Siamo quindi in presenza di una vera e propria ‘poetica analitica’ della scultura contemporanea, espressione di una creatività che, tanto in scultura quanto in pittura, non preesiste alle forme ma si attua con esse, lungo un percorso che trova giustificazione nell’attualità del suo rivelarsi. Questo complesso di peculiarità può certamente definirsi un unicum nel panorama artistico italiano di fine secolo. Ed è proprio questa unicità il fattore che forse spiega anche il mancato ingresso dell’artista nei meccanismi di quello che è stato definito (con un termine scarsamente inerente), il ‘sistema’ dell’arte: perché, pur essendo stata sostenuta da critici autorevoli e da gallerie reputate; e pur avendo ricevuto inviti in contesti espositivi prestigiosi, la sua arte non è mai emersa nei termini che consentissero di evidenziarne il valore e valutarne la differenza rispetto a poetiche coeve. Giuliana Balice ha puntato tutto sull’opera come un dato di

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progettualità sociale che darà luogo all’Arte Cinetica, all’Arte Programmata, alla ricerca Gestaltica; o, parallelamente, ad approfondire lo statuto intrinseco dell’opera d’arte e valutarne la portata creativa (Arte Concettuale, Arte astratto-concreta, Minimalismo, Pittura-Pittura, Support/Surface). Mentre Umberto Eco teorizza il concetto di ‘opera aperta’ (1962) che implica la partecipazione del fruitore al compimento dell’opera; e mentre, nel 1967 Giuseppe Marchiori ordina a Foligno una mostra destinata a fare storia, Lo spazio dell’immagine, in cui l’opera esce dalla cornice, invade lo spazio e cerca fuori di sé il suo complemento materiale; Giuliana Balice si raccoglie in se stessa, incrementa il momento più intenso e autoriflessivo della sua personale ed inquieta ricerca. In un noto saggio teorico, Tra presenza e assenza. Due ipotesi per l’età postmoderna, Renato Barilli formalizza molto bene la dicotomia che caratterizza tutta l’arte europea del secondo Novecento, tesa, per un verso, alla apertura al sociale, partecipativa e vitalistica (la presenza); e, per un altro, a continuare la linea purista della tradizione razionalista di Suprematismo, De Stijl, Neoplasticismo fino all’Arte Concettuale. Nel contesto dello scenario coevo, il lavoro di Giuliana Balice brilla per la sua autonomia e per il suo individualismo: non è privo di significato il fatto che il Gruppo T di Milano, il Gruppo N di Padova e gli altri “Gruppi” internazionali (il Gruppo Zero di Düsseldorf, le Groupe de Recherche d’Art Visuel di Parigi e i “Gruppi” sviluppatisi in Spagna e in America Latina) intendono annullare il contributo individuale sostenendo la necessità di un’arte che sia il prodotto di un approccio produttivo anonimo, anche in sintonia con le logiche industriali; e che, su un altro versante successivo al Sessantotto, l’arte prenderà la via dichiarata dell’impegno politico mediante la registrazione dei propri processi di intervento sulla realtà. Balice non appartiene a nessuno di questi orientamenti: mantiene, semmai, rapporti tangenziali (per esempio con

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Grazia Varisco, celebre cofondatrice del Gruppo T di Milano); ma non chiede di arruolarsi alle logiche di gruppo, che sono per l’appunto logiche collettive e superindividuali. La sua rimane un’esperienza isolata che si esprime secondo una lingua che questa mostra documenta sinteticamente nei suoi più significativi snodi formali. Con queste opere, Giuliana Balice celebra l’autonomia dell’opera e dell’arte. Oltre ogni eteronomia, rivendica il valore assoluto dell’opera eludendo qualsiasi dilatazione sociologica o allusione metaforica. Si lega al rispetto della logica delle sue realizzazioni e ripropone ogni volta la riflessione sulla ontologia del fare arte. Con queste direttive la ricerca di Giuliana Balice, sia pittorica che plastica, è costantemente sorretta da tutta una severa attività di progettazione grafica che satura la pagina e funge quasi da radiografia assonometrica dei volumi delle opere. È animata dalla convinzione che la coscienza dell’atto creativo non sia separabile dall’oggetto artistico e che tale oggetto esiste indipendentemente dalle categorie dello spazio e del tempo che definiscono l’oggetto naturale o storico. Siamo quindi in presenza di una vera e propria ‘poetica analitica’ della scultura contemporanea, espressione di una creatività che, tanto in scultura quanto in pittura, non preesiste alle forme ma si attua con esse, lungo un percorso che trova giustificazione nell’attualità del suo rivelarsi. Questo complesso di peculiarità può certamente definirsi un unicum nel panorama artistico italiano di fine secolo. Ed è proprio questa unicità il fattore che forse spiega anche il mancato ingresso dell’artista nei meccanismi di quello che è stato definito (con un termine scarsamente inerente), il ‘sistema’ dell’arte: perché, pur essendo stata sostenuta da critici autorevoli e da gallerie reputate; e pur avendo ricevuto inviti in contesti espositivi prestigiosi, la sua arte non è mai emersa nei termini che consentissero di evidenziarne il valore e valutarne la differenza rispetto a poetiche coeve. Giuliana Balice ha puntato tutto sull’opera come un dato di

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realtà nei termini descritti da Martin Heidegger (L’origine dell’opera d’arte, 1936) il quale scriveva che la scultura è una realtà perché fa i conti con la realtà in quanto oggettiva e quindi chiamata ad affrontare la realtà del mondo che la contiene. Queste, in estrema sintesi, le ragioni per le quali si può parlare di un caso Giuliana Balice. Caso che la Fondazione Sabe per l’arte di Ravenna pone all’attenzione del suo pubblico nella fondata convinzione che questa mostra sia soltanto l’inizio di una riscoperta sistematica dei valori di un’artista le cui inquietudini sono ancora capaci di sorprendere. — Italo Tomassoni

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realtà nei termini descritti da Martin Heidegger (L’origine dell’opera d’arte, 1936) il quale scriveva che la scultura è una realtà perché fa i conti con la realtà in quanto oggettiva e quindi chiamata ad affrontare la realtà del mondo che la contiene. Queste, in estrema sintesi, le ragioni per le quali si può parlare di un caso Giuliana Balice. Caso che la Fondazione Sabe per l’arte di Ravenna pone all’attenzione del suo pubblico nella fondata convinzione che questa mostra sia soltanto l’inizio di una riscoperta sistematica dei valori di un’artista le cui inquietudini sono ancora capaci di sorprendere. — Italo Tomassoni

