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Banchi_Layout_5

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Il fotografo che inventò la rovesciata rimasta in cielo Alberto Prunetti, 2009

Corrado Banchi, autoritratto, 1948

4

Per ogni volta che avete strappato un pacchetto di figurine Panini, ripetete questo nome: Corrado Banchi. Fotografo freelance, fiorentino del 1912, famiglia e bottega in Maremma, a Massa Marittima, scomparso nel 1999. La rovesciata di Parola, immortalata in milioni di copie e divenuta famosa come logo delle figurine più diffuse al mondo, l’ha fotografata lui, una sera del 15 gennaio 1950, durante un Fiorentina-Juventus tutt’altro che memorabile, finito 0 a 0. Una partita noiosa, per il pubblico e per i fotografi. Ecco come la raccontava lui: «Parte un lancio di Magli verso Pandolfini. Egisto scatta, tra lui e il portiere c’ è solo Carlo Parola; l’attaccante sente di potercela fare ma il difensore non gli dà il tempo di agire. Uno stacco imperioso, un volo in cielo, una respinta in uno stile unico. Un’ ovazione accompagna la prodezza di Parola». Questo in campo. Ma fuori dalla linea di gesso la leggenda vuole che un fotografo, annoiato da una partita che si trascina sullo 0 a 0 a pochi minuti dal fischio finale, si infili in una buca utilizzata per il salto a ostacoli nella pista d’ atletica, proprio dietro la porta, per una rapida minzione. E dal basso, infilatosi per caso in una prospettiva inconsueta, riesca a immortalare il gesto atletico del difensore juventino. Piedi e impellenze fisiche, ecco il segreto dell’arte. Un capolavoro plastico, per composizione e scelta prospettica. Una storia fotografata, raccontata dal basso. La “rovesciata di Parola” verrà ristampata in trecento milioni di copie, sarà omaggiata di didascalie nelle lingue più disparate. Solo Corrado Banchi non l’amava più di tanto. Fiorentino e figlio di commercianti, Banchi arriva alla fotografia in Maremma, dov’ era andato a fare il servizio militare. Su un treno diretto a Orbetello conosce una ragazza di Follonica. Si sposano durante la guerra e vanno a vivere a Massa, dove Corrado apre un negozio di fotografia. «Era intuitivo e geniale»- mi dice il regista Umberto Lenzi, che di Banchi fu amico e collaboratore- «documentò, con i pochi rullini di pellicola che aveva gelosamente conservato, l’ingresso a Massa Marittima dei soldati americani della 5a Armata, il primo pomeriggio del 24 Giugno 1944. Alcune foto, con i carri armati Sherman e i militari armati di mitra Thompson, le conservo sulla libreria del mio studio». Un innovatore, un intuitivo, uno che faceva fotografia con le gambe, muovendosi come un calciatore o un ciclista. Al punto che per regalare il movimento alle sue istantanee, divenne il primo cineoperatore mobile d’ Italia. È ancora Lenzi a ricordarlo: «Per alcuni anni, lavorò come cineoperatore della Settimana Incom, al seguito del Giro d’ Italia, sul sellino posteriore di una motocicletta. Corrado con spericolato entusiasmo girava i momenti salienti delle varie tappe impugnando una Arriflex 35 millimetri». Non uno dei tanti, ma il primo cineoperatore mobile del giornalismo. Ed è proprio con una cinepresa in mano che Banchi viene fotografato accanto a Bartali. Con questo lavoro, cominciato subito dopo la guerra, sviluppa una forte sensibilità per il reportage sociale. Foto crude e realistiche, lievemente sottoesposte, che restituiscono il senso di cupa oppressione dei mestieri operai. Nel 1948 documentò il sequestro di un proprietario terriero svizzero da parte del bandito Cucchiara, in Alta Maremma. Col suo fiuto, riuscì a sorprendere i banditi mentre facevano il lavoro a maglia nei boschi, tanto per ingannare il tempo. Poi dedicò un attento sguardo sociale all’alluvione del Polesine, ai minatori della Maremma, immortalati con un bianco e nero degno di McCullin, alle vittime della strage mineraria di Ribolla del ‘ 54, quando collaborò 5

Il fotografo che inventò la rovesciata rimasta in cielo Alberto Prunetti, 2009

Corrado Banchi, autoritratto, 1948

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Per ogni volta che avete strappato un pacchetto di figurine Panini, ripetete questo nome: Corrado Banchi. Fotografo freelance, fiorentino del 1912, famiglia e bottega in Maremma, a Massa Marittima, scomparso nel 1999. La rovesciata di Parola, immortalata in milioni di copie e divenuta famosa come logo delle figurine più diffuse al mondo, l’ha fotografata lui, una sera del 15 gennaio 1950, durante un Fiorentina-Juventus tutt’altro che memorabile, finito 0 a 0. Una partita noiosa, per il pubblico e per i fotografi. Ecco come la raccontava lui: «Parte un lancio di Magli verso Pandolfini. Egisto scatta, tra lui e il portiere c’ è solo Carlo Parola; l’attaccante sente di potercela fare ma il difensore non gli dà il tempo di agire. Uno stacco imperioso, un volo in cielo, una respinta in uno stile unico. Un’ ovazione accompagna la prodezza di Parola». Questo in campo. Ma fuori dalla linea di gesso la leggenda vuole che un fotografo, annoiato da una partita che si trascina sullo 0 a 0 a pochi minuti dal fischio finale, si infili in una buca utilizzata per il salto a ostacoli nella pista d’ atletica, proprio dietro la porta, per una rapida minzione. E dal basso, infilatosi per caso in una prospettiva inconsueta, riesca a immortalare il gesto atletico del difensore juventino. Piedi e impellenze fisiche, ecco il segreto dell’arte. Un capolavoro plastico, per composizione e scelta prospettica. Una storia fotografata, raccontata dal basso. La “rovesciata di Parola” verrà ristampata in trecento milioni di copie, sarà omaggiata di didascalie nelle lingue più disparate. Solo Corrado Banchi non l’amava più di tanto. Fiorentino e figlio di commercianti, Banchi arriva alla fotografia in Maremma, dov’ era andato a fare il servizio militare. Su un treno diretto a Orbetello conosce una ragazza di Follonica. Si sposano durante la guerra e vanno a vivere a Massa, dove Corrado apre un negozio di fotografia. «Era intuitivo e geniale»- mi dice il regista Umberto Lenzi, che di Banchi fu amico e collaboratore- «documentò, con i pochi rullini di pellicola che aveva gelosamente conservato, l’ingresso a Massa Marittima dei soldati americani della 5a Armata, il primo pomeriggio del 24 Giugno 1944. Alcune foto, con i carri armati Sherman e i militari armati di mitra Thompson, le conservo sulla libreria del mio studio». Un innovatore, un intuitivo, uno che faceva fotografia con le gambe, muovendosi come un calciatore o un ciclista. Al punto che per regalare il movimento alle sue istantanee, divenne il primo cineoperatore mobile d’ Italia. È ancora Lenzi a ricordarlo: «Per alcuni anni, lavorò come cineoperatore della Settimana Incom, al seguito del Giro d’ Italia, sul sellino posteriore di una motocicletta. Corrado con spericolato entusiasmo girava i momenti salienti delle varie tappe impugnando una Arriflex 35 millimetri». Non uno dei tanti, ma il primo cineoperatore mobile del giornalismo. Ed è proprio con una cinepresa in mano che Banchi viene fotografato accanto a Bartali. Con questo lavoro, cominciato subito dopo la guerra, sviluppa una forte sensibilità per il reportage sociale. Foto crude e realistiche, lievemente sottoesposte, che restituiscono il senso di cupa oppressione dei mestieri operai. Nel 1948 documentò il sequestro di un proprietario terriero svizzero da parte del bandito Cucchiara, in Alta Maremma. Col suo fiuto, riuscì a sorprendere i banditi mentre facevano il lavoro a maglia nei boschi, tanto per ingannare il tempo. Poi dedicò un attento sguardo sociale all’alluvione del Polesine, ai minatori della Maremma, immortalati con un bianco e nero degno di McCullin, alle vittime della strage mineraria di Ribolla del ‘ 54, quando collaborò 5

La rovesciata di Parola, Firenze, 15 gennaio 1952

Partita Italia Argentina, Banchi con Maradona, Firenze 1986

6

con Lenzi, Bianciardi e Cassola. Proprio per Lenzi, allora regista alle prime armi, Banchi lavorò come cameraman alle riprese del documentario Dalle tenebre al mare, un omaggio al duro lavoro dei minatori delle Colline Metallifere, del 1955. Intanto quando la Fiorentina gioca in casa lui fotografa allo stadio Comunale. Non era solo un fotografo, era anche il primo tifoso con la Leica in mano. Irruente e focoso, impressionava la pellicola in 35 millimetri ai limiti dell’invasione di campo. Del resto con i piedi sulla striscia di gesso era abituato a starci da sempre: a bordo campo prima del fotografo aveva fatto, per la Fiorentina degli anni Venti - che all’ epoca si chiamava Libertas - il raccattapalle. Foto di reportage, poi foto di sport, non poteva mancare negli anni Sessanta la fotografia di moda e di gossip. E del resto gli era già capitato di fotografare a Salsomaggiore la Loren nel 1950, quando partecipò a Miss Italia. Banchi scattava nella Punta Ala dei concorsi ippici e delle ville nascoste tra i pini, su un golfo ormai tragicamente diverso da quello delle dune, dei paduli e delle case basse dei pescatori, su cui si era esercitato con la sua prima macchina fotografica ai tempi del servizio militare. Inseguendo i vip ritrovò Umberto Lenzi, ormai regista affermato, che ricorda: «Fui felice quando venne a Punta Ala per un backstage sul set di “Così dolce... così perversa”, il secondo film che girai con Carroll Baker. Era il 1968». Gli ultimi anni prima della pensione lavorò come fotografo di paese, anche se non smise mai di andare la domenica a fotografare la Fiorentina. Lo ricorda così anche il fotografo massetano Stefano Pacini, che ha digitalizzato più di diecimila negativi dell’ archivio Banchi. «Cominciai a portare a sviluppare i rullini in bianco e nero nello studio di Corrado. Senza che glielo chiedessi, quando andavo a ritirarli lui, prima di consegnarmeli, squadernava la pellicola sul bancone e commentava ad alta voce. Qualche volta, invece di darli a me li buttava direttamente nel cestino. Era il “metodo Banchi”: intuitivo, burbero ma efficace». Pacini ricorda anche i suoi consigli. Diceva sempre che era meglio «rischiare e fare la foto piuttosto che aspettare il momento perfetto e poi non farla». Ma quel momento lo andava a cercare lui. Sempre alla ricerca di storie da scoprire, anche quando era in pensione. Me lo racconta il figlio Paolo, che ha lavorato al suo fianco per venticinque anni nel laboratorio fotografico di Massa Marittima: «Anche in vecchiaia teneva sempre nella Panda la Leica, nascosta dentro a un giornale. Era sempre pronto a scattare, aveva sempre un’idea in capo. Dopo che gli avevano tolto la patente, a ottantasei anni, si fece 40 chilometri con un Vespa 50 per andare fino a una redazione grossetana e proporre un

