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Sovversiva

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Story Transcript

LA WEBZINE DI ARCI CATANIA

COVER Matteo Andrea Petrelli, fotografo itinerante

IRAN Intervista a Neguin Bank, attivista iraniana

ANNO II NUMERO 2

GENDER La percezione del corpo tra body positivity e body neutrality

POESIA L'universo poetico di Patrizia Cavalli

Editoriale...............................................3 Laddove c'è il caos io prospero: intervista a Matteo Andrea Petrelli.....................................................4 Iran. Un quadro storico...............16 Una lotta femminista, socialista e intersezionale. Intervista a Neguin Bank, attivista iraniana................................................21 Il mio corpo è mio: dalla body positivity alla body neutrality.............................................30 "È morto un poeta": l'universo femminile di Patrizia Cavalli....34 Peristalsi emozionale........................................38

Sacro è che io sono qui perché alcune persone dentro di me non devono morire.



Franco Arminio da "Sacro minore"(Einaudi, Torino 2023)

Camille..................................................44 Giovani sovversive. Intervista ad Anna Chisari.....................................48 Rapping black in a white world. La musica come strumento rivoluzionario....................................52 Noi siamo queer!.............................54 Lasciami mordere il peccato................................................60 Poesia....................................................65 Uno Due Tre............................................................70

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S O M M A R I O

Abbiamo fatto scrivere un articolo a Chat GPT (realizzato prima del 30 marzo 2023).......................................................71 La playlist di Zoe.............................74 Redazione...........................................75

Editoriale

SOVVERSIVA

S

i dice “anno nuovo, vita nuova”, eppure l’enorme strascico del denso 2022 ce

lo portiamo ancora addosso e il nuovo anno sembra essere iniziato un po’ a rilento. Riavvolgiamo per un attimo il filo. Era settembre quando le donne di tutto il mondo tagliavano una ciocca di capelli in memoria di Masha Amini, ragazza curda arrestata e poi uccisa a Teheran perché non indossava correttamente lo hijab. Un mese prima lo scrittore Salman Rushdie, nemico del leader iraniano Khomeini per la pubblicazione dei suoi Versi satanici considerati blasfemi dai musulmani, veniva accoltellato negli Stati Uniti, aggressione che gli costerà la vista di un occhio. Charlie Hebdo, il noto periodico satirico francese, ha aperto il nuovo anno con una copertina fortemente provocatoria, in cui una donna nuda e con i genitali in mostra, alla maniera di Schiele, defeca dei mullah che, come recita la vignetta, “decisamente non capiscono nulla di donne”. Viviamo in un’epoca in cui la narrazione egemone è sempre più incentrata sul concetto di gender e fluidità, di teorie sull'accettazione del proprio corpo a dispetto degli standard imposti, ma esistono ancora spazi geografici dove le donne vengono uccise per le loro scelte sull’abbigliamento. La città di Zoe non accoglie tali forme di violenza e discriminazione, perché uno spazio aperto e libertario. Così ci siamo dati la possibilità di guardare ancora agli spazi che ci abitano per cercare il punto cruciale dove la rivolta diventa atto. Sovversiva, univerbazione del latino subvertere: sovvertire, riavvolgere, abbattere. Il suffisso è femminile, perché questo è lo spazio per chi le donne le ha fotografate, raccontate in versi, chi donna lo è da dentro da sempre con sofferenza e rivendicazione. Questo numero parla di capovolgimenti culturali, paradigmi interpretativi rimodellati per abbattere le nostre certezze. Stringendo la mano alle donne di tutto il mondo, con coraggio e dignità ci uniamo nell'urlo in forma scritta delle parole di Simone de Beauvoir: «Io accetto la grande avventura di essere me stessa».

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Laddove c’è il caos io prospero: intervista a Matteo Andrea Petrelli

Abbiamo incontrato Matteo Andrea Petrelli, giovane adranita d’adozione catanese, fotoreporter, videomaker e scrittore, per farci raccontare la sua esperienza a partire dall’ultima radicale scelta di mollare tutto e vivere in un camper per realizzare un sogno: viaggiare e raccontare.

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Perché hai deciso di partire? Cosa lasci e cosa ti porti dietro? Sono partito per molteplici motivi, era un impegno che avevo preso con una persona che non c’è più che mi aveva spinto a uscire fuori dalla mia routine, ho sempre il rammarico di aver girato molto poco rispetto a quanto avrei voluto quindi paradossalmente conosco tutti i posti del mondo in cui vado però non li ho mai visti. Era un modo per avere il mondo non soltanto nel cuore ma anche davanti agli occhi. Poi ho pensato di allargare quello che faccio già a Catania, che comunque è un ambiente protetto perché è casa mia, e vedere cosa succede. L’idea mi venne guardando “Comizi d’amore” di Pasolini e ho pensato di provare a fare la stessa cosa nel XXI secolo aggiornando le tematiche. Cosa mi porto? Catania me la porto a prescindere, mi porto tutto il mio bagaglio perché quando viaggi non lasci mai ciò che sei. Però ho visto che materialmente ti sei sbarazzato di tante cose Ho venduto casa dei miei, quelle di entrambi perché erano separati, quindi in questo momento sono senza fissa dimora per lo stato italiano, perché non ho nessuna residenza e quindi perdo dei diritti fondamentali come il diritto al voto, cosa che a malincuore non sfrutto da 12 anni, o quello alla sanità. Quindi sì, ho deciso di vendere tutto, prendere il camper e viaggiare regione per regione, ma non un mordi e fuggi, l’idea è di rimanere più tempo possibile. Ho già fatto un mese a Palermo, poi un po’ la Sicilia in generale e a breve andrò in Calabria dove ho già dei fixer, per cui girerò un po’ lì dove cercherò di trovare delle storie, alcune le ho già in mente, vediamo cosa si raccoglie.