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1 - Torre anomala, 1972. Legno verniciato (plastico del progetto), 31 x 31 x 15 cm 2 - Delfica, 1990. Tondino di acciaio e legno verniciati, 200 x 120 x 35 cm 3 - Senza titolo, 1971. Metacrilato trasparente e metacrilato nero opaco, 30 x 30 x 30 cm 4 - Piani acuti, 1969-72. Legno verniciato, 20 x 7 x 7 cm 5 - Polluce, 2005. Polistirolo espanso rivestito (plastico del progetto), 36 x 10 x 6 cm 6 - Studio per Eccentrico, 2004. Legno verniciato, 63 x 29 x 6 cm 7 - Prismi argentei, 2007. Acciaio e legno verniciato, 25 x 58 x 30 cm 8 - Equilibrio instabile – Una torre per Olimpia, 2001. Legno verniciato (plastico del progetto), 50 x 15 x 9 cm 9 - Due grigi si incontrano, 1993. Legno verniciato, 60 x 60 x 120 cm 10 - Due ori si incontrano, 1993. Legno verniciato (bozzetto), 20 x 7 x 7 cm 11 - Dal triangolo, 2011. Acciaio e metacrilato, 34 x 25 x 13 cm 12 - Intervento sul paesaggio n. 898, 1995. Legno e rete di acciaio (plastico del progetto), 30 x 24 x 10 cm 13 - Allunaggio di un prisma, 2005. Acciaio verniciato (plastico del progetto), 30 x 30 x 15 cm 14 - Raccordi continui, 1976. Acciaio satinato, 23 x 41 x 6 cm 15 - Bianco verticale, 1969. Legno verniciato, 100 x 30 x 6 cm 16 - Fluttuante, 1969. Legno verniciato, 88 x 60,5 x 16 cm

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1 - Torre anomala, 1972. Legno verniciato (plastico del progetto), 31 x 31 x 15 cm 2 - Delfica, 1990. Tondino di acciaio e legno verniciati, 200 x 120 x 35 cm 3 - Senza titolo, 1971. Metacrilato trasparente e metacrilato nero opaco, 30 x 30 x 30 cm 4 - Piani acuti, 1969-72. Legno verniciato, 20 x 7 x 7 cm 5 - Polluce, 2005. Polistirolo espanso rivestito (plastico del progetto), 36 x 10 x 6 cm 6 - Studio per Eccentrico, 2004. Legno verniciato, 63 x 29 x 6 cm 7 - Prismi argentei, 2007. Acciaio e legno verniciato, 25 x 58 x 30 cm 8 - Equilibrio instabile – Una torre per Olimpia, 2001. Legno verniciato (plastico del progetto), 50 x 15 x 9 cm 9 - Due grigi si incontrano, 1993. Legno verniciato, 60 x 60 x 120 cm 10 - Due ori si incontrano, 1993. Legno verniciato (bozzetto), 20 x 7 x 7 cm 11 - Dal triangolo, 2011. Acciaio e metacrilato, 34 x 25 x 13 cm 12 - Intervento sul paesaggio n. 898, 1995. Legno e rete di acciaio (plastico del progetto), 30 x 24 x 10 cm 13 - Allunaggio di un prisma, 2005. Acciaio verniciato (plastico del progetto), 30 x 30 x 15 cm 14 - Raccordi continui, 1976. Acciaio satinato, 23 x 41 x 6 cm 15 - Bianco verticale, 1969. Legno verniciato, 100 x 30 x 6 cm 16 - Fluttuante, 1969. Legno verniciato, 88 x 60,5 x 16 cm

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GIULIANA BALICE (Napoli, 1931) vive e lavora a Milano sin dagli anni Cinquanta. È cresciuta a Napoli, dove ha frequentato l’Accademia di Belle Arti. Negli anni Cinquanta l’artista tiene la sua prima mostra personale presso la Galleria Numero di Milano, presentata da Lara Vinca Masini. Alla fine degli anni Sessanta inizia a sperimentare la tridimensionalità e l’utilizzo di materiali industriali. Da allora la sua opera si incentra sull’astrazione geometrica e affonda le sue radici nelle esperienze del Costruttivismo russo, del movimento De Stijl e dell’Arte Concreta. Il suo lavoro ha ottenuto numerosi riconoscimenti anche nel campo del design: sulla scia del Costruttivismo, l’artista ha operato anche al servizio dei bisogni sociali e della produzione industriale. Ha tenuto varie mostre personali in Italia e all’estero. Nei primi anni Ottanta ha allestito un ambiente praticabile presso una fermata della metropolitana di Milano inteso come intervento sul rapporto tra arte e spazio pubblico. Tra i critici che si sono occupati del suo lavoro si ricordano Gillo Dorfles, Vittorio Fagone, Lorenza Trucchi e Alberto Veca. — Balice has lived and worked in Milan since the 1950s. She grew up in Naples, where she attended the Accademia di Belle Arti. In the 1950s, she held her first solo exhibition at the Galleria Numero in Milan, curated by Lara Vinca Masini. At the end of the 1960s, she began to experiment with three-dimensionality and the use of industrial materials. From then on, her work has focused on forms of geometric abstraction and has been inspired by Russian Constructivism, De Stijl, and Concrete Art. Her work has earned her great recognition, including in the realm of design: in a Constructivist vein, she has lent her art to the service of social needs and industrial production. She has held several solo exhibitions in Italy and elsewhere. In the early 1980s, she installed an inhabitable "environment" at a metro stop in Milan, intended as an intervention aimed at the relationship between art and public space. The critics who have devoted writing to her work include Gillo Dorfles, Vittorio Fagone, Lorenza Trucchi, and Alberto Veca.