Corrado Banchi segue una corsa ciclistica da una moto Massa Marittima, 1952

servizio fotografico». A me viene da pensare che ogni volta che da piccolo aprivo un pacchetto di figurine Panini, dovevo mandare a pezzi la sua foto più celebre. Un atto di iconoclastia che forse lui stesso ha compiuto qualche volta. Per quella foto, che a Caracas fu riprodotta in una gigantografia impressionante, prese solo tremila lire. Neanche poche. Però con un centesimo per ogni riproduzione sarebbe diventato miliardario. Ma aveva venduto a caldo i diritti, pensando che poi non gli era andata troppo male, per una foto impressa alla fine di una partita noiosa, scattata dal fondo di una buca, quando- secondo la leggenda - la vescica cominciava a far male. Una storia, una foto impressa dal basso. Nel “metodo Banchi”, al momento perfetto.

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La rovesciata di Parola, Firenze, 15 gennaio 1952

Partita Italia Argentina, Banchi con Maradona, Firenze 1986

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con Lenzi, Bianciardi e Cassola. Proprio per Lenzi, allora regista alle prime armi, Banchi lavorò come cameraman alle riprese del documentario Dalle tenebre al mare, un omaggio al duro lavoro dei minatori delle Colline Metallifere, del 1955. Intanto quando la Fiorentina gioca in casa lui fotografa allo stadio Comunale. Non era solo un fotografo, era anche il primo tifoso con la Leica in mano. Irruente e focoso, impressionava la pellicola in 35 millimetri ai limiti dell’invasione di campo. Del resto con i piedi sulla striscia di gesso era abituato a starci da sempre: a bordo campo prima del fotografo aveva fatto, per la Fiorentina degli anni Venti - che all’ epoca si chiamava Libertas - il raccattapalle. Foto di reportage, poi foto di sport, non poteva mancare negli anni Sessanta la fotografia di moda e di gossip. E del resto gli era già capitato di fotografare a Salsomaggiore la Loren nel 1950, quando partecipò a Miss Italia. Banchi scattava nella Punta Ala dei concorsi ippici e delle ville nascoste tra i pini, su un golfo ormai tragicamente diverso da quello delle dune, dei paduli e delle case basse dei pescatori, su cui si era esercitato con la sua prima macchina fotografica ai tempi del servizio militare. Inseguendo i vip ritrovò Umberto Lenzi, ormai regista affermato, che ricorda: «Fui felice quando venne a Punta Ala per un backstage sul set di “Così dolce... così perversa”, il secondo film che girai con Carroll Baker. Era il 1968». Gli ultimi anni prima della pensione lavorò come fotografo di paese, anche se non smise mai di andare la domenica a fotografare la Fiorentina. Lo ricorda così anche il fotografo massetano Stefano Pacini, che ha digitalizzato più di diecimila negativi dell’ archivio Banchi. «Cominciai a portare a sviluppare i rullini in bianco e nero nello studio di Corrado. Senza che glielo chiedessi, quando andavo a ritirarli lui, prima di consegnarmeli, squadernava la pellicola sul bancone e commentava ad alta voce. Qualche volta, invece di darli a me li buttava direttamente nel cestino. Era il “metodo Banchi”: intuitivo, burbero ma efficace». Pacini ricorda anche i suoi consigli. Diceva sempre che era meglio «rischiare e fare la foto piuttosto che aspettare il momento perfetto e poi non farla». Ma quel momento lo andava a cercare lui. Sempre alla ricerca di storie da scoprire, anche quando era in pensione. Me lo racconta il figlio Paolo, che ha lavorato al suo fianco per venticinque anni nel laboratorio fotografico di Massa Marittima: «Anche in vecchiaia teneva sempre nella Panda la Leica, nascosta dentro a un giornale. Era sempre pronto a scattare, aveva sempre un’idea in capo. Dopo che gli avevano tolto la patente, a ottantasei anni, si fece 40 chilometri con un Vespa 50 per andare fino a una redazione grossetana e proporre un

Corrado Banchi segue una corsa ciclistica da una moto Massa Marittima, 1952

servizio fotografico». A me viene da pensare che ogni volta che da piccolo aprivo un pacchetto di figurine Panini, dovevo mandare a pezzi la sua foto più celebre. Un atto di iconoclastia che forse lui stesso ha compiuto qualche volta. Per quella foto, che a Caracas fu riprodotta in una gigantografia impressionante, prese solo tremila lire. Neanche poche. Però con un centesimo per ogni riproduzione sarebbe diventato miliardario. Ma aveva venduto a caldo i diritti, pensando che poi non gli era andata troppo male, per una foto impressa alla fine di una partita noiosa, scattata dal fondo di una buca, quando- secondo la leggenda - la vescica cominciava a far male. Una storia, una foto impressa dal basso. Nel “metodo Banchi”, al momento perfetto.

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Fra un mese avrò 72 anni Corrado Banchi, 1984 *

Corrado banchi militare, 1941

Follonica, militari e civili sul pontile dell’Ilva, primi anni ‘40

* Manoscritto originale su carta intestata Foto Banchi laboratorio colore, via Moncini 32, Massa Marittima, 10 ottobre 1984

8

Il mio nome e cognome: Corrado Banchi, nato a Firenze 6 novembre 1912. Fra un mese avrò 72 anni. Sono nato e cresciuto da una famiglia di commercianti di generi alimentari ingrosso e dettaglio. Fino da quando ho potuto capire i miei pensieri andavano alla macchina fotografica, facendo scuotere la testa a mia madre e a mio padre - quei tempi non erano proprio maturi per incoraggiare una simile passione. Così che sono arrivato ai venti anni, senza essere né pesce, né carne, ma come spesso succede ero il più piccolo dei tre fratelli ed ero accontentato in tutto. Aspettavo con gioia la chiamata a fare il soldato, ed infatti fui assegnato all’aeronautica proprio a Orbetello dove arrivai preciso per vivere giornate indimenticabili con la crociera del decennale che partiva per l’America del Nord, ero proprio nel mio centro, tanto nel centro che mi dimenticai per molto tempo di scrivere ai miei che fecero allarmati un telegramma all’aeroporto, che mi costò la mia prima prigione da militare. Per tornare ad Orbetello non avrei mai immaginato nel 1933 che sette anni dopo sarei stato richiamato nella territoriale qui in Maremma a Follonica, e mi sarei formato una famiglia per restarci per sempre. Per precisare in tutto ho fatto quasi sette anni di militare. Sembra che qui stia per raccontarvi una barzelletta ma non ho mai avuto nessuna tessera di partito, prima perché non avendo lavoro statale non ero sottoposto a controlli, ma più che altro io penso che nella mia gioventù non ci fosse molta organizzazione. Arrivato in Maremma (Dicembre 1940). Sono circa 43 anni, guardandomi indietro mi ricordo che eravamo proprio alla “diligenza” in fatto di fotografia e pubblicità, quello che ho fatto non è compito mio illustrarlo. 1943, Follonica e poi Massa. Dopo tre anni e mezzo di Follonica e dintorni al comando del Battaglione, arriva l’otto settembre. Avevo capito che con un minimo sforzo sarebbe andato tutto bene, ma ero molto preoccupato. Rivedevo Firenze e i generi alimentari (che frattanto i miei avevano una posizione finanziaria davvero invidiabile). I conti come al solito non li avevo fatti bene: altro lavorare con le spalle grigio verdi (mi ero dimenticato che da aviatore, da richiamato ero stato messo in fanteria). A Firenze mi aspettavano a piè fermo, senza quattrini, e senza fissa dimora dove vuoi che vada!! Decisi su due piedi di sposarmi approfittando che mio cognato era prigioniero in Albania sarei andato a dormire nel suo letto, la moglie nel suo, poi si vedrà. Dopo sposati si vide subito che si era visto male, raccomandati si trovò una bella baracca sul mare (ce ne era quante se ne voleva, gente di Milano, di Firenze…). C’ea un silenzio che sembrava di essere in una casa di cura, più calettata di così non poteva essere la luna di miele. Dopo qualche giorno ho capito del silenzio, cinquanta metri da noi c’era un distaccamento di tedeschi SS, non c’era che da fare buon viso a cattiva sorte, e la sorte mi venne incontro sotto forma di ben trovato appena seppero che io ero fotografo, ma fecero di più: mi davano il permesso di andare a tendere le tagliole a lati della pineta che era tutta minata (non c’era mai anima viva). Questa specie di paradiso terrestre durò un paio di mesi, il lavoro ne avevo sempre tanto da parte dei miei amici tedeschi che pagavano contenti di poter mandare alle loro case le foto, ma come spesso accade una mattina venne il bello, due apparecchi americani vennero a mitragliare la stazione e una piccola razione ce la scaricarono sui tetti delle baracche (erano