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La scelta di vita per la quale hai optato, vivere in un camper, comporta anche un certo grado di solitudine. Quanto la cerchi e quanto la temi? Quando dici che un uomo cerca la solitudine sembra che quell’uomo sia forte, se dici “quell’uomo è solo” sembra debole, io spero di rientrare nel primo caso nella misura in cui è relativamente vero perché la mia solitudine è affollata in quanto ogni giorno sono circondato da gente, certo è una condizione di affollamento strano perché alla fine non sono veri e propri contatti come con un amico, sono rapporti che nascono e muoiono nel momento in cui vado via. Ma questo paradossalmente succede anche a Catania dove i miei giorni sono costantemente affollati ma poi alla fine torno sempre a casa solo. Anche perché questa tua scelta di viaggiare non ti permette di avere una relazione fissa Ma tra l’altro non lo vorrei neanche, sarebbe una limitazione perché io mi metto sempre nei guai, sembro calmo ma poi in realtà sono un rompicoglioni quindi meglio da solo, anche perché posso prendermi tutto il tempo che voglio, se m’innamoro di un posto e voglio starci anche due mesi non devo rendere conto a nessuno, è quasi strumentale. Se trovassi una persona compatibile che non ha nessun problema l’accetterei però va bene così, in realtà non ho mai sentito il bisogno di avere relazioni fisse e costanti, anche con i miei, eravamo tutti molto autonomi, liberi, eravamo coinquilini più che famiglia quindi ho imparato a vivere così. Pensi che per essere/sentirsi liberi la solitudine sia conditio sine qua non? La libertà è paradossale, se la vivi come me non c’è nulla di più vincolante della libertà perché non ne puoi fare a meno e quindi hai quest’esigenza di essere sempre libero che alla fine ti condiziona, quindi se c’è un condizionamento di per sé la libertà viene a mancare. Poi non so fino a che punto sia libertà o patologia la mia, alle volte me lo domando. Il tema del prossimo numero è la ribellione e il cambiamento, concetti che mi sembrano perfettamente applicabili al tuo modus operandi, ti senti un po’ sovversivo in quello che fai? O sono gli altri a percepirti tale? Io non lo so se sono sovversivo, il punto è che magari mi dicono di essere eccentrico o non in linea ma io non mi ci sento, però forse è la più alta forma di protesta, non lo faccio neanche intenzionalmente, è il mio modo di essere, probabilmente questo “vivere al limite” è di per sé testimonianza.

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E se tu lo fai perché ti devi mettere in posa può essere legittimo ma di per sé è solo una posa, nel mio caso non c’è mai stato un giorno in cui mi sia detto di voler andare controcorrente, spesso mi ci ritrovo senza rendermene conto e allora forse più che una scelta è un dato costitutivo, ma io non lo direi mai perché mi sembrerebbe perfino vanitoso. Me lo dicono spesso e mi sta bene, io sono poco introspettivo, della mia biografia sono quasi del tutto disinteressato, mi interessano di più le biografie degli altri, non mi interessa la narrazione dominante in cui tutti parlano di sé, scrivono la lettera alla bambina che sono stati o la letteratura alla Carrere in cui devi necessariamente mischiare la tua biografia alle vicende altrui. Io adoro la terza persona, negli anfratti della quale trovi te stesso invece di spiattellarlo in ogni momento e luogo, da questo punto di vista sono vecchio stile. Poi se qualcuno vede me attraverso le cose che io vedo mi fa piacere, ma è un effetto collaterale, preferisco anteporre le vicende altrui ed essere distante. Qualche settimana maltempo, hai

fa, causa condiviso

un’esperienza con alcuni senzatetto di Catania, ti va di parlarne? Sono stato lì una sera, non tutta la notte, perché ho lasciato la finestra del camper aperta, mi è entrata acqua ovunque e ho avuto un po’ di problemi, quindi

attraverso

una

storia

su

instagram e un mio amico, leggendola, mi ha suggerito di rivolgermi alla Caritas che aveva organizzato questi tendoni. Mi ha colpito quello che ormai sta diventando la regola, che inizialmente ci si aspetta tanti migranti e in realtà erano più italiani, catanesi, ad essere lì. E mentre uno straniero non si fa problemi della propria miseria ed è abituato a mostrarla perché è la sua vita, gli italiani hanno molta difficoltà a parlarti e io lì non sono riuscito né a parlare né a riprendere nessuna persona che parlasse la mia lingua.

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Quello che ti colpisce è che quando magari giri per strada il mondo sembra in salute poi la notte vedi che c’è questo sottosuolo di persone che stanno veramente male e l’unico motivo per cui non lo sappiamo è che la notte vanno di nascosto a prendersi un pezzo di pane. C’è stata una ragazza che quella sera è venuta, faceva parte di una testata giornalistica, che è andata da una di queste persone facendosi raccontare tutto, la quale le aveva chiesto di non pubblicare nulla perché veniva da fuori e i suoi genitori non sapevano che era ridotta così, ma lei cinicamente ha deciso di spiattellare nome, cognome, faccia, fotografia, video, per cui lui, a ragione, si è molto incazzato. Si poteva benissimo rendere l’idea anche senza fare nome e cognome e la povertà non va strumentalizzata.

Di recente hai fatto tappa a Palermo, che mi pare ti abbia colpito molto. Cosa ci dici di questa città? Da catanese dico che Palermo è più bella, Catania è più viva. Però aldilà di questo Palermo è più accattona. Ho girato tantissimo con un fotografo, Francesco Faraci, che mi ha fatto girare Ballarò. Quartiere che mi ha colpito particolarmente perché c’erano bambini di 5-6 anni che erano spacciatori e a testa avevano 2-3000 euro in contanti e lì ho pensato, oggettivamente, cosa può fare lo stato? Come può competere con una piazza del genere? Lo stato non te li darà mai 2000 euro in mano, sì può darti l’istruzione, la scuola, ma quel genere di eccitazione, quell’illusione di potere non riuscirà mai a dartela e lì capisci veramente quanto è complicato gestire queste situazioni. Cosa può fare lo stato per rendersi più affascinante della criminalità organizzata che ti dà una pistola, 3000 euro, una piazza e la sensazione che quel posto è tuo? Sembra un’avventura se non fosse drammatica la cosa. Io che poi è la condizione materiale che fa spesso la persona quindi sarei per il massimo della condanna per chi fa crimini ma il massimo della condanna per chi non riesce a risolvere le situazioni in cui tali crimini si creano. Tutto questo a Catania c’è però non è così sfacciato come a Palermo, lì è pazzesco il modo in cui è tutto alla luce del giorno. In 5 minuti a Ballarò mi hanno proposto droga qualcosa come 25 volte.