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GIULIANA BALICE (Napoli, 1931) vive e lavora a Milano sin dagli anni Cinquanta. È cresciuta a Napoli, dove ha frequentato l’Accademia di Belle Arti. Negli anni Cinquanta l’artista tiene la sua prima mostra personale presso la Galleria Numero di Milano, presentata da Lara Vinca Masini. Alla fine degli anni Sessanta inizia a sperimentare la tridimensionalità e l’utilizzo di materiali industriali. Da allora la sua opera si incentra sull’astrazione geometrica e affonda le sue radici nelle esperienze del Costruttivismo russo, del movimento De Stijl e dell’Arte Concreta. Il suo lavoro ha ottenuto numerosi riconoscimenti anche nel campo del design: sulla scia del Costruttivismo, l’artista ha operato anche al servizio dei bisogni sociali e della produzione industriale. Ha tenuto varie mostre personali in Italia e all’estero. Nei primi anni Ottanta ha allestito un ambiente praticabile presso una fermata della metropolitana di Milano inteso come intervento sul rapporto tra arte e spazio pubblico. Tra i critici che si sono occupati del suo lavoro si ricordano Gillo Dorfles, Vittorio Fagone, Lorenza Trucchi e Alberto Veca. — Balice has lived and worked in Milan since the 1950s. She grew up in Naples, where she attended the Accademia di Belle Arti. In the 1950s, she held her first solo exhibition at the Galleria Numero in Milan, curated by Lara Vinca Masini. At the end of the 1960s, she began to experiment with three-dimensionality and the use of industrial materials. From then on, her work has focused on forms of geometric abstraction and has been inspired by Russian Constructivism, De Stijl, and Concrete Art. Her work has earned her great recognition, including in the realm of design: in a Constructivist vein, she has lent her art to the service of social needs and industrial production. She has held several solo exhibitions in Italy and elsewhere. In the early 1980s, she installed an inhabitable "environment" at a metro stop in Milan, intended as an intervention aimed at the relationship between art and public space. The critics who have devoted writing to her work include Gillo Dorfles, Vittorio Fagone, Lorenza Trucchi, and Alberto Veca.

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MOSTRE PERSONALI 1965 Dipinti e carboncini, a cura di Lara Vinca Masini, Galleria Numero, Milano, aprile-maggio. 1966 IX Festival dei Due Mondi, a cura di Domenico Cara, via Fonte secca, Spoleto, giugno-luglio.

53

1980 Tragitto modulare di una linea, a cura di Marco Fraccaro, Collegio Universitario Cairoli, Pavia, novembre. 1983 Bianco convesso. Intervento sull’ambiente, Nuovo Spazio Metropolitano, Milano, gennaio-febbraio. L’idea, il progetto, l’opera compiuta, Centro Ricerche Artistiche Verifica 8+1, Venezia-Mestre, marzo-aprile. Scultura da camera. Intervento sull’ambiente, a cura di Eva Pollano, Galleria Stendhal, Milano, ottobre.

1969 Rilievi, a cura di Italo Tomassoni, Galleria Il Fiore, Firenze, gennaio-febbraio. Rilievi-volumi, a cura di Gillo Dorfles, Studio di Informazione Estetica, Torino, aprile-maggio.

1990 Diafano-Apollineo. Intervento sull’ambiente, Galleria Vismara Arte, Milano, febbraio.

1970 Arte moltiplicata, a cura di Gio Ponti, Centro Domus, Milano, aprile-maggio.

1991 Carte e sculture, a cura di Vittorio Fagone e Alberto Veca, Galleria Vismara Arte, Milano, dicembre.

1971 Struttura ambientale, scultura e grafica, a cura di Gio Ponti, Centro Domus, Milano, maggio-giugno. Arte moltiplicata, a cura di Annie Robin, Centro Tempo, Parigi, novembre.

1994 Esercizi lineari, a cura di Alberto Sartoris, Biblioteca Comunale Sormani, Milano, ottobre.

1972 Nike, 4 metri di modulo, Eurodomus 4, a cura di Gio Ponti, Palazzo delle Esposizioni, Torino, maggio. Nuove esperienze plastiche. Tre dimensioni, a cura di Giuseppe Quarta, Gruppo Culturale Otto G, Ascoli Piceno, settembre-ottobre. 1974 Splendore geometrico nell’arte di Giuliana Balice, a cura di Alberto Sartoris, Studio d’Arte Il Moro, Firenze, ottobre. 1975 Costruzioni immaginarie, a cura di Guido Montana, Galleria Marcon, Roma, ottobre-novembre. Costruzioni immaginarie, a cura di Guido Montana, Galleria Fumagalli, Bergamo, novembre-dicembre. 1976 Successioni ritmiche su spartito, Centro Rizzoli, Milano. Opere grafiche, a cura di Vittoria Marinetti, Centro Rizzoli, Milano, aprile. 1979 Costruzioni immaginarie / Successioni ritmiche su spartito, a cura di Attilio Marcolli, Centro Rizzoli, Milano, febbraio-marzo.

1998 Costanti asimmetrie / Equilibrio instabile, a cura di Attilio Marcolli, AAM Architettura Arte Moderna, Milano, aprile-maggio. 2006 Sottili asimmetrie, a cura di Alberto Veca, Centro Culturale Sergio Valcareggi, Sesto San Giovanni, aprile. 2011 Tra spazio e forma, a cura di Fabrizio Parachini, Fondazione Ravello, Villa Rufolo, Ravello, maggio. 2014 L’idea, il progetto, l’opera costruita, a cura di Leo Marino Morganti, Fondazione Valori Tattili di Asset Banca, Repubblica di San Marino, novembre. 2015 Lo spazio bianco, a cura di Pinuccia Agostini, Museo Civico d’Arte Contemporanea Umbro Apollonio, San Martino di Lupari, maggio. 2018 Giuliana Balice alla Notte dei Musei, Museo Civico d’Arte Contemporanea Umbro Apollonio, San Martino di Lupari, maggio.

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MOSTRE PERSONALI 1965 Dipinti e carboncini, a cura di Lara Vinca Masini, Galleria Numero, Milano, aprile-maggio. 1966 IX Festival dei Due Mondi, a cura di Domenico Cara, via Fonte secca, Spoleto, giugno-luglio.

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1980 Tragitto modulare di una linea, a cura di Marco Fraccaro, Collegio Universitario Cairoli, Pavia, novembre. 1983 Bianco convesso. Intervento sull’ambiente, Nuovo Spazio Metropolitano, Milano, gennaio-febbraio. L’idea, il progetto, l’opera compiuta, Centro Ricerche Artistiche Verifica 8+1, Venezia-Mestre, marzo-aprile. Scultura da camera. Intervento sull’ambiente, a cura di Eva Pollano, Galleria Stendhal, Milano, ottobre.

1969 Rilievi, a cura di Italo Tomassoni, Galleria Il Fiore, Firenze, gennaio-febbraio. Rilievi-volumi, a cura di Gillo Dorfles, Studio di Informazione Estetica, Torino, aprile-maggio.

1990 Diafano-Apollineo. Intervento sull’ambiente, Galleria Vismara Arte, Milano, febbraio.

1970 Arte moltiplicata, a cura di Gio Ponti, Centro Domus, Milano, aprile-maggio.

1991 Carte e sculture, a cura di Vittorio Fagone e Alberto Veca, Galleria Vismara Arte, Milano, dicembre.

1971 Struttura ambientale, scultura e grafica, a cura di Gio Ponti, Centro Domus, Milano, maggio-giugno. Arte moltiplicata, a cura di Annie Robin, Centro Tempo, Parigi, novembre.