Riprese per la Settimana Incom, 1956

le sei del mattino). Si pensò che fosse un’azione tanto per fare, ed invece durarono una settimana, era una sveglia che niente aveva a che fare con gli orologi che alla sera si mettono sull’ora. Decisione immediata: si prepara armi e bagagli, si prende il trenino e si viene a Massa. Era il marzo 1944, non faccio in tempo ad arrivare che a giugno sono protagonista di due fatti che rimarranno nella storia di Massa ed oltre. Pochi giorni prima che i tedeschi si ritirassero in un clima di paura che faceva perdere il sonno, viene da me una persona che non dimenticherò più, Emilio Banchi. Si trattava di andare a piedi a Castelnuovo per cercare di mettere ordine con foto ai martiri di Niccioleta stesi nell’androne del cimitero. Vidi subito il fascino dell’avventura anche se durante il viaggio mi prese una grande paura ed ero sul punto di tornare indietro, ma la fede incrollabile di questo babbo che voleva rivedere suo figlio morto mi faceva andare avanti, arriviamo per vie traverse a Castelnuovo ma troppo tardi: diverse persone stavano riempiendo una buca lunga una decina di metri tutta spruzzata di calce (come da foto giganti esposte sul sagrato del Duomo). Pochi giorni dopo l’entrata degli americani, le foto che sono andate anche in America, ancora Grosseto, Orbetello e Livorno (scuole elementari) mi richiedono queste foto della Seconda Guerra Mondiale. Solo ora mi rendo conto di questi due episodi, e dell’importanza storica, tanto è vero che l’episodio di Castelnuovo mi era passato per anni dalla mente. E più che scrivo e più mi meraviglio di quante cose importanti io abbia fatto, sì perché una rassegna del mio operato non l’avevo mai fatta. Dal 1951 al 1956 Da militare a Follonica, dal 1941 al 1943, avevo stretto amicizia con un collega soldato, molto in gamba a tutelare i suoi interessi. Divenuto dopo l’8 settembre 1943 capo dei servizi cinematografici (Settimana Incom) di tutta la Toscana, a Firenze (villa molto bella in Viale dei Colli), mi chiama nel 1952? e io mi butto a tuffo. Primo servizio: eruzione dell’Etna in Sicilia, riprese che vanno in tutto il mondo. Secondo servizio: alluvione del Polesine , prime riprese dall’elicottero che venivano tutte ondulate. Questi servizi erano molto pericolosi ed io ero attratto irresistibilmente. Il capo aveva una paura folle. Maggio 1953: arriva in un lampo qua a Massa la tragedia di Ribolla. Sono il primo ad arrivare al Pozzo Camorra (favorito dalla vicinanza), poi alle dieci di mattina arriveranno da Milano, Firenze e Roma tanti miei colleghi. Le mie foto andranno su settimanali e quotidiani anche esteri. 1982: in occasione del 38° anniversario dei Martiri di Niccioleta l’Amministrazione Comunale mi commissiona 40 pannelli che vengono esposti su cavalletti sul sagrato del Duomo. Gli sfileranno davanti centinaia di persone, tante venute da tutta la provincia. Queste gigantografie saranno fra breve messe definitivamente nella sala del Consiglio Comunale (questo mi è stato detto dalle persone che contano), e questo per me sarebbe davvero motivo di orgoglio in quanto completerebbe la mia opera. E questo per me sarebbe il massimo: la sala del Consiglio Comunale ora diventerebbe una mostra permanente di Corrado Banchi. La gigantografia del minatore, simbolo del lavoro dei massetani, e la foto della medaglia d’oro Norma Parenti, questa già da tempo dentro la sala (la foto fatta da me qualche mese prima della morte) e sono ancora di grande attualità: la provincia e il comune di Prato mi hanno ordinato oltre 100 gigantografie. 9

Fra un mese avrò 72 anni Corrado Banchi, 1984 *

Corrado banchi militare, 1941

Follonica, militari e civili sul pontile dell’Ilva, primi anni ‘40

* Manoscritto originale su carta intestata Foto Banchi laboratorio colore, via Moncini 32, Massa Marittima, 10 ottobre 1984

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Il mio nome e cognome: Corrado Banchi, nato a Firenze 6 novembre 1912. Fra un mese avrò 72 anni. Sono nato e cresciuto da una famiglia di commercianti di generi alimentari ingrosso e dettaglio. Fino da quando ho potuto capire i miei pensieri andavano alla macchina fotografica, facendo scuotere la testa a mia madre e a mio padre - quei tempi non erano proprio maturi per incoraggiare una simile passione. Così che sono arrivato ai venti anni, senza essere né pesce, né carne, ma come spesso succede ero il più piccolo dei tre fratelli ed ero accontentato in tutto. Aspettavo con gioia la chiamata a fare il soldato, ed infatti fui assegnato all’aeronautica proprio a Orbetello dove arrivai preciso per vivere giornate indimenticabili con la crociera del decennale che partiva per l’America del Nord, ero proprio nel mio centro, tanto nel centro che mi dimenticai per molto tempo di scrivere ai miei che fecero allarmati un telegramma all’aeroporto, che mi costò la mia prima prigione da militare. Per tornare ad Orbetello non avrei mai immaginato nel 1933 che sette anni dopo sarei stato richiamato nella territoriale qui in Maremma a Follonica, e mi sarei formato una famiglia per restarci per sempre. Per precisare in tutto ho fatto quasi sette anni di militare. Sembra che qui stia per raccontarvi una barzelletta ma non ho mai avuto nessuna tessera di partito, prima perché non avendo lavoro statale non ero sottoposto a controlli, ma più che altro io penso che nella mia gioventù non ci fosse molta organizzazione. Arrivato in Maremma (Dicembre 1940). Sono circa 43 anni, guardandomi indietro mi ricordo che eravamo proprio alla “diligenza” in fatto di fotografia e pubblicità, quello che ho fatto non è compito mio illustrarlo. 1943, Follonica e poi Massa. Dopo tre anni e mezzo di Follonica e dintorni al comando del Battaglione, arriva l’otto settembre. Avevo capito che con un minimo sforzo sarebbe andato tutto bene, ma ero molto preoccupato. Rivedevo Firenze e i generi alimentari (che frattanto i miei avevano una posizione finanziaria davvero invidiabile). I conti come al solito non li avevo fatti bene: altro lavorare con le spalle grigio verdi (mi ero dimenticato che da aviatore, da richiamato ero stato messo in fanteria). A Firenze mi aspettavano a piè fermo, senza quattrini, e senza fissa dimora dove vuoi che vada!! Decisi su due piedi di sposarmi approfittando che mio cognato era prigioniero in Albania sarei andato a dormire nel suo letto, la moglie nel suo, poi si vedrà. Dopo sposati si vide subito che si era visto male, raccomandati si trovò una bella baracca sul mare (ce ne era quante se ne voleva, gente di Milano, di Firenze…). C’ea un silenzio che sembrava di essere in una casa di cura, più calettata di così non poteva essere la luna di miele. Dopo qualche giorno ho capito del silenzio, cinquanta metri da noi c’era un distaccamento di tedeschi SS, non c’era che da fare buon viso a cattiva sorte, e la sorte mi venne incontro sotto forma di ben trovato appena seppero che io ero fotografo, ma fecero di più: mi davano il permesso di andare a tendere le tagliole a lati della pineta che era tutta minata (non c’era mai anima viva). Questa specie di paradiso terrestre durò un paio di mesi, il lavoro ne avevo sempre tanto da parte dei miei amici tedeschi che pagavano contenti di poter mandare alle loro case le foto, ma come spesso accade una mattina venne il bello, due apparecchi americani vennero a mitragliare la stazione e una piccola razione ce la scaricarono sui tetti delle baracche (erano

Riprese per la Settimana Incom, 1956

le sei del mattino). Si pensò che fosse un’azione tanto per fare, ed invece durarono una settimana, era una sveglia che niente aveva a che fare con gli orologi che alla sera si mettono sull’ora. Decisione immediata: si prepara armi e bagagli, si prende il trenino e si viene a Massa. Era il marzo 1944, non faccio in tempo ad arrivare che a giugno sono protagonista di due fatti che rimarranno nella storia di Massa ed oltre. Pochi giorni prima che i tedeschi si ritirassero in un clima di paura che faceva perdere il sonno, viene da me una persona che non dimenticherò più, Emilio Banchi. Si trattava di andare a piedi a Castelnuovo per cercare di mettere ordine con foto ai martiri di Niccioleta stesi nell’androne del cimitero. Vidi subito il fascino dell’avventura anche se durante il viaggio mi prese una grande paura ed ero sul punto di tornare indietro, ma la fede incrollabile di questo babbo che voleva rivedere suo figlio morto mi faceva andare avanti, arriviamo per vie traverse a Castelnuovo ma troppo tardi: diverse persone stavano riempiendo una buca lunga una decina di metri tutta spruzzata di calce (come da foto giganti esposte sul sagrato del Duomo). Pochi giorni dopo l’entrata degli americani, le foto che sono andate anche in America, ancora Grosseto, Orbetello e Livorno (scuole elementari) mi richiedono queste foto della Seconda Guerra Mondiale. Solo ora mi rendo conto di questi due episodi, e dell’importanza storica, tanto è vero che l’episodio di Castelnuovo mi era passato per anni dalla mente. E più che scrivo e più mi meraviglio di quante cose importanti io abbia fatto, sì perché una rassegna del mio operato non l’avevo mai fatta. Dal 1951 al 1956 Da militare a Follonica, dal 1941 al 1943, avevo stretto amicizia con un collega soldato, molto in gamba a tutelare i suoi interessi. Divenuto dopo l’8 settembre 1943 capo dei servizi cinematografici (Settimana Incom) di tutta la Toscana, a Firenze (villa molto bella in Viale dei Colli), mi chiama nel 1952? e io mi butto a tuffo. Primo servizio: eruzione dell’Etna in Sicilia, riprese che vanno in tutto il mondo. Secondo servizio: alluvione del Polesine , prime riprese dall’elicottero che venivano tutte ondulate. Questi servizi erano molto pericolosi ed io ero attratto irresistibilmente. Il capo aveva una paura folle. Maggio 1953: arriva in un lampo qua a Massa la tragedia di Ribolla. Sono il primo ad arrivare al Pozzo Camorra (favorito dalla vicinanza), poi alle dieci di mattina arriveranno da Milano, Firenze e Roma tanti miei colleghi. Le mie foto andranno su settimanali e quotidiani anche esteri. 1982: in occasione del 38° anniversario dei Martiri di Niccioleta l’Amministrazione Comunale mi commissiona 40 pannelli che vengono esposti su cavalletti sul sagrato del Duomo. Gli sfileranno davanti centinaia di persone, tante venute da tutta la provincia. Queste gigantografie saranno fra breve messe definitivamente nella sala del Consiglio Comunale (questo mi è stato detto dalle persone che contano), e questo per me sarebbe davvero motivo di orgoglio in quanto completerebbe la mia opera. E questo per me sarebbe il massimo: la sala del Consiglio Comunale ora diventerebbe una mostra permanente di Corrado Banchi. La gigantografia del minatore, simbolo del lavoro dei massetani, e la foto della medaglia d’oro Norma Parenti, questa già da tempo dentro la sala (la foto fatta da me qualche mese prima della morte) e sono ancora di grande attualità: la provincia e il comune di Prato mi hanno ordinato oltre 100 gigantografie. 9