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Ma secondo te ci sono delle famiglie dietro o questi bambini sono abbandonati a se stessi? Un po’ e un po’, ma a Librino è la stessa cosa. Io frequento una palestra di pugilato e lì hanno tutti storie più o meno così, solo che hanno avuto la straordinaria possibilità di incontrare il Maestro Aroldo Donini, che se le cerca queste persone, apposta. Gli dice “Vuoi tirare dei pugni? Tirali al sacco e non per strada”. Alla fine quest’uomo fa cose incredibili perché laddove tu sei portato per la criminalità poi finisce che tutti vogliono diventare poliziotti perché in Italia per fare pugilato il professionismo paga poco e l’unico modo è entrare in un gruppo sportivo che sono polizia e guardia di finanza. Probabilmente lì la scuola non c’entra nulla però l’idea che hai l’ebbrezza di poter fare qualcosa che ti piace e te la sta dando qualcun altro, come per esempio tirare pugni e sfogarti, puoi trasformarla in legalità quindi forse in questo momento Muhammad Alì è più affascinante di Dante e ti salva la vita più di Dante, poi le strade della salvezza sono infinite, non sono sempre standard. Io ho frequentato anche centri sociali, circoli che fanno grandi cose, Donini è un uomo forse piuttosto reazionario, dopodiché vedi il lavoro materiale che fa nei confronti di quelle persone, è disinteressato alla politica, non gliene frega niente, però prende questi ragazzi, li tira fuori dalla strada senza nemmeno rendersene conto. Allora lì mi viene da pensare se sono più di sinistra quelli che conosco della medio-borghesia o è di sinistra uno che non è nemmeno consapevole e tira fuori questi ragazzi dalla povertà e li indirizza verso una direzione che non si sarebbero aspettati di intraprendere.

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esasperate al massimo. È una città che fa per me perché laddove c’è il caos io prospero (ride), una città che amo. Piena di questi personaggi pazzeschi che vai a scovare Mi scovano, è diversa la cosa, io tendenzialmente non cerco nessuno, non so perché mi vengono tutti incontro. Ad esempio adesso sono al porto, parcheggiato col mio camper. Me lo sta tenendo d’occhio un polacco, Claudio, che vive in una roulotte e sta lì. Un giorno mi ha chiesto una sigaretta e alla fine mi ha raccontato la storia della sua vita e adesso ho un parcheggiatore personale che ad esempio l’altro giorno ha litigato per me, per difendermi dai parcheggiatori che mi chiedevano soldi. Lui non me lo sono cercato, semplicemente molte volte basta dare un po’ di attenzione alle persone e loro ti parlano, così come è molto più facile fotografare di quello che si crede perché la gente è più vanitosa di quanto noi crediamo e il 90% delle persone ti dirà di sì.

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stato totalmente autonomo e Greta Thunberg sarà fiera di me (ride). Certo poi ci sono i tragitti ma se li fai piano, non fai lunghe marce e ti fermi di città in città, ammortizzi molto. Poi ho anche un secondo lavoro, perché ho fatto il rider, che mi serve a finanziarmi di città in città nel caso non riesca a fare altro ed è anche un modo per iniziare a vedere la città. Ma in questo tuo progetto di viaggiare ti sei dato delle tappe, una meta oppure improvvisi? Per adesso salgo, la prossima settimana sarò in Calabria dove proverò a fare determinate cose attraverso degli agganci e poi di volta in volta in Campania, a Roma dove fortunatamente ho amici e contatti sparsi. Il punto è che quando mi stanco mi fermo, ho messo questo unico limite. Letteralmente non ti saprei dire se e quanto continuerò. Ad oggi quanto si sente libero Matteo Petrelli? Il tuo percorso è stato determinato da una precisa volontà o da eventi che non avevi messo in conto? Credo che, come in ogni cosa, sia un misto di tutto, difficilmente non sei dipendente da ciò che ti succede ma allo stesso tempo poi reagisci alle cose che ti succedono quindi è una sorta di ping-pong tra ciò che sei e ciò che ti viene addosso T’immaginavi diverso da quello che sei oggi? Totalmente. Ogni tanto ci penso, se il ragazzino di 5-6 anni s’immaginava così avrebbe avuto una grande delusione, si sarebbe detto che forse non ne vale la pena (ride) Che peso ha avuto la tua famiglia nella tua formazione? Tanto nella misura in cui non si sono imposti, mi hanno lasciato molto libero quindi sono eternamente grato sia a mia madre che a mio padre perché, per estremamente generosi, anche troppo forse, perché a volte ho preso strade non convenienti, persino facendomi del male. Io studiavo filosofia, adesso tutti i miei amici sono insegnanti e professori universitari e io sono un precario che sopravvive di giorno in giorno e alle volte pensi che prendendo determinate decisioni la tua vita sarebbe stata diversa, quindi forse una mano un po’ più ferma avrebbe direzionato meglio la mia vita.

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Lo avresti voluto? Credo di no, credo che lo avrebbero voluto più loro nella misura in cui sarebbero stati più soddisfatti di me in una versione diversa, però anche lì è la grandezza dei miei genitori, cioè anteporre ciò che tu vuoi al bene di ciò che tuo figlio vuole. Vale molto di più di un genitore che ti lascia libero di fare qualunque cosa tu voglia, perché lì non c’è sacrificio. Ma quando tu vuoi una cosa per tuo figlio e nonostante questo lo lasci libero allora lì c’è sacrificio e vero amore. Nello specifico questo è quello che ha fatto mia madre, quindi sono eternamente grato all’una e all’altro per motivi diversi perché la fortuna è stata proprio questa, io mi trovo benissimo in ambienti borghesi e in ambienti popolari proprio perché la mia vita era divisa a metà, la parte di mia madre era profondamente popolare, quella di mio padre profondamente borghese. Tutti pensavano che io dovessi fare il liceo classico e invece ho fatto gli istituti tecnici, sono stato bocciato 5 volte, ero un disastro, un mezzo criminale, quindi non sono cresciuto in una bolla, dove mi metti sto. Quindi li hai fatti un po’ penare Mi hanno fatto penare e li ho fatti penare. È stato reciproco, come è giusto che sia. Io la scuola la detestavo, non ci volevo stare, quindi a me sembrava la cosa più naturale e più giusta del mondo il fatto di non andarci. Il punto è che non erano d’accordo gli altri, per me era non dico una perdita di tempo ma semplicemente una sofferenza, e non perché andassi male, ma perché non ci andavo, era per questo che venivo bocciato, perché guardavo alla finestra e pensavo che fuori ci fosse un mondo mentre stavo lì a perdere tempo. La scuola mi stava stretta così come poi l’università, le relazioni, poi come dicevo non c’è nulla di più vincolante della libertà perché alla fine ne sei condizionato indirettamente.