1994 Esercizi lineari, a cura di Alberto Sartoris, Biblioteca Comunale Sormani, Milano, ottobre.

1972 Nike, 4 metri di modulo, Eurodomus 4, a cura di Gio Ponti, Palazzo delle Esposizioni, Torino, maggio. Nuove esperienze plastiche. Tre dimensioni, a cura di Giuseppe Quarta, Gruppo Culturale Otto G, Ascoli Piceno, settembre-ottobre. 1974 Splendore geometrico nell’arte di Giuliana Balice, a cura di Alberto Sartoris, Studio d’Arte Il Moro, Firenze, ottobre. 1975 Costruzioni immaginarie, a cura di Guido Montana, Galleria Marcon, Roma, ottobre-novembre. Costruzioni immaginarie, a cura di Guido Montana, Galleria Fumagalli, Bergamo, novembre-dicembre. 1976 Successioni ritmiche su spartito, Centro Rizzoli, Milano. Opere grafiche, a cura di Vittoria Marinetti, Centro Rizzoli, Milano, aprile. 1979 Costruzioni immaginarie / Successioni ritmiche su spartito, a cura di Attilio Marcolli, Centro Rizzoli, Milano, febbraio-marzo.

1998 Costanti asimmetrie / Equilibrio instabile, a cura di Attilio Marcolli, AAM Architettura Arte Moderna, Milano, aprile-maggio. 2006 Sottili asimmetrie, a cura di Alberto Veca, Centro Culturale Sergio Valcareggi, Sesto San Giovanni, aprile. 2011 Tra spazio e forma, a cura di Fabrizio Parachini, Fondazione Ravello, Villa Rufolo, Ravello, maggio. 2014 L’idea, il progetto, l’opera costruita, a cura di Leo Marino Morganti, Fondazione Valori Tattili di Asset Banca, Repubblica di San Marino, novembre. 2015 Lo spazio bianco, a cura di Pinuccia Agostini, Museo Civico d’Arte Contemporanea Umbro Apollonio, San Martino di Lupari, maggio. 2018 Giuliana Balice alla Notte dei Musei, Museo Civico d’Arte Contemporanea Umbro Apollonio, San Martino di Lupari, maggio.

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MOSTRE COLLETTIVE (selezione)

Grafica italiana ’71, a cura di Arcangelo Leonardi, Museo di Ciudad Bolivar, Caracas.

1951 Giovani artisti italiani. II Mostra nazionale delle Accademie di Belle Arti, Accademia Belle Arti, Napoli.

1973 Multipli e serigrafie, a cura di Gio Ponti, Centro Domus, Milano, novembre-dicembre.

1957 Premio di pittura di Linguaglossa, a cura di Giulio Carlo Argan, Palazzo di Città, Linguaglossa. Taccuino delle Arti, a cura di Lorenza Trucchi, Palazzo delle Esposizioni, Roma. 1961 Grafica italiana, a cura di Carlo Munari, Galleria Verritre, Milano, aprile. 1962 XII Premio G.B. Salvi, Palazzo Oliva, Sassoferrato (AN), luglio-agosto; riceve un premio da parte della Presidenza della Repubblica. 1963 Pittura, Scultura, Incisione. Premio Ministero della Pubblica Istruzione, a cura di Palma Bucarelli, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma, giugno-luglio. Artisti della Galleria Numero, a cura di Fiamma Vigo, Galleria Numero, Milano, luglio. 1965 WIAC – Women’s International Art Club Annual Exhibition of Painting & Sculpture, a cura di Fiamma Vigo, F.B.A. Galleries, Londra. 1966 V Premio internazionale Joan Mirò, a cura di Alexandre Cirici, Palacio de la Virreina, Barcellona, maggio-giugno. 1969 Undici a Pejo, Galleria Sincron, Brescia, agosto-settembre.

1974 Proposte, a cura di Leo Marino Morganti, Centro Quadro, Repubblica di San Marino, giugno. 1979 Verifica 8+1, a cura di Sara Campesan, Centro ricerche Artistiche Contemporanee, Venezia-Mestre, ottobre. 1982 Arteder ’82. Muestra internacional de arte grafico, a cura di Carmen Lopez Niclos, Bilbao, marzo-aprile. C.C.C. costruttuvismo, concretismo, cinevisualismo internazionale, a cura di Carlo Belloli, Arte Struktura, Milano, dicembre. 1984 Mazzucchelli Celluloide 1963-1973, a cura di Ludovico Castiglione e Gillo Dorfles, Polimero Arte, Castiglione Olona, ottobre. 1985 Experimental Art International, a cura di Santa Aron, Fiatal Muveszek klubja, Budapest, ottobre-novembre. 1987 Maubeuge Sculpt 87/3, a cura di Grégori Anatchkov, Centre de Recherche et d’Etude de la Sculpture Contemporaine, Maubeuge, febbraio-agosto. 1995 Vismara Arte 30 anni, a cura di Luciano Caramel e Gillo Dorfles, Galleria Vismara Arte, Milano, settembre.

1970 Eurodomus 3, a cura di Gio Ponti, Palazzo dell’Arte, Milano, maggio. Vita e paesaggio di Capo d’Orlando. XI Mostra, a cura di Vittorio Fagone, Palazzo del Comune, Capo d’Orlando, agosto-settembre; riceve un premio dalla Giuria. Miniaturen ’70 international – Objekte, a cura di Dieter Hoffmann, Galerie ’66, Hofheim, settembre-dicembre (poi itinerante in Germania e a Parigi).

1996 Decostruttivismo, a cura di Attilio Marcolli, Palazzo dei Consoli, Gubbio, marzo-aprile.

1971 Multipli e serigrafie, Centro Sperimentale di Ricerca Estetica, Torino.

2000 Venti artisti a Sassocorvaro Montefeltro, a cura di Silvia Pegoraro, Rocca di Sassocorvaro, Sassocorvaro nel Montefeltro, luglio-ottobre.

1999 XIII Quadriennale d’arte. Proiezioni 2000, Palazzo delle Esposizioni, Roma, giugno.

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MOSTRE COLLETTIVE (selezione)

Grafica italiana ’71, a cura di Arcangelo Leonardi, Museo di Ciudad Bolivar, Caracas.