Follonica, Via Roma 98 Corrado Banchi *

Corrado Banchi, sulla spiaggia di Follonica, anni ‘40

* Dattiloscritto originale su moduli rigati del periodico La Torre Massetana, senza indicazione di data 10

Se ti sporgi di un passo dalla porta anche senza lasciare il battente con la mano e guardi in giù non è cambiato quasi niente da allora, dritta come il tracciato di una palla di schioppo, via Roma ti porta d’infilata dentro al mare, è così che la vidi per la prima volta nel Dicembre del 1941. Detto questo partiamo con l’intenzione di narrare un racconto quasi tutto autobiografico nel migliore dei modi, essendo composto di varii periodi, sperando si possa ricucire quel tanto da renderlo scorrevole. 24 dicembre 1940, stazione di Follonica. Sono circa le 16, il treno che mi aveva portato da Livorno se ne va. Bisogna fare in fretta, fra non molto ci sarà l’oscuramento e non so proprio a chi rivolgermi per trovare questo Sugherificio sede della 2A Compagnia. 24 dicembre, la vigilia di Natale. Ci sarebbe da pensare a tante cose, ma non è il momento, fuori della stazione vedo uno stradone che diventa un viottolo sabbioso e poi il mare così calmo da trarmi in inganno rispetto a quello che poi imparerò in tanti anni. Davanti al mare e tutto quel silenzio mi ritorna in mente la vigilia di Natale, niente sentimentalismi dico io, bisogna stare con i piedi per terra, ma un pensiero mi rannuvola. - Chissà se in cucina così fuori orario troverò qualcosa da mangiare! In cucina non trovai nulla ma in compenso ebbi l’informazione giusta che mi indirizzò al Sugherificio, sede della mia Compagnia. Dalla 3A Compagnia fui trasferito al Comando di Battaglione come fotografo per rilievi costieri. Il Comando era situato in una bella palazzina di fianco alla chiesa di S. Leopoldo. La villa aveva tanto di targa: “Villa Norma”. In quell’angolo della piazza solitamente poco transitata si venne a creare un continuo via vai di ufficiali e soldati che nel primo pomeriggio portava a curiosare un gruppo di ragazze che stavano là di casa. La novità aveva una parte importante nelle loro chiacchiere e noi soldati eravamo trattati con molta simpatia. Come dicevo il gruppo di ragazze era sì e no ad una distanza di 50 metri che in pochi giorni fu tutta annullata. Da una parte avanzavano loro e dall’altra si andava avanti noi. “L’incontro” fu stabilito davanti all’ingresso del mulino. I più intraprendenti che restavano troppo in “ferma“ si ritrovavano i capelli tutti bianchi, ma allora bastava dargli una “sgruzzolata “ con le mani... Dopo le chiacchiere si cercava l’abbordaggio con insistenza, ma non era cosa facile, noi eravamo considerati “merce in transito”. Io intanto avevo fermato la mia attenzione su di una ragazza con i capelli biondo cenere, vitino di vespa, che camminava dritta come un fuso. Si divertiva alle mie battute in fiorentino, ma era sempre molto prudente e fu così che con tutte quelle prudenze mi ritrovai a varcare la soglia di via Roma 98; così Lei (che poi è diventata mia moglie) aveva messo una seria ipoteca ai miei risvegli di libertà. Lei era brava e pratica. La suocera sospettosa, manteneva le distanze, un soldato oggi c’è, domani chissà dove lo mandano... Lei si dimostrò subito indispensabile riattaccando i bottoni della giacca grigio-verde che io avevo fermato col filo di rame. Questo fatto mi fece un buon effetto e pensai con fiducia al “dopo” (dopo c’è stato un po’ da borbottare per questa operazione).

Matrimonio di Corrado Banchi e Lola Chiti, Follonica, febbraio 1944

Lola Chiti sulle scale di casa, via Roma 98, Follonica, febbraio 1944

Facciamo passare l’inverno e anche la primavera. Al principio dell’estate fui trasferito ad un Comando Antiparacadutisti con dormitorio sotto le tribune del campo sportivo: lì mi sorprese l’8 settembre 1943. Non vi dico cosa successe quella mattina! Discorsi se ne fece tanti ma talmente aggrovigliati che poco dopo ci fu un’esplosione. Chi fu proiettato verso sud, chi verso nord, io mi ritrovai solo, seduto su di una vecchia sedia di vimini, circondato da un mare di coperte con contorno di gavette e cucchiai. In quella circostanza c’era una cosa sola da fare: Via Roma 98, dalla tribuna del campo sportivo dista sì e no 5 o 600 m, e così feci... Lasciato il grigio-verde bisogna subito stringere e fare un passo avanti, anzi un volo di qualche mese, che mi fa planare una mattina di febbraio di tanti anni fa, davanti a Don Ugo. Girando lo sguardo attorno fra quelle panche vuote noi sembravamo piccini piccini in quella Chiesa fredda e silenziosa! In cinque minuti fu tutto fatto! Di ritorno dalla “cerimonia” passammo a piedi dalla Piazza del Mercato. La Giustina ci offrì due bomboloni. Era il primo regalo di nozze! Dalla piazza del mercato al Viale Italia il “viaggio” è tutto lì! Noi avevamo scelto una bella baracca; solo di quelle ce n’era in abbondanza, fin quando è durata la guerra. Bastava alzare una mano e rivolgersi alla Giustina che con un mazzo di chiavi da fare invidia a S. Pietro ti apriva la porta desiderata. Allora nel Viale Italia saremo stati sì e no una ventina di persone. Silenzio e clima da luna di miele per noi ma dato i tempi che correvano mi dicevo: - Speriamo che duri. Infatti dopo una settimana fui subito smentito. Una mattina, saranno state le sei, sentiamo un gran boato che fece tremare tutte le baracche. Era il primo caccia americano che ci dava il buongiorno mitragliando a volo radente. Di quei “saluti” ce ne furono parecchi! Infatti, appena faceva giorno sentivamo il ronzio anche quando non c’era, ma poi arrivavano davvero ed era un fuggi fuggi dentro la pineta. Una mattina Lola dalla paura perse le ciabatte, un’altra mattina “perse” tutte e due le gambe. La ripresi al volo perché non sbattesse contro un pino. E così che l’attesa luna di miele si trasformò in luna di fiele! Non c’era che tornare in tutta fretta in via Roma 98. E qui come ho fatto prima, rifaccio un salto di mesi, ma diciamo pure di qualche anno per trovarmi già avviato, per trovarmi già avviato al principio dell’estate dentro la famiglia di mia moglie. Ricordo la piacevole novità di ogni principio di luglio, la casa si riempiva di parenti con letti improvvisati da tutte le parti. A me piaceva molto quella confusione ripensando alla mia casa di Firenze dove non succedeva mai niente. Per chi non lo sapesse via Roma 98 ha le finestre delle camere che si affacciano dentro lo Stabilimento Ilva proprio davanti ai forni di fusione che in quel periodo erano in piena attività. Non c’era bisogno la mattina della sveglia. C’era un motore così potente da tenerti rintontito per tutto il tempo che restavi a casa. Ma la fusione a nonna Elia andava benissimo, serviva per parcheggiare alla finestra di camera mio figlio Paolo e la nipote Laura che stavano a guardare quel mondo fantastico: quella specie di fuochi artificiali che si sprigionavano dalla fusione incandescente del metallo. Zitti stavano col naso per aria a seguire quei semicerchi di fuoco, fin che non chiedevano aiuto col culo “insugherito“, anche se era protetto col guanciale . Ripensando alla “fusione“ che era sempre gradita a nonna Elia per il citato parcheggio, non ricordo da chi ebbi una 11

Follonica, Via Roma 98 Corrado Banchi *

Corrado Banchi, sulla spiaggia di Follonica, anni ‘40

* Dattiloscritto originale su moduli rigati del periodico La Torre Massetana, senza indicazione di data 10

Se ti sporgi di un passo dalla porta anche senza lasciare il battente con la mano e guardi in giù non è cambiato quasi niente da allora, dritta come il tracciato di una palla di schioppo, via Roma ti porta d’infilata dentro al mare, è così che la vidi per la prima volta nel Dicembre del 1941. Detto questo partiamo con l’intenzione di narrare un racconto quasi tutto autobiografico nel migliore dei modi, essendo composto di varii periodi, sperando si possa ricucire quel tanto da renderlo scorrevole. 24 dicembre 1940, stazione di Follonica. Sono circa le 16, il treno che mi aveva portato da Livorno se ne va. Bisogna fare in fretta, fra non molto ci sarà l’oscuramento e non so proprio a chi rivolgermi per trovare questo Sugherificio sede della 2A Compagnia. 24 dicembre, la vigilia di Natale. Ci sarebbe da pensare a tante cose, ma non è il momento, fuori della stazione vedo uno stradone che diventa un viottolo sabbioso e poi il mare così calmo da trarmi in inganno rispetto a quello che poi imparerò in tanti anni. Davanti al mare e tutto quel silenzio mi ritorna in mente la vigilia di Natale, niente sentimentalismi dico io, bisogna stare con i piedi per terra, ma un pensiero mi rannuvola. - Chissà se in cucina così fuori orario troverò qualcosa da mangiare! In cucina non trovai nulla ma in compenso ebbi l’informazione giusta che mi indirizzò al Sugherificio, sede della mia Compagnia. Dalla 3A Compagnia fui trasferito al Comando di Battaglione come fotografo per rilievi costieri. Il Comando era situato in una bella palazzina di fianco alla chiesa di S. Leopoldo. La villa aveva tanto di targa: “Villa Norma”. In quell’angolo della piazza solitamente poco transitata si venne a creare un continuo via vai di ufficiali e soldati che nel primo pomeriggio portava a curiosare un gruppo di ragazze che stavano là di casa. La novità aveva una parte importante nelle loro chiacchiere e noi soldati eravamo trattati con molta simpatia. Come dicevo il gruppo di ragazze era sì e no ad una distanza di 50 metri che in pochi giorni fu tutta annullata. Da una parte avanzavano loro e dall’altra si andava avanti noi. “L’incontro” fu stabilito davanti all’ingresso del mulino. I più intraprendenti che restavano troppo in “ferma“ si ritrovavano i capelli tutti bianchi, ma allora bastava dargli una “sgruzzolata “ con le mani... Dopo le chiacchiere si cercava l’abbordaggio con insistenza, ma non era cosa facile, noi eravamo considerati “merce in transito”. Io intanto avevo fermato la mia attenzione su di una ragazza con i capelli biondo cenere, vitino di vespa, che camminava dritta come un fuso. Si divertiva alle mie battute in fiorentino, ma era sempre molto prudente e fu così che con tutte quelle prudenze mi ritrovai a varcare la soglia di via Roma 98; così Lei (che poi è diventata mia moglie) aveva messo una seria ipoteca ai miei risvegli di libertà. Lei era brava e pratica. La suocera sospettosa, manteneva le distanze, un soldato oggi c’è, domani chissà dove lo mandano... Lei si dimostrò subito indispensabile riattaccando i bottoni della giacca grigio-verde che io avevo fermato col filo di rame. Questo fatto mi fece un buon effetto e pensai con fiducia al “dopo” (dopo c’è stato un po’ da borbottare per questa operazione).