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Se ti chiedessi un suggerimento per il prossimo artista da intervistare nel prossimo numero chi consiglieresti? Se non fosse un artista ti consiglierei di andare a Librino, di andare a parlare con il Mister Aroldo Donini e parlare della sua palestra di Librino e dei ragazzi che ci stanno dentro e vedere con i tuoi occhi. Parli con Adriana, Nino e Aroldo e ti fai raccontare cosa fanno in quella palestra lì. Ti assicuro che non c’è forma d’arte più alta della quotidianità e della vita della gente normale. Lì dentro inoltre troverai persone coi controcoglioni, ci sono campioni, medaglie olimpiche, gente che si è guadagnata la pagnotta. Ad esempio c’è Lucia che in questo momento è il fiore all’occhiello della palestra ed è in nazionale, medaglie di bronzo ai mondiali, attualmente campionessa italiana, a marzo avrà i campionati, è stata premiata anche al Coni di Roma tra le migliori atlete italiane, ha appena 18 anni. C’è Leonardo che è un albanese trapiantato ed è 5 volte campione italiano (Campione d’Europa under 21), con una storia personale travagliatissima, ma poi grazie alla palestra è diventato campione italiano, si è fatto una famiglia, ora lavora e fa il pugile professionista, in 2-3 anni Aroldo gli ha cambiato la vita. C’è Gianluca che ora è in America. Quella palestra ha anche dato l’unico campione italiano assoluto a Catania che è Danilo D’Agata, che è un po’come se il Catania vincesse la serie A, formalmente ha fatto un’impresa, come se un giorno festeggiassimo lo scudetto del Catania, quante volte succede nella vita? Mai. A Catania nel pugilato è successo. Solo che non lo sappiamo.

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Iran

UN QUADRO STORICO

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Conoscere la storia di un paese è un elemento imprescindibile se vogliamo interpretare correttamente i fatti, soprattutto se il nostro intento è non soltanto quello di osservare, ma di agire nel tentativo di contribuire al miglioramento della situazione. Su come possiamo essere utili a chi oggi in Iran si batte per il superamento dello status quo e sulla situazione attuale ci torneremo nell’intervista che segue, per il momento in questa breve scheda introduttiva ci limiteremo a ricostruire i punti salienti di questa storia. Il punto di partenza che abbiamo scelto è all’inizio del secolo scorso: la rivoluzione costituzionale del 1905-11. Dopo un lento e incompleto processo di modernizzazione avviato solo nella seconda metà del XIX secolo, la Persia era ancora dominata dalla dinastia Qajar e ristrette élites occidentalizzate si rivoltarono contro lo Shah, rivendicando una riforma costituzionale ispirata ai valori dell’occidente. La rivoluzione costituzionale obbligò lo Shah a introdurre una prima assemblea nazionale consultiva eletta, Majles-e shura-ye melli, e una costituzione che limitava il suo potere. In quegli anni Costituzione e parlamento furono modificati e sospesi diverse e, dopo il 1911, non furono più reintrodotti dalla dinastia Qajar che, tra il 1921 e il 1925, uscì definitivamente di scena. In quel momento uno dei generali dell’esercito, Reza khan Pahlavi, organizzò un golpe e costrinse all’esilio l’ultimo rappresentante della casata. Il primo Shah della dinastia Pahlavi (che mutò nel 1935 il nome del paese da Persia in Iran, termine che deriverebbe da arya, nobile), iniziò un rapido processo di modernizzazione del paese e impose numerose riforme sostenute dai latifondisti, ma avversate dal clero. Durante la Seconda guerra mondiale, nonostante la sua neutralità, l’Iran fu invaso da Gran Bretagna e Unione Sovietica e, viste le sue simpatie filonaziste che mettevano a repentaglio l’integrità del paese, Reza khan Pahlavi abdicò a favore del figlio Mohammed Reza Pahlevi, come il padre poco attento alle esigenze della popolazione. 17

La prima fase del suo governo, caratterizzato dalla presenza di Unione Sovietica, Stati Uniti e Gran Bretagna sul territorio, fu anche il periodo in cui si formarono i primi veri partiti e si sviluppò una qualche forma di democrazia, grazie soprattutto al parlamento che tentò di ridimensionare il potere della monarchia. Avversi a questa presenza erano invece diversi gruppi religiosi, tra cui quello guidato dall’ayatollah Kashani, che considerava la separazione tra potere politico e religioso un complotto guidato proprio dalle potenze straniere e inaugurarono una stagione di attentati che, anziché ridimensionare il potere e le tendenze di Reza Pahlavi, le esasperarono. Tra i provvedimenti più rilevanti e gravidi di conseguenze vi fu sicuramente la nazionalizzazione dell’industria petrolifera nel 1951, a cui Gran Bretagna e Stati Uniti reagirono con l’embargo, determinando il crollo dell’economia iraniana. La crisi economica amplificò le proteste delle piazze che chiedevano l’instaurazione della Repubblica e lo stesso Shah fu costretto a fuggire nel 1953, lasciando il paese nelle mani delle forze armate che imposero un cambio al vertice dell’esercito e ripristinarono con violenza l’ordine costituito. La restaurazione vide lo scioglimento dei due principali partiti del paese e la creazione di due partiti, i soli due ammessi, direttamente controllati dalla monarchia. In queste vicende, il ruolo degli Stati Uniti e della Gran Bretagna non si limitò all’embargo, ma con la cosiddetta operazione Tp-Ajax finanziarono capipopolo e organizzarono un tentativo di golpe, a cui seguì negli anni successivi un graduale riavvicinamento, in particolare degli USA. Con la presidenza Kennedy, nel biennio 1961-63, gli Stati Uniti furono artefici,infatti, della cosiddetta rivoluzione bianca, una serie di riforme suggerite allo shah nel nome della modernizzazione del paese, ma che si rivelarono un fallimento dal punto di vista economico, allargando ulteriormente la forbice delle disuguaglianze. Altrettanto controversa la condizione delle donne, che nel contesto delle riforme ottennero il diritto al voto e con il nuovo codice di famiglia accedevano a maggiori forme di tutela in caso di separazione e per l’affidamento dei figli, ma rimanevano relegate alla tradizionale subalternità in 18