1951 Giovani artisti italiani. II Mostra nazionale delle Accademie di Belle Arti, Accademia Belle Arti, Napoli.

1973 Multipli e serigrafie, a cura di Gio Ponti, Centro Domus, Milano, novembre-dicembre.

1957 Premio di pittura di Linguaglossa, a cura di Giulio Carlo Argan, Palazzo di Città, Linguaglossa. Taccuino delle Arti, a cura di Lorenza Trucchi, Palazzo delle Esposizioni, Roma. 1961 Grafica italiana, a cura di Carlo Munari, Galleria Verritre, Milano, aprile. 1962 XII Premio G.B. Salvi, Palazzo Oliva, Sassoferrato (AN), luglio-agosto; riceve un premio da parte della Presidenza della Repubblica. 1963 Pittura, Scultura, Incisione. Premio Ministero della Pubblica Istruzione, a cura di Palma Bucarelli, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma, giugno-luglio. Artisti della Galleria Numero, a cura di Fiamma Vigo, Galleria Numero, Milano, luglio. 1965 WIAC – Women’s International Art Club Annual Exhibition of Painting & Sculpture, a cura di Fiamma Vigo, F.B.A. Galleries, Londra. 1966 V Premio internazionale Joan Mirò, a cura di Alexandre Cirici, Palacio de la Virreina, Barcellona, maggio-giugno. 1969 Undici a Pejo, Galleria Sincron, Brescia, agosto-settembre.

1974 Proposte, a cura di Leo Marino Morganti, Centro Quadro, Repubblica di San Marino, giugno. 1979 Verifica 8+1, a cura di Sara Campesan, Centro ricerche Artistiche Contemporanee, Venezia-Mestre, ottobre. 1982 Arteder ’82. Muestra internacional de arte grafico, a cura di Carmen Lopez Niclos, Bilbao, marzo-aprile. C.C.C. costruttuvismo, concretismo, cinevisualismo internazionale, a cura di Carlo Belloli, Arte Struktura, Milano, dicembre. 1984 Mazzucchelli Celluloide 1963-1973, a cura di Ludovico Castiglione e Gillo Dorfles, Polimero Arte, Castiglione Olona, ottobre. 1985 Experimental Art International, a cura di Santa Aron, Fiatal Muveszek klubja, Budapest, ottobre-novembre. 1987 Maubeuge Sculpt 87/3, a cura di Grégori Anatchkov, Centre de Recherche et d’Etude de la Sculpture Contemporaine, Maubeuge, febbraio-agosto. 1995 Vismara Arte 30 anni, a cura di Luciano Caramel e Gillo Dorfles, Galleria Vismara Arte, Milano, settembre.

1970 Eurodomus 3, a cura di Gio Ponti, Palazzo dell’Arte, Milano, maggio. Vita e paesaggio di Capo d’Orlando. XI Mostra, a cura di Vittorio Fagone, Palazzo del Comune, Capo d’Orlando, agosto-settembre; riceve un premio dalla Giuria. Miniaturen ’70 international – Objekte, a cura di Dieter Hoffmann, Galerie ’66, Hofheim, settembre-dicembre (poi itinerante in Germania e a Parigi).

1996 Decostruttivismo, a cura di Attilio Marcolli, Palazzo dei Consoli, Gubbio, marzo-aprile.

1971 Multipli e serigrafie, Centro Sperimentale di Ricerca Estetica, Torino.

2000 Venti artisti a Sassocorvaro Montefeltro, a cura di Silvia Pegoraro, Rocca di Sassocorvaro, Sassocorvaro nel Montefeltro, luglio-ottobre.

1999 XIII Quadriennale d’arte. Proiezioni 2000, Palazzo delle Esposizioni, Roma, giugno.

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2002 Italien. Neue Positionen der Konkrete Kunst, a cura di Alberto Veca, Forum Kronkete Kunst, Erfurt, ottobre-novembre. 2003 Fiamma Vigo e le Gallerie Numero. Una vita per l’arte, Archivio di Stato, Firenze, ottobre-dicembre. 2010 Dino Gavina. Lampi di design, a cura di Elena Brigi e Daniele Vincenzi, MAMbo, Bologna, settembre-dicembre. 2013 Blick zurück und voraus. 20 Jahre Forum Konkrete Kunst, a cura di Susanne Knorr, Petersberg, Erfurt, agosto-settembre. 2014 In attesa dell’Expo. Artisti a Milano, a cura di Gabriella Brembati e Giorgio Bonomi, Galleria Scoglio di Quarto, Milano, ottobre-novembre. 2017 Opere di Mario Nigro – Giuliana Balice, A Arte Invernizzi, Milano.

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2002 Italien. Neue Positionen der Konkrete Kunst, a cura di Alberto Veca, Forum Kronkete Kunst, Erfurt, ottobre-novembre. 2003 Fiamma Vigo e le Gallerie Numero. Una vita per l’arte, Archivio di Stato, Firenze, ottobre-dicembre. 2010 Dino Gavina. Lampi di design, a cura di Elena Brigi e Daniele Vincenzi, MAMbo, Bologna, settembre-dicembre. 2013 Blick zurück und voraus. 20 Jahre Forum Konkrete Kunst, a cura di Susanne Knorr, Petersberg, Erfurt, agosto-settembre. 2014 In attesa dell’Expo. Artisti a Milano, a cura di Gabriella Brembati e Giorgio Bonomi, Galleria Scoglio di Quarto, Milano, ottobre-novembre. 2017 Opere di Mario Nigro – Giuliana Balice, A Arte Invernizzi, Milano.

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The Sabe Art Foundation seeks to serve as a point of reference for the promotion and circulation of contemporary art in the city of Ravenna through events, exhibitions, projections, and other cultural activities. Particular attention will be paid to sculpture, understood as a paradigm of the expansive tension between form, consumer, and environment. The concept of “sculpture” has now taken on a breadth that allows it to encompass installation practices and site-specific interventions, and which also grants it the opportunity to situate itself in the immaterial dimensions of photography, video, computer graphics, and sound. Through a varied cultural strategy, the Foundation seeks to articulate a form of reflection around these themes, involving artists, critics, theorists, and scholars working actively throughout the country. Overseen by Norberto Bezzi and Mirella Saluzzo, the Foundation avails itself of the guidance of a committee that is coordinated by Francesco Tedeschi, a professor of contemporary art history at the Università Cattolica del Sacro Cuore of Milan, which is made up of the professors Claudio Marra, Federica Muzzarelli, and Gian Luca Tusini of the University of Bologna, active in Bologna, Rimini, and Ravenna, respectively, as well as Claudio Spadoni, former director of Ravenna’s art museum. The artistic director is Pasquale Fameli, an art critic and researcher who is also affiliated with the University of Bologna. In addition to the organization of exhibitions and cultural events, the Foundation is devoted to the task of cataloging Mirella Saluzzo’s works and to the establishment of a library that will specialize in contemporary sculpture, and which will also document the work of the Foundation’s guests. The Foundation’s headquarters are located in via Giovanni Pascoli 31, Ravenna, inside a renovated nineteenth-century building, with Saluzzo’s studio overlooking the inner courtyard. This placement perpetuates the creative vocation of the place itself: over the course of the twentieth century, in fact, the building housed a woodshop and then a printing press, making itself from the beginning a place of “making.” From 2003 to 2015, it also hosted the Ninapì – Nesting Art Gallery, an underground cultural space that for years showed the works of several young Italian and international artists. Today, with the inauguration of the Sabe Art Foundation, “making” and “showing” intersect to form a single dynamic and polymorphic reality, aimed at modeling itself on the forms of the present.