Matrimonio di Corrado Banchi e Lola Chiti, Follonica, febbraio 1944

Lola Chiti sulle scale di casa, via Roma 98, Follonica, febbraio 1944

Facciamo passare l’inverno e anche la primavera. Al principio dell’estate fui trasferito ad un Comando Antiparacadutisti con dormitorio sotto le tribune del campo sportivo: lì mi sorprese l’8 settembre 1943. Non vi dico cosa successe quella mattina! Discorsi se ne fece tanti ma talmente aggrovigliati che poco dopo ci fu un’esplosione. Chi fu proiettato verso sud, chi verso nord, io mi ritrovai solo, seduto su di una vecchia sedia di vimini, circondato da un mare di coperte con contorno di gavette e cucchiai. In quella circostanza c’era una cosa sola da fare: Via Roma 98, dalla tribuna del campo sportivo dista sì e no 5 o 600 m, e così feci... Lasciato il grigio-verde bisogna subito stringere e fare un passo avanti, anzi un volo di qualche mese, che mi fa planare una mattina di febbraio di tanti anni fa, davanti a Don Ugo. Girando lo sguardo attorno fra quelle panche vuote noi sembravamo piccini piccini in quella Chiesa fredda e silenziosa! In cinque minuti fu tutto fatto! Di ritorno dalla “cerimonia” passammo a piedi dalla Piazza del Mercato. La Giustina ci offrì due bomboloni. Era il primo regalo di nozze! Dalla piazza del mercato al Viale Italia il “viaggio” è tutto lì! Noi avevamo scelto una bella baracca; solo di quelle ce n’era in abbondanza, fin quando è durata la guerra. Bastava alzare una mano e rivolgersi alla Giustina che con un mazzo di chiavi da fare invidia a S. Pietro ti apriva la porta desiderata. Allora nel Viale Italia saremo stati sì e no una ventina di persone. Silenzio e clima da luna di miele per noi ma dato i tempi che correvano mi dicevo: - Speriamo che duri. Infatti dopo una settimana fui subito smentito. Una mattina, saranno state le sei, sentiamo un gran boato che fece tremare tutte le baracche. Era il primo caccia americano che ci dava il buongiorno mitragliando a volo radente. Di quei “saluti” ce ne furono parecchi! Infatti, appena faceva giorno sentivamo il ronzio anche quando non c’era, ma poi arrivavano davvero ed era un fuggi fuggi dentro la pineta. Una mattina Lola dalla paura perse le ciabatte, un’altra mattina “perse” tutte e due le gambe. La ripresi al volo perché non sbattesse contro un pino. E così che l’attesa luna di miele si trasformò in luna di fiele! Non c’era che tornare in tutta fretta in via Roma 98. E qui come ho fatto prima, rifaccio un salto di mesi, ma diciamo pure di qualche anno per trovarmi già avviato, per trovarmi già avviato al principio dell’estate dentro la famiglia di mia moglie. Ricordo la piacevole novità di ogni principio di luglio, la casa si riempiva di parenti con letti improvvisati da tutte le parti. A me piaceva molto quella confusione ripensando alla mia casa di Firenze dove non succedeva mai niente. Per chi non lo sapesse via Roma 98 ha le finestre delle camere che si affacciano dentro lo Stabilimento Ilva proprio davanti ai forni di fusione che in quel periodo erano in piena attività. Non c’era bisogno la mattina della sveglia. C’era un motore così potente da tenerti rintontito per tutto il tempo che restavi a casa. Ma la fusione a nonna Elia andava benissimo, serviva per parcheggiare alla finestra di camera mio figlio Paolo e la nipote Laura che stavano a guardare quel mondo fantastico: quella specie di fuochi artificiali che si sprigionavano dalla fusione incandescente del metallo. Zitti stavano col naso per aria a seguire quei semicerchi di fuoco, fin che non chiedevano aiuto col culo “insugherito“, anche se era protetto col guanciale . Ripensando alla “fusione“ che era sempre gradita a nonna Elia per il citato parcheggio, non ricordo da chi ebbi una 11

Follonica, la spiaggia e le baracche, giugno 1941

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informazione che volli di persona a verificare recandomi a Firenze in piazza del Duomo. Sì era proprio vero. La ringhiera che cinge tutto intorno il Duomo, uno dei monumenti più celebri del mondo intero, era stata fusa tanti anni prima, lì a venti metri dai nasi all’insù di Paolo e Laura. Dopo aver ricordato questo fatto storico ricorderò anche lo sgomento che ne seguì in seguito alla chiusura dello Stabilimento. A me faceva impressione, guardando dalla finestra sentire quel silenzio e vedere tutti gli strumenti da lavoro senza vita. Sembrava che dentro l’Ilva si fosse trasferito un cimitero. Chiedo scusa agli amici lettori, ma bisogna “tagliare”. Se ne parlò tanto a suo tempo. Riprendiamo il discorso da dentro casa e ci ritroviamo davanti a mio suocero, personaggio a dir poco straordinario. Non si levava mai il cappello di capo anche quando si andava a mangiare, e, quando di rado lo faceva, portava tutte e due le mani alla tesa e delicatamente con gesto garbato, lo deponeva sopra un mobile. Senza cappello non era più lui! Dalla fronte in su sembrava di gesso, più giù marrone bruciato e in più una ragnatela di rughe da farlo assomigliare ad un capo indiano. Un giorno di ritorno dalla spiaggia trovai mio suocero davanti alla porta di casa, seduto su di una seggiolina di quelle da bambini con un libricino in mano. Notai in quelle paginette tante aste da una parte e dall’altra. Sapete cosa stava facendo? Stava facendo il censimento dei veicoli che gli passavano davanti. Le aste lunghe (6) gli autobus, le aste corte (180) auto e calessi, aperta parentesi (anno del censimento 15 agosto 1946). Da qui si comincia il racconto della signora Anita. A guardarla non ci trovavi niente di speciale. Piccola di statura con tutti i capelli bianchi raccolti dietro la nuca con una “crocchina“. Volete sapere quale dote la rendesse tanto preziosa alle mamme che la sera facevano capo li, “a veglia“ davanti alla porta di Via Roma 98? Ebbene, tutte le sere (mi riferisco all’estate) si accollava l’onere di portare otto ragazzi alla “recita“ di Pipetto. Due erano suoi nipoti, gli altri sei venivano “sospinti” con una certa decisione, fra le braccia della signora Anita. Pittoresca e travagliata era la partenza piena di grida e raccomandazioni. Poi via sul marciapiede, a briglia sciolta! La signora Anita veniva aggirata e “sventagliata” una ventina di volte fino all’incrocio fra Via Roma e Via Bicocchi, dove tutto si ricomponeva. Si stava per entrare in “centro”. Se la signora Anita è per i miei ricordi un personaggio irripetibile, non da meno è questo famoso Pipetto. Bisogna riportarsi agli anni del dopoguerra, quando alla gente andava tutto bene, senza sottilizzare troppo sul talento artistico degli attori. Cercherò di descrivere il Pipetto attore, che non aveva mezze misure, era sempre sul tragico più. Sentite con che repertorio era calato a Follonica: Le due orfanelle, Pia de’ Tolomei, La cieca di Sorrento, e per ultimo, tanto per essere in chiave con i tempi, Il ritorno del Partigiano . Per allargare la curiosità dei lettori dirò dove si trovava il “teatro” per rappresentare detti spettacoli. Il teatro consisteva in un motocarro Guzzi, il cassone era il palcoscenico e per sipario il tendone cerato. Località: dietro la casa del Popolo. Tutte le sere l’esaurito (le sedie si dovevano portare da casa). Anche io qualche volta mi fermavo a vedere le rappresentazioni e fu così che una sera mi trovai coinvolto in pieno dramma . Si rappresentava appunto “Il ritorno del Partigiano”. Bastava conoscere il titolo per sapere dove si andava a finire. C’era un po’ di tutto: l’amor patrio, il vile tradimento

dell’amata. Intensa era l’emozione della platea quando Pipetto irrompeva sul proscenio, braccio destro alzato, brandendo un fucile calibro 12, Un grido strozzato, e poi fucilate dell’ottanta. Ma l’emozione intensa si attenuava un po’ perché l’entrata impetuosa di Pipetto faceva tremare ed ondeggiare tutto il “teatro“. Non vorrei esagerare, per un momento sembrava proprio ci fosse il terremoto. Malgrado le tante emozioni, la nostra signora Anita non si era troppo divagata e ogni tanto allungava un braccio per strattonare per le spalle qualcuno del gruppo che accennava a qualche distrazione. Lo spettacolo è finito, si è fatto tardi, i ragazzi sulla strada del ritorno non corrono più, camminano “appallati” attorno alla signora Anita, lungo il muraglione che dal Comune porta a casa. L’orologio dell’Ilva suona mezzanotte. Ai ragazzi che hanno sonno non dice nulla, ma a me dà il pretesto per ricordare questo caro amico, anche se si è sempre preso gioco di me, con i suoi tocchi, rintocchi e quarti. Non sono mai riuscito a stabilire l’ora esatta.