famiglia e nella società, soprattutto se non appartenenti a classi agiate e se non vivevano nelle maggiori città del paese. Ad ogni modo la politica dello Shah suscitò scontento nel paese, che raggiunse il culmine verso la metà degli anni Settanta con numerose proteste guidate da studenti, intellettuali sindacalisti e religiosi. Ne raccolsero i frutti i seguaci dell'ayatollah Khomeini, che nel 1979, in seguito a violenti disordini, costrinsero lo Shah alla fuga e istituirono la repubblica islamica, una vera e propria teocrazia fondata sul Corano e su un progetto di radicale smantellamento di ogni influenza occidentale. Il meccanismo alla base delle nuove istituzioni fu costituito sul Velayet-e faquih, il principio di “tutela del giurispedito” formulato da Khomeini, che sanciva il governo del clero sciita, in discontinuità con il tradizionale ruolo di amministrazione della giustizia e dell’istruzione accanto al potere secolare. Il nuovo governo intraprese una politica di isolamento internazionale e di sostegno alle organizzazioni islamiche in tutto il mondo. Negli anni Ottanta una lunga guerra con l'Iraq (1980-88), indebolì profondamente il paese e nel 1989 Khomeini morì. Gli subentrò come supremo capo religioso Ali Khamanei, già presidente delI'Iran. Divennero presidenti della Repubblica Rafsangiani (dal 1989) e poi Khatami (dal 1997), entrambi ostili agli eccessi della politica confessionale. Da allora le tendenze riformiste sono andate lentamente consolidandosi nel paese, anche se nel contesto della perdurante forza dei gruppi fondamentalisti, che hanno riportato un importante successo nelle elezioni del 2005. L'Iran continua a essere un paese caratterizzato da conflitti interni ed esterni. Gli Stati Uniti e le potenze europee hanno imposto sanzioni contro il paese a causa del nuovo clima internazionale post 2001 e del suo programma nucleare, che ha portato a negoziati sul nucleare e all'accordo di Vienna del 2015. Tuttavia, gli Stati Uniti hanno abbandonato l'accordo nel 2018, portando a una maggiore tensione tra i due paesi. Inoltre, l'Iran ha continuato a sostenere organizzazioni islamiste in tutto il mondo, compresi i ribelli Houthi in Yemen e il governo siriano di Bashar al-Assad. Ciò ha portato a un maggiore coinvolgimento militare del paese nella regione, portando a conflitti con i paesi confinanti come l'Arabia Saudita e Israele.

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Il malumore tra la popolazione tornato sulle prime pagine dei media di tutto il mondo negli ultimi tempi segue la cosiddetta Rivoluzione Verde del 2009, un movimento di protesta pacifico contro i risultati delle elezioni presidenziali che avevano visto la rielezione di Mahmoud Ahmadinejad. I manifestanti, che indossavano abiti verdi, simbolo della campagna elettorale dell'opposizione, chiedevano maggiore democrazia e libertà di espressione. Le proteste anche il quel caso sono state duramente represse dal governo iraniano. Le autorità hanno anche bloccato l'accesso a internet e ai social media per impedire la diffusione delle notizie sulle proteste, pratiche che ritroviamo nuovamente nel corso dell’ultimo anno, ma a questo punto vi rimandiamo all’intervista a Neguin Bank, attivista iraniana.

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All’ultima edizione del Festival di Cannes è stato presentato il lungometraggio del regista iraniano Ali Abbasi, "Holy Spider", grazie al quale l’attrice protagonista, Zahra Amir Ebrahimi, è riuscita ad aggiudicarsi la Palma d’Oro per la Migliore interpretazione femminile. La pellicola narra la truce storia di Saeed Hanaei, il serial killer di Mashhad che tra il 2000 e il 2001 strangolò sedici prostitute con il velo che esse stesse indossavano. Il film è stato girato interamente ad Amman, capitale della Giordania, perché censurato dal dicastero iraniano in quanto oltraggioso nei confronti della morale islamica. Ancora oggi in Iran, come in Giordania, un uomo e una donna non possono stringersi le mani in pubblico, gesto vietato dalla comunità in nome di una cultura teocratica, estremamente moralista e sessuofoba. Mentre nella Spagna del Governo Sánchez si discute su importanti temi riguardanti i diritti civili e la lotta alle diseguaglianze, il gap che separa il destino delle donne europee da quelle mediorientali si fa più netto. L’Arci, sempre in linea sul tema della tutela dei diritti civili e delle questioni di genere, si sta mobilitando intorno ai fatti iraniani dando il via a una campagna sociale per salvare i condannati a morte durante le ultime repressioni.