Is it possible to speak of a Giuliana Balice “case”? This question derives its legitimacy from the fact that only today her work has returned to the attention of the public and critics after more than ten years of silence. Indeed, Balice’s “case” is one that has received an inexplicable lack of attention, despite her work as an artist having constantly been marked by extraordinary quality at the level of technique as well as conception. Given this, it is not insignificant that critical attention to her work has been essentially absent since the early 2000s. I came to know Balice’s work from a solo exhibition of hers in Florence in 1969. After that, I came to explore her work more deeply, along with Gillo Dorfles, on the occasion of a book presentation of Guido Montana’s monograph devoted to her, which took place in Milan in 1974. Then, there was silence until 2015, when Giuliana asked me to visit her studio. I was struck by the richness of her work, which was so complex, coherent, rigorous, and, especially, differed so much from the Arte Programmata and “Open” Art of the 1960s. This was so much the case that it made me think that it was a cultural duty to re-interpret and re-present this work by way of sustained critical engagement, one that would go beyond the occasional exhibition or catalog essay. Thus, I thought it useful, above all, to organically reconstruct the trajectory of her artistic work in a monograph that would follow the arc of her career from her earlier days at Naples’s Accademia to the years of her artistic “maturity” in Milan, and finally on to the present. This work was published by Skira in December 2021, featuring an extensive photographic apparatus and an equally detailed set of documents and bibliographic information (thanks to Davide Dall’Ombra and Alice Boltri). The book, entitled Una geometria inquieta, constitutes a kind of fixed point in the ongoing work of critical inquiry, and, endowed as it is with the ontological status of data, it is bound to reopen the curious “case” of this artist, whose work is presented today through a selection of sculptures in the exhibition halls of Ravenna’s Fondazione Sabe per l’arte. With the help of the president of the Sabe foundation’s organizing committee, Francesco Tedeschi, and that of the artistic director, Pasquale Fameli, the works selected document a trajectory marked by an extreme formal coherence from the end of the 1960s to the 2000s. The laudable work of setting up the exhibition, thanks in large part to Fameli’s direction, completes the recognition of an

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The Sabe Art Foundation seeks to serve as a point of reference for the promotion and circulation of contemporary art in the city of Ravenna through events, exhibitions, projections, and other cultural activities. Particular attention will be paid to sculpture, understood as a paradigm of the expansive tension between form, consumer, and environment. The concept of “sculpture” has now taken on a breadth that allows it to encompass installation practices and site-specific interventions, and which also grants it the opportunity to situate itself in the immaterial dimensions of photography, video, computer graphics, and sound. Through a varied cultural strategy, the Foundation seeks to articulate a form of reflection around these themes, involving artists, critics, theorists, and scholars working actively throughout the country. Overseen by Norberto Bezzi and Mirella Saluzzo, the Foundation avails itself of the guidance of a committee that is coordinated by Francesco Tedeschi, a professor of contemporary art history at the Università Cattolica del Sacro Cuore of Milan, which is made up of the professors Claudio Marra, Federica Muzzarelli, and Gian Luca Tusini of the University of Bologna, active in Bologna, Rimini, and Ravenna, respectively, as well as Claudio Spadoni, former director of Ravenna’s art museum. The artistic director is Pasquale Fameli, an art critic and researcher who is also affiliated with the University of Bologna. In addition to the organization of exhibitions and cultural events, the Foundation is devoted to the task of cataloging Mirella Saluzzo’s works and to the establishment of a library that will specialize in contemporary sculpture, and which will also document the work of the Foundation’s guests. The Foundation’s headquarters are located in via Giovanni Pascoli 31, Ravenna, inside a renovated nineteenth-century building, with Saluzzo’s studio overlooking the inner courtyard. This placement perpetuates the creative vocation of the place itself: over the course of the twentieth century, in fact, the building housed a woodshop and then a printing press, making itself from the beginning a place of “making.” From 2003 to 2015, it also hosted the Ninapì – Nesting Art Gallery, an underground cultural space that for years showed the works of several young Italian and international artists. Today, with the inauguration of the Sabe Art Foundation, “making” and “showing” intersect to form a single dynamic and polymorphic reality, aimed at modeling itself on the forms of the present.

Is it possible to speak of a Giuliana Balice “case”? This question derives its legitimacy from the fact that only today her work has returned to the attention of the public and critics after more than ten years of silence. Indeed, Balice’s “case” is one that has received an inexplicable lack of attention, despite her work as an artist having constantly been marked by extraordinary quality at the level of technique as well as conception. Given this, it is not insignificant that critical attention to her work has been essentially absent since the early 2000s. I came to know Balice’s work from a solo exhibition of hers in Florence in 1969. After that, I came to explore her work more deeply, along with Gillo Dorfles, on the occasion of a book presentation of Guido Montana’s monograph devoted to her, which took place in Milan in 1974. Then, there was silence until 2015, when Giuliana asked me to visit her studio. I was struck by the richness of her work, which was so complex, coherent, rigorous, and, especially, differed so much from the Arte Programmata and “Open” Art of the 1960s. This was so much the case that it made me think that it was a cultural duty to re-interpret and re-present this work by way of sustained critical engagement, one that would go beyond the occasional exhibition or catalog essay. Thus, I thought it useful, above all, to organically reconstruct the trajectory of her artistic work in a monograph that would follow the arc of her career from her earlier days at Naples’s Accademia to the years of her artistic “maturity” in Milan, and finally on to the present. This work was published by Skira in December 2021, featuring an extensive photographic apparatus and an equally detailed set of documents and bibliographic information (thanks to Davide Dall’Ombra and Alice Boltri). The book, entitled Una geometria inquieta, constitutes a kind of fixed point in the ongoing work of critical inquiry, and, endowed as it is with the ontological status of data, it is bound to reopen the curious “case” of this artist, whose work is presented today through a selection of sculptures in the exhibition halls of Ravenna’s Fondazione Sabe per l’arte. With the help of the president of the Sabe foundation’s organizing committee, Francesco Tedeschi, and that of the artistic director, Pasquale Fameli, the works selected document a trajectory marked by an extreme formal coherence from the end of the 1960s to the 2000s. The laudable work of setting up the exhibition, thanks in large part to Fameli’s direction, completes the recognition of an