Follonica, anni ‘40

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Follonica, la spiaggia e le baracche, giugno 1941

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informazione che volli di persona a verificare recandomi a Firenze in piazza del Duomo. Sì era proprio vero. La ringhiera che cinge tutto intorno il Duomo, uno dei monumenti più celebri del mondo intero, era stata fusa tanti anni prima, lì a venti metri dai nasi all’insù di Paolo e Laura. Dopo aver ricordato questo fatto storico ricorderò anche lo sgomento che ne seguì in seguito alla chiusura dello Stabilimento. A me faceva impressione, guardando dalla finestra sentire quel silenzio e vedere tutti gli strumenti da lavoro senza vita. Sembrava che dentro l’Ilva si fosse trasferito un cimitero. Chiedo scusa agli amici lettori, ma bisogna “tagliare”. Se ne parlò tanto a suo tempo. Riprendiamo il discorso da dentro casa e ci ritroviamo davanti a mio suocero, personaggio a dir poco straordinario. Non si levava mai il cappello di capo anche quando si andava a mangiare, e, quando di rado lo faceva, portava tutte e due le mani alla tesa e delicatamente con gesto garbato, lo deponeva sopra un mobile. Senza cappello non era più lui! Dalla fronte in su sembrava di gesso, più giù marrone bruciato e in più una ragnatela di rughe da farlo assomigliare ad un capo indiano. Un giorno di ritorno dalla spiaggia trovai mio suocero davanti alla porta di casa, seduto su di una seggiolina di quelle da bambini con un libricino in mano. Notai in quelle paginette tante aste da una parte e dall’altra. Sapete cosa stava facendo? Stava facendo il censimento dei veicoli che gli passavano davanti. Le aste lunghe (6) gli autobus, le aste corte (180) auto e calessi, aperta parentesi (anno del censimento 15 agosto 1946). Da qui si comincia il racconto della signora Anita. A guardarla non ci trovavi niente di speciale. Piccola di statura con tutti i capelli bianchi raccolti dietro la nuca con una “crocchina“. Volete sapere quale dote la rendesse tanto preziosa alle mamme che la sera facevano capo li, “a veglia“ davanti alla porta di Via Roma 98? Ebbene, tutte le sere (mi riferisco all’estate) si accollava l’onere di portare otto ragazzi alla “recita“ di Pipetto. Due erano suoi nipoti, gli altri sei venivano “sospinti” con una certa decisione, fra le braccia della signora Anita. Pittoresca e travagliata era la partenza piena di grida e raccomandazioni. Poi via sul marciapiede, a briglia sciolta! La signora Anita veniva aggirata e “sventagliata” una ventina di volte fino all’incrocio fra Via Roma e Via Bicocchi, dove tutto si ricomponeva. Si stava per entrare in “centro”. Se la signora Anita è per i miei ricordi un personaggio irripetibile, non da meno è questo famoso Pipetto. Bisogna riportarsi agli anni del dopoguerra, quando alla gente andava tutto bene, senza sottilizzare troppo sul talento artistico degli attori. Cercherò di descrivere il Pipetto attore, che non aveva mezze misure, era sempre sul tragico più. Sentite con che repertorio era calato a Follonica: Le due orfanelle, Pia de’ Tolomei, La cieca di Sorrento, e per ultimo, tanto per essere in chiave con i tempi, Il ritorno del Partigiano . Per allargare la curiosità dei lettori dirò dove si trovava il “teatro” per rappresentare detti spettacoli. Il teatro consisteva in un motocarro Guzzi, il cassone era il palcoscenico e per sipario il tendone cerato. Località: dietro la casa del Popolo. Tutte le sere l’esaurito (le sedie si dovevano portare da casa). Anche io qualche volta mi fermavo a vedere le rappresentazioni e fu così che una sera mi trovai coinvolto in pieno dramma . Si rappresentava appunto “Il ritorno del Partigiano”. Bastava conoscere il titolo per sapere dove si andava a finire. C’era un po’ di tutto: l’amor patrio, il vile tradimento

dell’amata. Intensa era l’emozione della platea quando Pipetto irrompeva sul proscenio, braccio destro alzato, brandendo un fucile calibro 12, Un grido strozzato, e poi fucilate dell’ottanta. Ma l’emozione intensa si attenuava un po’ perché l’entrata impetuosa di Pipetto faceva tremare ed ondeggiare tutto il “teatro“. Non vorrei esagerare, per un momento sembrava proprio ci fosse il terremoto. Malgrado le tante emozioni, la nostra signora Anita non si era troppo divagata e ogni tanto allungava un braccio per strattonare per le spalle qualcuno del gruppo che accennava a qualche distrazione. Lo spettacolo è finito, si è fatto tardi, i ragazzi sulla strada del ritorno non corrono più, camminano “appallati” attorno alla signora Anita, lungo il muraglione che dal Comune porta a casa. L’orologio dell’Ilva suona mezzanotte. Ai ragazzi che hanno sonno non dice nulla, ma a me dà il pretesto per ricordare questo caro amico, anche se si è sempre preso gioco di me, con i suoi tocchi, rintocchi e quarti. Non sono mai riuscito a stabilire l’ora esatta.

Follonica, anni ‘40

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Banchi Corrado, la persona Simonetta Soldatini, 2007 Archivi di personalità, censimento fondi toscani tra ‘800 e ‘900

Corrado Banchi a Firenze, circa 1940

Corrado Banchi militare, 1941

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Corrado Banchi nacque a Firenze in via Ponte alle Mosse il 6 novembre 1912 da Ofelia e Natale Banchi, ultimo di tre fratelli, Guido e Ada. Passò l’infanzia nell’agiatezza, la famiglia gestiva un negozio di pizzicheria e coloniali in viale Toselli e possedeva un podere a Vallombrosa nel Casentino, dove, tra l’altro, il marito della sorella Ada era fattore della contessa Grottanelli. Corrado, per natura incline alla scrittura, alla poesia, alla pittura e al disegno, era insofferente al commercio e contrastava con i genitori. Piuttosto precocemente rivelò l’amore per la fotografia quando a 12 anni chiese una macchina fotografica. Era affascinato dallo sport, alcune fotografie del 1924 dell’Associazione calcio Fiorentina lo ritraggono bambino dietro ad una porta del campo di calcio, piccolo raccattapalle nella storia del calcio fiorentino quando la squadra si chiamava ancora Libertas. Giocò per quattro anni a pallone negli allievi della Fiorentina degli anni ’30, fino a che venne chiamato a fare il militare in aviazione, destinazione Orbetello. Tornato a Firenze intraprese una attività di cartellonista per alcuni cinema della città dove si proiettavano pellicole della Metro Goldwin Mayer. Nel 1941 venne richiamato in guerra e destinato al presidio sulla linea Castiglioncello - Follonica. Nel 1942 conobbe Lola Chiti, una ragazza di Follonica che sposerà nel 1944. Dalla fine della guerra fissò la sua residenza a Massa Marittima dove aprì, in via Cappellini, un laboratorio e studio fotografico. In seguito si spostò nel laboratorio di via Moncini. La professione di fotografo itinerante lo portò a documentare anche grandi eventi. Eventi drammatici come le foto scattate agli 83 martiri della Niccioleta trucidati nel giugno del 1944 dai tedeschi a Castelnuovo, ritratti mentre venivano seppelliti in una fossa comune. Per documentare quel fatto terribile Corrado aveva percorso la strada a piedi insieme al padre di una delle vittime che voleva rivedere il figlio un’ultima volta. La curiosità e l’istinto per la notizia lo portò a riprendere l’arrivo a Massa in piazza del Duomo degli Americani con le jeep e i carri armati il 24 giugno 1944. Unico civile ad avere l’intuito di fissare quel momento, provò il brivido della paura quando un soldato americano, scambiandolo per un fascista a causa della gabbanella nera che indossava, con la pistola puntata minacciò di distruggere l’apparecchio fotografico. Il dopoguerra con la voglia di dimenticare gli orrori passati portò l’inizio dei primi concorsi di bellezza è il 1947 quando Corrado, ritraendo a Follonica una ragazza che diventerà la prima Miss Italia del dopoguerra, entra con i suoi reportage nella storia di queste manifestazioni. Al 1948 appartiene un fatto clamoroso che Corrado spontaneamente corse a documentare : la cattura dei banditi Russo e Cucchiara che avevano compiuto il primo rapimento di persona in Italia ai danni di un cittadino svizzero. La vicenda si svolse nel volterrano tra Castelnuovo Val di Cecina, Monteverdi e Pomarance. Nello stesso anno Corrado collaborò come inviato per “Il Tirreno”con il giornalista Milziade Torelli. Collaborava anche per “La Nazione”con il giornalista Beppe Pegolotti. Gli eventi sportivi ricoprivano un posto importante negli interessi artistici di Corrado. Nel calcio Corrado stesso riassume di aver compiuto servizi fotografici con la nazionale

Corrado Banchi con Rossano Brazzi e la contessa Piccolomini, Abbazia di San Galgano, anni ‘50