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Per l’occasione l'associazione ha proposto a tutti i suoi circoli di inviare una lettera all’ambasciata iraniana per chiedere l’immediato rilascio dei manifestanti ingiustamente gettati dietro le sbarre durante le ultime repressioni scoppiate dopo la morte della giovane Masha Amini. Recentemente un gruppo di parlamentari italiani ha denunciato all'ambasciata iraniana a Roma le migliaia di esecuzioni avvenute in Iran con la richiesta del rilascio immediato dei prigionieri e della sospensione ufficiale delle condanne a morte. Per l’occasione ho intervistato Neguin Bank, attivista femminista iraniana. Prima di iniziare voglio ringraziarti per la generosa disponibilità: non è stato affatto semplice trovare una compagna iraniana disposta a rilasciare interviste in questo particolare momento. Ho avuto modo di constatare che esiste una vera e propria rete di protezione reciproca, infatti volevo chiederti se preferisci mantenere l’anonimato o meno. No no, va bene se fai il mio nome, tanto ormai sono comunque esposta (ride). Va bene, grazie. Attraverso Arci è giunta la notizia dell’incontro alla Camera di un gruppo di attiviste iraniane- di cui tu hai fatto parte- con una delegazione di parlamentari per chiedere di interrompere i rapporti economici dell’Italia con l’Iran. Che tipo di interessi ci sono in ballo? Nel mese di novembre con Arci abbiamo organizzato questo incontro al Parlamento diviso in due spazi. Il primo era a porte chiuse e riservato ai parlamentari; c’erano vari partiti tra cui il PD, Forza Italia, Sinistra Italiana, M5S. C'erano anche l’ex segretaria della CGIL Susanna Camusso e l’ex Presidente della Camera dei deputati Laura Boldrini. Abbiamo fatto un riassunto, per così dire, degli avvenimenti avvenuti in Iran e della relativa violazione dei diritti umani dall’ultimo settembre fino alla data del nostro incontro. Abbiamo parlato di tutte le persone uccise dal regime iraniano, in particolare dei giovani. Abbiamo scelto di fare i nomi, uno per uno, abbiamo parlato della loro storia, di come sono stati uccisi e di tutte le persone arrestate, sottoposte a torture, violenza, stupri e quant’altro. Dopo siamo passati al tema delle nostre rivendicazioni sul piano politico. Abbiamo richiesto un intervento a livello internazionale di tutte le parti presenti (governo, parlamento, i vari partiti), in modo da fare pressione al regime iraniano sul tema della violazione dei diritti umani.

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Abbiamo proposto di inviare una delegazione internazionale per andare nelle prigioni iraniane a vedere in quale situazione si trovavano i prigionieri: abbiamo fatto tutto il possibile per fermare le sentenze di morte emesse. All’epoca le impiccagioni non erano ancora avvenute. Il governo italiano non si era ancora espresso a riguardo contro il regime iraniano in merito alle violazioni a cui tutto il mondo stava assistendo. Infine, abbiamo chiesto che venissero interrotti i rapporti diplomatici ed economici con il regime iraniano. L’Italia è uno dei partner internazionali più importanti con Germania, Francia e altri paesi europei. In particolare abbiamo sollecitato circa la cessazione del dialogo sul tema del nucleare e sull'implementare le sanzioni su individui e aziende che in qualche modo sono legate al regime (bloccare i loro patrimoni e ingressi in Italia e in Europa, per esempio). Poi ci siamo spostati in un’altra stanza per la conferenza stampa insieme a vari giornalisti e abbiamo portato due banner: uno con scritto “donna vita e libertà” e l’altro che riportava “Italy deals and Iran kills”. Chiaramente erano tutti un po’ in imbarazzo. Quali risposte avete avuto? Sui rapporti economici non abbiamo avuto risposte, sui rapporti diplomatici è stato dichiarato che non era opportuna un’opposizione, dal momento che la diplomazia pare fosse necessaria per fare pressioni al governo iraniano. Questo non è completamente vero perché, se le cose non stanno ancora cambiando, vuol dire che la comunicazione non è efficace. Il regime iraniano, essendo di natura islamo-fascista, è un regime criminale paragonabile a quello di Hitler e di Mussolini o alla mafia: noi dobbiamo portare la strategia di isolamento totale, perché con il fascismo non si dialoga.

Il regime iraniano, essendo di natura islamo-fascista, è un regime criminale paragonabile a quello di Hitler e di Mussolini o alla mafia





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Quando le forze repressive del regime sanno che i paesi più importanti del G7 hanno ancora rapporti economici diventano più fiduciosi perché si sentono legittimati, mentre se vengono isolati perdono speranza. Sono stati uccisi giovani, anche bambini di otto anni che hanno dato la vita per la libertà del paese. Pensiamo che sia necessario isolare a livello internazionale l’Iran, mandare ambasciatori per sollecitare il governo, perché la politica adottata da quarantatré anni finora non ha funzionato. Devo ricordare che tra i parlamentari Boldrini ha portato la nostra richiesta alla Commissione degli Esteri nel mese di gennaio. Il ministro Tajani, invece, ha risposto che l'Italia non può interrompere i rapporti con l’Iran proprio perché vuole essere una protagonista sul tema del nucleare. L’attuale politica ammazza qualsiasi movimento rivoluzionario iraniano, come la Rivoluzione verde del 2009. Obama, a un certo punto, ha deciso di dialogare sul nucleare: tutti ricoprivano questo mainstream e così il Movimento verde è stato completamente abbandonato con tutti i sacrifici annessi. Trump, venuto dopo, ha distrutto tutto. Quante volte si devono ripetere gli stessi errori? Possiamo andare avanti così per sempre? Le attenzioni devono essere volte a salvare ottanta milioni di persone da un regime fascista. Noi vogliamo mantenere la fiamma accesa per non consentire la normalizzazione delle pratiche violente del regime iraniano a livello internazionale.

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Forse è una mia impressione probabilmente influenzata dalla cultura di massa (penso al fumetto Persepolis di Marjane Satrapi), ma sembra che le donne iraniane sentano molto di più la rivoluzione rispetto alle donne di altri paesi arabi. Ammesso che ciò sia vero, credi che dipenda dalla libertà conosciuta prima dell’avvento di Khomeini o pensi ci sia una spinta originale nel sentimento popolare iraniano? Penso che sia un fatto legato alla storia del territorio del paese. Certamente l’epoca dello Scià ha portato una ventata di modernismo della società, in particolare per le donne. Però non bisogna dire che quel periodo abbia portato democrazia: anche lo Scià ammazzava, torturava gli oppositori del Regime, motivo per cui abbiamo avuto la Rivoluzione del ‘79. Anche a quell’epoca c’era un gap sociale da far paura. C’erano poche persone benestanti e vivevano nelle città grandi, erano loro a beneficiare di questa svolta modernistica. Poi c’era la classe subordinata che soffriva. E la rivoluzione è stata fatta da quei partiti social-marxisti che poi furono stroncati dallo Scià. Quel periodo è stato una finestra di modernizzazione, ma anche prima di quell’epoca ci furono molte donne attiviste. Bisogna ricordare che stiamo parlando di una società millenaria che migliaia e migliaia di anni fa aveva conosciuto un sistema matriarcale, in particolare nella zona del Kurdistan. Poi vi fu l’epoca dell’Impero persiano, che diede spazio anche alle regine e in generale a volti femminili (nella letteratura, per esempio). Con l’invasione araba e l’avvento dell’Islam si cominciò a instaurare lentamente una visione patriarcale. Questa mescolanza di fattori culturali pagani prima e socialisti dopo ha corroborato l’immagine della donna iraniana che lotta, un po’ come quella curda giunta fino a oggi.