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artistic profile that underlines the (far from marginal) presence of an analytical poetics of Italian sculpture at the end of the century. As for the exhibition’s cultural significance, one must start from Balice’s work in the Sixties, when the young artist, leaving behind a valuable series of figurative works that came to fruition during her academic studies in Naples (her hometown), settled permanently in Milan. It is worth recalling that, in her youthful Neapolitan work, a stylization of form takes on symptomatic importance, one that, beyond the rules of academicism, accentuates the importance of geometric components that mark the compositions in figure and in landscape alike, components that deserve to be highlighted because they foreshadow the future developments of her work. Indeed, a real revelation of Balice’s linguistic maturity manifested itself in Milan in 1962, when the artist created a series of graphic works titled Lampi geometrici. These works serve as an especially effective illumination of the central role that geometry would play since then in all the subsequent developments of her imagination. In fact, the geometric paradigm became for Balice a guideline that articulates itself along two main axes. On the one hand, it represents a field of inquiry into the a priori nature (tautology) of the expressive medium, on the other, it creates the conditions for the work to potentially open up to the outside by allowing specific connections with the environment. Faced with the artistic work being conducted in Milan in those years, Balice understood that she could become the interpreter of a personal, original way of investigating and developing, through geometry, the relationship between the mystery of form and the world. She translated geometric flashes into physical, concrete entities, transferring the forms of more evolved plastic languages ​​ from the two-dimensional surface of the paper. Two 1969 works in the exhibition, Bianco Verticale and Fluttuante, clearly document the initial results of this operative vision, one that inaugurates a career destined to proceed with great rigor until it reaches the formal peaks of masterpieces such as Delfica (1990) or Equilibrio instabile (2001), the latter a late, mature work that lends its title to this show and belongs to a series devoted to this theme, which marks her perceptive sensitivity. The years in which Balice began to work on the geometric module are crucial years for the history of contemporary art, and not only in Italy. In the mid-1960s, in fact, aesthetic research sharpened the concentration vs. dispersion dichotomy of the work that had characterized the experimental climate of the historical avantgardes: the concentration of art on the reflection upon its intrinsic components and the dispersion of its objectivity into the constant

flux of life and the world. In the 1960s, this polarity reemerged and grew sharper. In the frantic search for an overcoming of the Informal (the poetics that had documented the tragedies of World War II and of the artist’s existential doubt), artists undertake to find a reason for living in forms of social planning that give rise to Kinetic Art, Arte Programmata, and Gestalt-based work, or, at the same time, to go deeper into an exploration of the intrinsic status of artwork and evaluate its creative scope (Conceptual Art, Abstract-Concrete Art, Minimalism, Painting-Painting, Support/Surface). At the same time that Umberto Eco theorizes the concept of “open work” (1962) that implies the participation of the reader/viewer in the work’s completion, and at the same time that, in 1967, Giuseppe Marchiori organizes an exhibition in Foligno destined to make history, entitled Lo spazio dell’immagine, one in which the artwork leaves the frame, invades space, and seeks its material complement beyond itself, Balice gathers inward, starting the most intense, selfreflective period of her personal and restless artistic exploration. In a well-known theoretical essay, Tra presenza ed assenza. Due ipotesi per l’età postmoderna, the critic and scholar Renato Barilli aptly formalized the dichotomy that characterizes all European art of the second half of the twentieth century, aimed, on the one hand, at openness to the social, participatory, and vitalistic (presence), and, on the other, at extending the purist line of the largely rationalist tradition of Suprematism, De Stijl, and Neoplasticism, up to and including Conceptual Art. In the context of the scene of the time, Balice’s work distinguishes itself for its autonomy and its individualism. It is not incidental that the T Group of Milan, the N Group of Padua, and the other international “Groups” (Gruppo Zero of Düsseldorf, the Groupe de Recherche d’Art Visuel of Paris, the “Groups” developed in Spain and Latin America) intended to cancel out the individual’s contribution by instead promoting art as the product of an anonymous production, in line with a kind of industrial logic, and also that, post-1968, art would go on to follow the declared path of political commitment through the recording of its own processes for intervening on reality. Balice does not belong to any of these: if anything, she kept up only tangential relationships (for example with Grazia Varisco, the famous cofounder of the T Group in Milan), but she did not ask to enroll in any groups, which follow collective, super-individual logics. Her experience remained an isolated one that was (and still is) expressed through a language that this exhibition documents synthetically in its most significant formal junctions. With these works, Balice celebrates the autonomy of work and art. Beyond any form of heteronomy, she asserts the absolute value of the work without sociological expansion or metaphorical allusion, adhering

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artistic profile that underlines the (far from marginal) presence of an analytical poetics of Italian sculpture at the end of the century. As for the exhibition’s cultural significance, one must start from Balice’s work in the Sixties, when the young artist, leaving behind a valuable series of figurative works that came to fruition during her academic studies in Naples (her hometown), settled permanently in Milan. It is worth recalling that, in her youthful Neapolitan work, a stylization of form takes on symptomatic importance, one that, beyond the rules of academicism, accentuates the importance of geometric components that mark the compositions in figure and in landscape alike, components that deserve to be highlighted because they foreshadow the future developments of her work. Indeed, a real revelation of Balice’s linguistic maturity manifested itself in Milan in 1962, when the artist created a series of graphic works titled Lampi geometrici. These works serve as an especially effective illumination of the central role that geometry would play since then in all the subsequent developments of her imagination. In fact, the geometric paradigm became for Balice a guideline that articulates itself along two main axes. On the one hand, it represents a field of inquiry into the a priori nature (tautology) of the expressive medium, on the other, it creates the conditions for the work to potentially open up to the outside by allowing specific connections with the environment. Faced with the artistic work being conducted in Milan in those years, Balice understood that she could become the interpreter of a personal, original way of investigating and developing, through geometry, the relationship between the mystery of form and the world. She translated geometric flashes into physical, concrete entities, transferring the forms of more evolved plastic languages ​​ from the two-dimensional surface of the paper. Two 1969 works in the exhibition, Bianco Verticale and Fluttuante, clearly document the initial results of this operative vision, one that inaugurates a career destined to proceed with great rigor until it reaches the formal peaks of masterpieces such as Delfica (1990) or Equilibrio instabile (2001), the latter a late, mature work that lends its title to this show and belongs to a series devoted to this theme, which marks her perceptive sensitivity. The years in which Balice began to work on the geometric module are crucial years for the history of contemporary art, and not only in Italy. In the mid-1960s, in fact, aesthetic research sharpened the concentration vs. dispersion dichotomy of the work that had characterized the experimental climate of the historical avantgardes: the concentration of art on the reflection upon its intrinsic components and the dispersion of its objectivity into the constant