Corrado Banchi con Iva Zanicchi, nella cucina di un risttorante, Punta ala, 1967

italiana nei campionati d’Europa e del Mondo pari a 68 presenze oltre ai campionati di serie A. Nel 1950 nello stadio comunale di Firenze scattò quella che fu definita la più celebre fotografia spettacolare di tutti i tempi “La rovesciata di Parola” che fu riprodotta tra libri, quotidiani, riviste e figurine in milioni di copie (200 e oltre). Dal 1952 al 1956, chiamato dal prof. Marino Marchi, collaborò come operatore cinematografico con la Settimana Incom, cinegiornale dell’epoca. In quegli anni avventurosi ed esaltanti concepì l’idea pionieristica di riprendere i ciclisti dalla motocicletta. Di questa idea parlò nel 1952 a Firenze con l’attore Rossano Brazzi che entusiasmato la caldeggiò con il Pallavicini direttore della settimana Incom. Il Pallavicini lo convocò a Roma per esporre il progetto, che però i dirigenti giudicarono non attuabile per la difficoltà di maneggio dell’apparecchio Arriflex 35 su una motocicletta in movimento con due persone a bordo. Tra i suoi servizi alla settimana Incom si ricorda nel 1953 all’ippodromo di Pisa una corsa di giovani puledri che vide la prima vittoria di Ribot. Sempre nel 1953 l’ultima vittoria di Gino Bartali che concluse con quel Giro della Toscana la sua prestigiosa carriera. Nel 1954 l’alluvione del Polesine che Corrado riprese per diversi giorni dalle barche e da un elicottero. Nel 1954 a Bologna all’ippodromo dell’Arcoveggio suggerì all’altro operatore Mario Dolci di riprendere i cavalli dalla macchina sul fianco della pista, inaugurando così una tecnica di ripresa oggi comunemente usata. Malgrado le frequenti uscite per motivi di lavoro, Corrado rimase fedelmente attaccato al territorio su cui aveva scelto di vivere ed è qui, dalle colline metallifere al litorale, che documenta gli aspetti salienti della vita sociale e lavorativa, anche nelle miniere del bacino minerario della Montecatini a cui si associano le immagini drammatiche della tragedia nella miniera di Ribolla del 1954 e la vita ricreativa del dopolavoro. Insieme si accompagnano le immagini che documentano l’ evoluzione del territorio che emergono attraverso le foto degli anni ’60 dalla nascita dello stabilimento Montedison del Casone di Scarlino, alla costruzione del mondo esclusivo di Punta Ala. Personalità versatile ed estroversa si può dire che amasse la vita in tutti i suoi aspetti, apprezzando molto l’amicizia, “sarai triste se sarai solo” era il motto che in versione latina aveva scritto su una parete del suo laboratorio. Tra i riconoscimenti che Corrado ha ricevuto ricordiamo nel 1971 la nedaglia d’oro assegnata dal Comune di Massa Marittima per aver portato l’A. C. Fiorentina a Massa dove rimarrà fino al 1976. Nel 1979, il 9 luglio, a Castiglioncello ha ricevuto il 2° premio al concorso letterario in onore del giornalista Mauro Mancini scomparso nell’Atlantico in barca a vela con Ambrogio Fogar , con il racconto “Quando il mare e il vento lo vorranno”. Nel 1980 ha ricevuto il 1° premio per la provincia di Grosseto, a Roma dal Ministero degli Interni per un manifesto pubblicitario per il museo della miniera di Massa Marittima. Nel 1981 il Rotary Club gli ha conferito la Medaglia d’Oro per aver contribuito a far conoscere Massa Marittima nel mondo. Nel 1985 a Pisa ha ricevuto dall’Associazione italiana reporter fotografici la targa d’argento come premio per i 50 anni nella fotonotizia. Nel 1985 il presidente della Repubblica Sandro Pertini gli ha conferito il titolo di “Cavaliere”. Nel 1999 la RAI 3 gli ha dedicato un ampio servizio a cura di Gianluca Vatti giornalista di Rai 3 regionale. Corrado Banchi è morto a Massa Marittima il 24 aprile 1999. 15

Banchi Corrado, la persona Simonetta Soldatini, 2007 Archivi di personalità, censimento fondi toscani tra ‘800 e ‘900

Corrado Banchi a Firenze, circa 1940

Corrado Banchi militare, 1941

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Corrado Banchi nacque a Firenze in via Ponte alle Mosse il 6 novembre 1912 da Ofelia e Natale Banchi, ultimo di tre fratelli, Guido e Ada. Passò l’infanzia nell’agiatezza, la famiglia gestiva un negozio di pizzicheria e coloniali in viale Toselli e possedeva un podere a Vallombrosa nel Casentino, dove, tra l’altro, il marito della sorella Ada era fattore della contessa Grottanelli. Corrado, per natura incline alla scrittura, alla poesia, alla pittura e al disegno, era insofferente al commercio e contrastava con i genitori. Piuttosto precocemente rivelò l’amore per la fotografia quando a 12 anni chiese una macchina fotografica. Era affascinato dallo sport, alcune fotografie del 1924 dell’Associazione calcio Fiorentina lo ritraggono bambino dietro ad una porta del campo di calcio, piccolo raccattapalle nella storia del calcio fiorentino quando la squadra si chiamava ancora Libertas. Giocò per quattro anni a pallone negli allievi della Fiorentina degli anni ’30, fino a che venne chiamato a fare il militare in aviazione, destinazione Orbetello. Tornato a Firenze intraprese una attività di cartellonista per alcuni cinema della città dove si proiettavano pellicole della Metro Goldwin Mayer. Nel 1941 venne richiamato in guerra e destinato al presidio sulla linea Castiglioncello - Follonica. Nel 1942 conobbe Lola Chiti, una ragazza di Follonica che sposerà nel 1944. Dalla fine della guerra fissò la sua residenza a Massa Marittima dove aprì, in via Cappellini, un laboratorio e studio fotografico. In seguito si spostò nel laboratorio di via Moncini. La professione di fotografo itinerante lo portò a documentare anche grandi eventi. Eventi drammatici come le foto scattate agli 83 martiri della Niccioleta trucidati nel giugno del 1944 dai tedeschi a Castelnuovo, ritratti mentre venivano seppelliti in una fossa comune. Per documentare quel fatto terribile Corrado aveva percorso la strada a piedi insieme al padre di una delle vittime che voleva rivedere il figlio un’ultima volta. La curiosità e l’istinto per la notizia lo portò a riprendere l’arrivo a Massa in piazza del Duomo degli Americani con le jeep e i carri armati il 24 giugno 1944. Unico civile ad avere l’intuito di fissare quel momento, provò il brivido della paura quando un soldato americano, scambiandolo per un fascista a causa della gabbanella nera che indossava, con la pistola puntata minacciò di distruggere l’apparecchio fotografico. Il dopoguerra con la voglia di dimenticare gli orrori passati portò l’inizio dei primi concorsi di bellezza è il 1947 quando Corrado, ritraendo a Follonica una ragazza che diventerà la prima Miss Italia del dopoguerra, entra con i suoi reportage nella storia di queste manifestazioni. Al 1948 appartiene un fatto clamoroso che Corrado spontaneamente corse a documentare : la cattura dei banditi Russo e Cucchiara che avevano compiuto il primo rapimento di persona in Italia ai danni di un cittadino svizzero. La vicenda si svolse nel volterrano tra Castelnuovo Val di Cecina, Monteverdi e Pomarance. Nello stesso anno Corrado collaborò come inviato per “Il Tirreno”con il giornalista Milziade Torelli. Collaborava anche per “La Nazione”con il giornalista Beppe Pegolotti. Gli eventi sportivi ricoprivano un posto importante negli interessi artistici di Corrado. Nel calcio Corrado stesso riassume di aver compiuto servizi fotografici con la nazionale

Corrado Banchi con Rossano Brazzi e la contessa Piccolomini, Abbazia di San Galgano, anni ‘50

Corrado Banchi con Iva Zanicchi, nella cucina di un risttorante, Punta ala, 1967

italiana nei campionati d’Europa e del Mondo pari a 68 presenze oltre ai campionati di serie A. Nel 1950 nello stadio comunale di Firenze scattò quella che fu definita la più celebre fotografia spettacolare di tutti i tempi “La rovesciata di Parola” che fu riprodotta tra libri, quotidiani, riviste e figurine in milioni di copie (200 e oltre). Dal 1952 al 1956, chiamato dal prof. Marino Marchi, collaborò come operatore cinematografico con la Settimana Incom, cinegiornale dell’epoca. In quegli anni avventurosi ed esaltanti concepì l’idea pionieristica di riprendere i ciclisti dalla motocicletta. Di questa idea parlò nel 1952 a Firenze con l’attore Rossano Brazzi che entusiasmato la caldeggiò con il Pallavicini direttore della settimana Incom. Il Pallavicini lo convocò a Roma per esporre il progetto, che però i dirigenti giudicarono non attuabile per la difficoltà di maneggio dell’apparecchio Arriflex 35 su una motocicletta in movimento con due persone a bordo. Tra i suoi servizi alla settimana Incom si ricorda nel 1953 all’ippodromo di Pisa una corsa di giovani puledri che vide la prima vittoria di Ribot. Sempre nel 1953 l’ultima vittoria di Gino Bartali che concluse con quel Giro della Toscana la sua prestigiosa carriera. Nel 1954 l’alluvione del Polesine che Corrado riprese per diversi giorni dalle barche e da un elicottero. Nel 1954 a Bologna all’ippodromo dell’Arcoveggio suggerì all’altro operatore Mario Dolci di riprendere i cavalli dalla macchina sul fianco della pista, inaugurando così una tecnica di ripresa oggi comunemente usata. Malgrado le frequenti uscite per motivi di lavoro, Corrado rimase fedelmente attaccato al territorio su cui aveva scelto di vivere ed è qui, dalle colline metallifere al litorale, che documenta gli aspetti salienti della vita sociale e lavorativa, anche nelle miniere del bacino minerario della Montecatini a cui si associano le immagini drammatiche della tragedia nella miniera di Ribolla del 1954 e la vita ricreativa del dopolavoro. Insieme si accompagnano le immagini che documentano l’ evoluzione del territorio che emergono attraverso le foto degli anni ’60 dalla nascita dello stabilimento Montedison del Casone di Scarlino, alla costruzione del mondo esclusivo di Punta Ala. Personalità versatile ed estroversa si può dire che amasse la vita in tutti i suoi aspetti, apprezzando molto l’amicizia, “sarai triste se sarai solo” era il motto che in versione latina aveva scritto su una parete del suo laboratorio. Tra i riconoscimenti che Corrado ha ricevuto ricordiamo nel 1971 la nedaglia d’oro assegnata dal Comune di Massa Marittima per aver portato l’A. C. Fiorentina a Massa dove rimarrà fino al 1976. Nel 1979, il 9 luglio, a Castiglioncello ha ricevuto il 2° premio al concorso letterario in onore del giornalista Mauro Mancini scomparso nell’Atlantico in barca a vela con Ambrogio Fogar , con il racconto “Quando il mare e il vento lo vorranno”. Nel 1980 ha ricevuto il 1° premio per la provincia di Grosseto, a Roma dal Ministero degli Interni per un manifesto pubblicitario per il museo della miniera di Massa Marittima. Nel 1981 il Rotary Club gli ha conferito la Medaglia d’Oro per aver contribuito a far conoscere Massa Marittima nel mondo. Nel 1985 a Pisa ha ricevuto dall’Associazione italiana reporter fotografici la targa d’argento come premio per i 50 anni nella fotonotizia. Nel 1985 il presidente della Repubblica Sandro Pertini gli ha conferito il titolo di “Cavaliere”. Nel 1999 la RAI 3 gli ha dedicato un ampio servizio a cura di Gianluca Vatti giornalista di Rai 3 regionale. Corrado Banchi è morto a Massa Marittima il 24 aprile 1999. 15