Noi vogliamo mantenere la fiamma accesa per non consentire la normalizzazione delle pratiche violente del regime iraniano a livello internazionale

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Ho letto di alcune donne dell’upper class iraniana sfuggite al carcere (e senza velo) grazie al pagamento di grosse cifre come cauzione. Allora mi chiedo: quella presente in Iran è espressione di una lotta femminista oppure pensi si riferisca prevalentemente alle insoddisfazioni delle classi lavoratrici a basso reddito? Sì, capisco cosa intendi. Per me questa è una lotta femminista, socialista e intersezionale: comprende certamente tematiche discriminatorie di genere, ma è anche una lotta contro la discriminazione di classe ed etnica. Le regioni rurali dell'Iran hanno subito forti discriminazioni. Le donne non vedono nessuna prospettiva, nessun futuro, nessuna vita degna d'essere vissuta a livello economico: non hanno subito solo discriminazioni di genere. Una donna di quattordici anni non mette in gioco la sua vita solo per il velo. È anche una questione religiosa legata al velo, certamente, ma c’è anche il problema del lavoro, i genitori non possono più dare da mangiare ai figli. Oggi la classe media iraniana è stata proletarizzata e questa è una lotta femminista non solo perché si riferisce ai diritti delle donne, ma anche perché si occupa delle classi emarginate. La lotta contro la discriminazione etnica c’è stata anche all’epoca dello Scià: i curdi sono stati oppressi come i beluci e sempre per motivi economici. L’unica fonte di sussistenza per i beluci, storicamente coltivatori e allevatori, era l’acqua, ma poi si sono dovuti sottomettere alle industrie, allo sfruttamento e alla precarietà, hanno dovuto emigrare nelle grandi città disperdendosi. Questo è per me un esempio di discriminazione etnica. Questa è una lotta unita, l’una intercetta l’altra. Credo che sia l’unica lettura possibile. “Donna, vita, libertà” in realtà è diverso da tutti gli altri movimenti perché è entrato nel cuore degli altri paesi, perché sono tematiche presenti in tutte le società e con problematiche diverse. Le ingiustizie e le discriminazioni di classe, etniche, di genere esistono in tutte le società. Come interpreti l’attuale mobilitazione di molti uomini a sostegno di compagne e sorelle? Molti giovani si sono resi conto che la loro libertà senza la libertà delle donne non è realizzabile. Se la donna è sfruttata, anche l’uomo lo è. I quarantatré anni che ci distanziano dal ‘79, quando le donne protestarono contro il velo obbligatorio, sono stati una scuola a livello esperienziale. Questo movimento ha già vinto anche perché ha attecchito nella generazione giovane.

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“Donna, vita, libertà” in realtà è diverso da tutti gli altri movimenti perché è entrato nel cuore degli altri paesi

Se ci sarà l’appoggio e la continuità della società civile estera potrà esserci un rovesciamento politico. Bisogna stare attenti alla falsa opposizione: con la controrivoluzione rischiamo di avere un altro fascismo. Abbiamo da poco festeggiato l’otto marzo. Che cosa significa per te questo giorno? Per me è una festa importante prima di tutto da un punto di vista dell’internazionalismo, ricorda la discriminazione di genere e la lotta contro il patriarcato. Il mainstream ha trasformato questo momento in una festa svuotandola del suo vero significato. Però negli ultimi anni penso ci sia stata una nuova ondata di femminismo che non c’era tanti anni fa. E poi per gli iraniani resterà sempre una festa di solidarietà e di internazionalismo.

Jin, Jîyan, Azadî

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di Emanuele Liotta

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Body positivity vs. body neutrality: come questi movimenti sociali stanno cambiando la lente attraverso la quale le persone vedono i propri corpi? Il

Questo fenomeno negativo ha dato origine a due diverse scuole di pensiero, che tentano di riformulare completamente il modo in cui

corpo è una macchina complessa, e non è difficile, né tanto meno raro, ritrovarsi a pensare al proprio corpo sotto una luce negativa. Dalle riviste ai social media, il pubblico è

pensiamo corpi: la body positivity e la body neutrality. Si tratta non solo di pensiero, ma di due movimenti sociali che possono rimodellare il rapporto con il corpo e la

costantemente bombardato da immagini relative agli "obiettivi del

comprensione di cosa significhi veramente essere sani. La "body

corpo" alle “aspirazioni fitness" – e sfortunatamente, questo significa che

positivity" è un movimento sociale che promuove l'accettazione di corpi

alcune persone sottoscrivono standard di bellezza irrealistici e si sentono sotto pressione per forzare i

di tutte le dimensioni. Uno dei suoi obiettivi principali è quello di sfidare gli standard di bellezza della società,

loro corpi in forme che non sono raggiungibili.

che tendono a favorire i corpi magri e capaci rispetto ai corpi sovrappeso e obesi.

Anche se la scuola di pensiero sulla body positivity sembra sana in superficie, ha la sua parte di aspetti negativi: innanzitutto, un problema comune è che l'interpretazione moderna del movimento è cambiata così tanto nel corso degli anni che non è più inclusiva come potrebbe essere. Ad esempio, anche se le persone nere, queer e disabili hanno svolto un ruolo fondamentale nel portare il movimento della fat acceptance nell'era digitale e creare il movimento

di body positivity come è noto oggi, le stesse comunità marginali non sono sempre rappresentate nelle sue attuali manifestazioni sui social media. Mentre hashtag come #BodyPositivity e #Diversity sono saliti in popolarità, non mostrano tanta diversità e intersezionalità come intendevano i fondatori originali del movimento, il che può far sentire molte persone emarginate in gran parte escluse da un movimento che avrebbe dovuto beneficiarle. 31

Al contrario della body positivity, che incoraggia le persone a sentirsi belle e sicure di sé a qualsiasi dimensione (e anche qualsiasi costo), la body neutrality sostiene l'eliminazione completa dell'aspetto fisico come parte della costruzione dell’autostima di una persona e consiglia di concentrarsi maggiormente su come ci si sente nell’abitare il proprio corpo - e su ciò