flux of life and the world. In the 1960s, this polarity reemerged and grew sharper. In the frantic search for an overcoming of the Informal (the poetics that had documented the tragedies of World War II and of the artist’s existential doubt), artists undertake to find a reason for living in forms of social planning that give rise to Kinetic Art, Arte Programmata, and Gestalt-based work, or, at the same time, to go deeper into an exploration of the intrinsic status of artwork and evaluate its creative scope (Conceptual Art, Abstract-Concrete Art, Minimalism, Painting-Painting, Support/Surface). At the same time that Umberto Eco theorizes the concept of “open work” (1962) that implies the participation of the reader/viewer in the work’s completion, and at the same time that, in 1967, Giuseppe Marchiori organizes an exhibition in Foligno destined to make history, entitled Lo spazio dell’immagine, one in which the artwork leaves the frame, invades space, and seeks its material complement beyond itself, Balice gathers inward, starting the most intense, selfreflective period of her personal and restless artistic exploration. In a well-known theoretical essay, Tra presenza ed assenza. Due ipotesi per l’età postmoderna, the critic and scholar Renato Barilli aptly formalized the dichotomy that characterizes all European art of the second half of the twentieth century, aimed, on the one hand, at openness to the social, participatory, and vitalistic (presence), and, on the other, at extending the purist line of the largely rationalist tradition of Suprematism, De Stijl, and Neoplasticism, up to and including Conceptual Art. In the context of the scene of the time, Balice’s work distinguishes itself for its autonomy and its individualism. It is not incidental that the T Group of Milan, the N Group of Padua, and the other international “Groups” (Gruppo Zero of Düsseldorf, the Groupe de Recherche d’Art Visuel of Paris, the “Groups” developed in Spain and Latin America) intended to cancel out the individual’s contribution by instead promoting art as the product of an anonymous production, in line with a kind of industrial logic, and also that, post-1968, art would go on to follow the declared path of political commitment through the recording of its own processes for intervening on reality. Balice does not belong to any of these: if anything, she kept up only tangential relationships (for example with Grazia Varisco, the famous cofounder of the T Group in Milan), but she did not ask to enroll in any groups, which follow collective, super-individual logics. Her experience remained an isolated one that was (and still is) expressed through a language that this exhibition documents synthetically in its most significant formal junctions. With these works, Balice celebrates the autonomy of work and art. Beyond any form of heteronomy, she asserts the absolute value of the work without sociological expansion or metaphorical allusion, adhering

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to a respect for the logic of her artistic creations and each time proposing a reflection on the ontology of making art. With these directives, Balice’s work, both pictorial and plastic, is always backed up by a serious commitment to graphic design reflected in and saturating the page, acting as a kind of axonometric radiography of the volumes of the works. It is animated by the conviction that the consciousness of the creative act is inseparable from the artistic object, and that this object exists independently of the categories of space and time that define the natural or historical object.  We are therefore in the presence of a veritable “analytical poetics” of contemporary sculpture, an expression of creativity, which, in sculpture as well as in painting, does not pre-exist forms but is implemented in them, following a path that finds justification in the actuality of its self-revelation. This set of peculiarities can certainly be defined as unique in the Italian art scene at the end of the century. And, indeed, it is precisely this uniqueness that also explains the artist’s lack of access into the mechanisms of what has been defined (with an insufficiently inherent term), the “system” of art: despite having the support of authoritative critics and reputable galleries, despite having received invitations to prestigious exhibitions, Balice’s art has never emerged in terms that would allow its value to be highlighted and its difference from contemporary poetics to be adequately evaluated. Balice has staked everything on the work as a given of reality, to use the terms used by Martin Heidegger (The Origin of the Work of Art, 1936), who wrote that sculpture is a reality because it deals with reality as objective and is thereby called to face the reality of the world that contains it. These, in a nutshell, are some reasons why we can speak of a Balice “case,” a case that Ravenna’s Fondazione Sabe per l’arte brings to the attention of its public in the well-founded belief that this latest exhibition is only the beginning of a systematic rediscovery of the values ​​of an artist whose preoccupations are still capable of surprising. — Italo Tomassoni

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to a respect for the logic of her artistic creations and each time proposing a reflection on the ontology of making art. With these directives, Balice’s work, both pictorial and plastic, is always backed up by a serious commitment to graphic design reflected in and saturating the page, acting as a kind of axonometric radiography of the volumes of the works. It is animated by the conviction that the consciousness of the creative act is inseparable from the artistic object, and that this object exists independently of the categories of space and time that define the natural or historical object.  We are therefore in the presence of a veritable “analytical poetics” of contemporary sculpture, an expression of creativity, which, in sculpture as well as in painting, does not pre-exist forms but is implemented in them, following a path that finds justification in the actuality of its self-revelation. This set of peculiarities can certainly be defined as unique in the Italian art scene at the end of the century. And, indeed, it is precisely this uniqueness that also explains the artist’s lack of access into the mechanisms of what has been defined (with an insufficiently inherent term), the “system” of art: despite having the support of authoritative critics and reputable galleries, despite having received invitations to prestigious exhibitions, Balice’s art has never emerged in terms that would allow its value to be highlighted and its difference from contemporary poetics to be adequately evaluated. Balice has staked everything on the work as a given of reality, to use the terms used by Martin Heidegger (The Origin of the Work of Art, 1936), who wrote that sculpture is a reality because it deals with reality as objective and is thereby called to face the reality of the world that contains it. These, in a nutshell, are some reasons why we can speak of a Balice “case,” a case that Ravenna’s Fondazione Sabe per l’arte brings to the attention of its public in the well-founded belief that this latest exhibition is only the beginning of a systematic rediscovery of the values ​​of an artist whose preoccupations are still capable of surprising. — Italo Tomassoni

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