Banchi Corrado, il fondo Simonetta Soldatini, 2007 Estremi cronologici: 1943 - sec. XX ultimo quarto

Tessera di accredito come fotografo al quotidiano La nazione, fiorenze,1949

Anni ‘50

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Storia archivistica: l’archivio, notevole ed estremamente significativo per la storia recente del territorio, è conservato presso la famiglia. Raccoglie gran parte del materiale prodotto da Corrado Banchi durante la sua carriera di fotoreporter dal 1935 al 1999. E’ composto da negativi su lastra e su pellicola piana e perforata, stampe fotografiche originali, riproduzioni e ritagli stampa. Non è riordinato ed è conservato in numerose buste e scatole non esattamente quantificate. Da segnalare la presenza di alcune stampe fotografiche originali e ingrandimenti relative a Follonica dal 1930 al 1944 presso la Biblioteca Comunale di Follonica, le foto furono donate dallo stesso autore in occasione della mostra fotografica “Il mi’ paese è libero”organizzata per il 50° della Liberazione, a Follonica dal 16 al 26 giugno 1994. Una raccolta pressoché completa di ritagli stampa è conservata presso il giornalista Danilo Bisogni. Recentemente l’archivio fotografico è stato digitalizzato da Paolo Banchi, figlio di Corrado, in collaborazione con il fotografo Stefano Pacini con finanziamenti del Parco Archeologico e Tecnologico delle Colline Metallifere e del Comune di Massa Marittima. Le scansioni realizzate sono state raggruppate in 3 CD all’interno dei quali le immagini sono state suddivise in cartelle e sottocartelle in ordine di argomento, data e luogo. Un convegno si è svolto a Massa Marittima il 25 novembre 2006 dal titolo “ La conservazione della memoria : l’archivio fotografico Corrado Banchi di Massa Marittima” in occasione del quale fu allestita una mostra antologica permanente. Descrizione: materiale grafico e iconografico : la documentazione fotografica raccolta riguarda vari aspetti: Eventi storici: ingresso degli alleati in piazza a Massa Marittima nel 1943; strage dei minatori di Niccioleta il 14 giugno 1944; Mondo del lavoro: vari servizi fotografici sulle miniere della zona e sulle condizioni di lavoro dei minatori maremmani. E’ documentata la tragedia di Ribolla del 1954. Servizi sugli impianti dello stabilimento di Scarlino e su altre industrie della zona come la Paoletti di Castiglion della Pescaia. La foto industriale è stata particolarmente coltivata e spazia anche fuori dal territorio maremmano, nel 1982 il Banchi fu chiamato a Torino alla Vetroropa per fotografare la produzione; Fatti di cronaca: rapimento nel 1948 di un possidente svizzero da parte di Russo e Cucchiara; rapina ai danni dei fratelli Bracci di Follonica negli anni ’60; Eventi sportivi soprattutto in relazione al mondo del calcio (memorabile la foto scattata il 15 gennaio 1950 nella partita Fiorentina - Juventus alla stadio Comunale di Firenze, al centro mediano Carlo Parola della Juventus, la famosa “rovesciata di Parola” che ha fatto il giro del mondo) e del ciclismo. Evoluzione del territorio : notevole è la documentazione raccolta sull’evoluzione di Punta Ala dal 1960 con foto ri-

guardanti la vita sociale, (momenti di vita, feste, partite di polo, regate, ville dei proprietari ecc.) e la trasformazione del territorio; molti servizi fotografici riguardano anche Follonica e gli ambienti legati al mare; Numerose foto relative ad eventi mondani come le elezioni delle Miss e in particolare Miss Italia dal 1947 al 1954. Da segnalare un reperto di carattere sperimentale che è la scenografia della trasposizione cinematografica della poesia del Pascoli “I due orfani” che il Banchi ha ambientata negli anni ’60 nel podere “Malenotti”, presso Massa Marittima. Con il regista Umberto Lenzi collaborò al documentario “Dalle tenebre al mare”. Nell’archivio sono conservati anche vari acquarelli, disegni e caricature. - Numerosi ritagli stampa. - Manoscritti : “Via Roma ’98” cronaca familiare tra il 1945 e 1960; C. Banchi, “Chi è Corrado Banchi”, dattiloscritto inedito, 1986.

Corrado Banchi mentre disegna una caricatura,

Dettaglio dello studio fotografico, 1964

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Banchi Corrado, il fondo Simonetta Soldatini, 2007 Estremi cronologici: 1943 - sec. XX ultimo quarto

Tessera di accredito come fotografo al quotidiano La nazione, fiorenze,1949

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Storia archivistica: l’archivio, notevole ed estremamente significativo per la storia recente del territorio, è conservato presso la famiglia. Raccoglie gran parte del materiale prodotto da Corrado Banchi durante la sua carriera di fotoreporter dal 1935 al 1999. E’ composto da negativi su lastra e su pellicola piana e perforata, stampe fotografiche originali, riproduzioni e ritagli stampa. Non è riordinato ed è conservato in numerose buste e scatole non esattamente quantificate. Da segnalare la presenza di alcune stampe fotografiche originali e ingrandimenti relative a Follonica dal 1930 al 1944 presso la Biblioteca Comunale di Follonica, le foto furono donate dallo stesso autore in occasione della mostra fotografica “Il mi’ paese è libero”organizzata per il 50° della Liberazione, a Follonica dal 16 al 26 giugno 1994. Una raccolta pressoché completa di ritagli stampa è conservata presso il giornalista Danilo Bisogni. Recentemente l’archivio fotografico è stato digitalizzato da Paolo Banchi, figlio di Corrado, in collaborazione con il fotografo Stefano Pacini con finanziamenti del Parco Archeologico e Tecnologico delle Colline Metallifere e del Comune di Massa Marittima. Le scansioni realizzate sono state raggruppate in 3 CD all’interno dei quali le immagini sono state suddivise in cartelle e sottocartelle in ordine di argomento, data e luogo. Un convegno si è svolto a Massa Marittima il 25 novembre 2006 dal titolo “ La conservazione della memoria : l’archivio fotografico Corrado Banchi di Massa Marittima” in occasione del quale fu allestita una mostra antologica permanente. Descrizione: materiale grafico e iconografico : la documentazione fotografica raccolta riguarda vari aspetti: Eventi storici: ingresso degli alleati in piazza a Massa Marittima nel 1943; strage dei minatori di Niccioleta il 14 giugno 1944; Mondo del lavoro: vari servizi fotografici sulle miniere della zona e sulle condizioni di lavoro dei minatori maremmani. E’ documentata la tragedia di Ribolla del 1954. Servizi sugli impianti dello stabilimento di Scarlino e su altre industrie della zona come la Paoletti di Castiglion della Pescaia. La foto industriale è stata particolarmente coltivata e spazia anche fuori dal territorio maremmano, nel 1982 il Banchi fu chiamato a Torino alla Vetroropa per fotografare la produzione; Fatti di cronaca: rapimento nel 1948 di un possidente svizzero da parte di Russo e Cucchiara; rapina ai danni dei fratelli Bracci di Follonica negli anni ’60; Eventi sportivi soprattutto in relazione al mondo del calcio (memorabile la foto scattata il 15 gennaio 1950 nella partita Fiorentina - Juventus alla stadio Comunale di Firenze, al centro mediano Carlo Parola della Juventus, la famosa “rovesciata di Parola” che ha fatto il giro del mondo) e del ciclismo. Evoluzione del territorio : notevole è la documentazione raccolta sull’evoluzione di Punta Ala dal 1960 con foto ri-

guardanti la vita sociale, (momenti di vita, feste, partite di polo, regate, ville dei proprietari ecc.) e la trasformazione del territorio; molti servizi fotografici riguardano anche Follonica e gli ambienti legati al mare; Numerose foto relative ad eventi mondani come le elezioni delle Miss e in particolare Miss Italia dal 1947 al 1954. Da segnalare un reperto di carattere sperimentale che è la scenografia della trasposizione cinematografica della poesia del Pascoli “I due orfani” che il Banchi ha ambientata negli anni ’60 nel podere “Malenotti”, presso Massa Marittima. Con il regista Umberto Lenzi collaborò al documentario “Dalle tenebre al mare”. Nell’archivio sono conservati anche vari acquarelli, disegni e caricature. - Numerosi ritagli stampa. - Manoscritti : “Via Roma ’98” cronaca familiare tra il 1945 e 1960; C. Banchi, “Chi è Corrado Banchi”, dattiloscritto inedito, 1986.

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Ingresso delle truppe americane a Massa Marittima 24 giugno 1944

Igresso delle truppe della quinta armata al comendo del generale Clark a Massa Marittima il 21giugno 1944

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La cattura del bandito Antonio Cucchiara 31 ottobre 1948

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Isola di Montecristo, isola del Giglio 1947, 1954

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Camp Darby, centro sbarchi, Tirrenia dal 1952

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Gino Bartali, militare Firenze 1940

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Sport: ciclismo Follinica, Massa marittima, Provincia di Grosseto, anni ‘50

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La grande nevicata, Massa Marittima, 1956

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In campagna, la trebbiatura a fermo, Massa Marittima, 1956

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Le miniere della Maremma dal 1945

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Il caricamento della volata

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Il paesaggio delle miniere

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La tragedia di Ribolla 4 maggio 1954

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Attività sociali della società mineraria dal 1953

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Follonica fine anni ‘40 - primi ‘50

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Follonica, la spiaggia 1950 - 1952

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Torneo nazionale di balestra

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Lirica e cinema in piazza 1963

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Il circo, il luna park 1951 - 1959

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La scuola 1952 - 1966

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Casa e famiglia 1950 - 1962

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Il carnevale 1952- 1959

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Balli, musica e pazza gioia 1951- 1964

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Motori e motorini 1952 - 1962

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Facce: tessere e ritratti 1952 - 1968

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