La body neutrality sostiene l'eliminazione completa dell'aspetto fisico come parte della costruzione dell'autostima di una persona e consiglia di concentrarsi maggiormente su come ci si sente nell'abitare il proprio corpo e su ciò che il corpo può fare, piuttosto che su come appare in un dato momento

che il corpo può fare, piuttosto che su come appare in un dato momento. L'idea di body neutrality è abbastanza nuova, soprattutto se confrontata con la lunga storia della body positivity in

varie interazioni nel corso degli anni. Uno dei migliori vantaggi di praticare

tutte le sue

la body neutrality è che elimina gran parte della pressione che molte persone sentono quando si tratta della propria immagine corporea; questo perché, ancora una volta, se l'idea di essere sempre positivi in merito al proprio corpo a qualsiasi dimensione è generalmente buona, questa pone ancora un'enorme quantità di attenzione e accentuazione sull'aspetto fisico, e in molti modi può ancora oggettivare le persone e mettere in relazione i sentimenti di autostima con la percezione che si ha - e che gli altri hanno – del proprio fisico (anche se in un modo diverso rispetto agli standard di bellezza convenzionali). La body neutrality può essere particolarmente utile per le persone che hanno storicamente sofferto di scarsa autoefficacia, difficoltà nel rapporto con l’immagine di sé e bassa autostima. 32

Dal momento che elimina il rapporto con l’aspetto fisico dall'equazione, la body neutrality dà spazio alle persone per accettare il corpo senza costringersi ad adottare immediatamente una visione positiva di esso, il che può essere difficile se si è cresciuti con ideali di bellezza irrealistici. Quindi, per riassumere le differenze chiave tra body positivity e body neutrality: se la body positivity incoraggia le persone a sentirsi belle

La body neutrality diventa così un approccio da non sottovalutare proprio per la sua neutralità, perché a volte essere obbligatoriamente positivi non è genuino o è un passo troppo grande da fare. Rimuove la pressione di amare il dover amare il proprio corpo quando non sembra possibile, chiedendo solo di accettarlo così com'è e apprezzarlo per quello che può fare. Il nostro corpo è nostro, e ce lo riprendiamo

e ad amare il proprio incondizionatamente, la

senza retoriche.

corpo body

neutrality sposta avanti un discorso meno tossico, perché meno improntato su una positività a volte forzata, e si concentra più su come le abitudini quotidiane del corpo e sulla relazione che abbiamo con la sua funzionalità.

Immagini di Emanuele Liotta

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"È morto un poeta": l'universo femminile di Patrizia Cavalli di Adriana Sicilia 34

È il 1974: Einaudi pubblica un libricino di poesie di una sconosciuta Patrizia Cavalli dal titolo "Le mie poesie non cambieranno il mondo", in basso a destra una dedica: "A Elsa". Un debito di riconoscenza e un’amicizia profonda legò Patrizia Cavalli per tutta la vita a Elsa Morante, la prima a definirla poeta: da quell'incontro fatale iniziò il suo idillio poetico. Ma cosa ha rappresentato la poesia di Patrizia Cavalli per la generazione degli anni '60 e '70 e cosa significa per la nostra? Patrizia è una donna che parla alle donne, edificatrice di un universo femminile in cui l’introspezione trova il suo spazio nell’endecasillabo classico che parla la lingua dell’oggi. Il suo profilo poetico e umano è delineato dall’amore per le donne e per le parole, due amori che si fondono e si confondono nel dare vita alle sue poesie, definite "piccoli racconti in versi". Per Patrizia amare le donne significa scegliere di rifiutare la superiorità riconosciuta agli uomini, significa vivere un amore senza competizione, appassionato e decantato nei versi come “promessa e nostalgia”, accanto, un amore per le parole che sta "all’ombra di una metafora” con una margherita in mano, corrisposto, libero.

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È una poesia dell’io quella di Patrizia, non una semplice poesia diaristica ed ego-riferita, ma una voce che si fa portavoce di tutte le altre, un io che apre da un lato un dialogo con tutti gli altri io possibili (“se di me non parlo/ e non mi ascolto/ mi succede poi/ che mi confondo”), dall’altro un dialogo con un noi collettivo. È la voce delle donne della sua generazione e della nostra, di quelle che aspettano che qualcuno bussi alla porta, di quelle che d’amore non vogliono parlare ma vogliono solo farlo, di quelle che raccontano bugie domani dimenticate, di quelle che le ali le hanno o non le hanno, di quelle che stanno sedute con la propria pancia grassa, di quelle che lottano tutti i giorni con il proprio “felice niente”. Per secoli le donne hanno ispirato la grande letteratura scritta dagli uomini, sono state Beatrice, Laura e Silvia, di certo non le donne di un'altra donna, non le protagoniste di una poesia della verità nella menzogna, una poesia in cui, per dirla con Cavalli, “Riderò spalerò/ racconterò bugie/ E domani l’avrò già dimenticato”. Le donne non pensavano che avrebbero smesso di essere vergini salvifiche, che si sarebbero trasformate in peccatrici orgogliose. “Ti ho appena toccato e ti ho già tradito/ Non incolpare me, incolpa il mio vestito”; la poesia di Patrizia Cavalli ha celebrato la donna come paradigma perfetto di corpo e mente, nella lotta costante tra i due, nella debolezza e nella forza.

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“È morto un poeta” ha scritto l’editore Einaudi il 21 Giugno del 2022 dopo avere appreso la notizia della morte di Patrizia. Ed è vero: è morta una donna, una combattente. Ma cosa succede quando muore un poeta? “Festeggiamo la vita/ consoliamo la morte/ o magari il contrario/ così finché viviamo”. Quando muore un poeta, questi ci lascia unici eredi di una mole infinita di parole per festeggiare la vita e consolare la morte, per rivivere tra i versi l’esperienza d'altri continuando il dialogo tra tutti gli “io” possibili dell'anima, per proseguire la ricerca del “disegno compiuto/ ciò che si vede alla fine del ricamo/ quando si rompe con i denti il filo/ dopo averlo su se stesso ricucito/ perché non possa più sfilarsi se tirato”.

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Peristalsi emozionale Martina Lupo

Il presidente fece un colpo di tosse per schiarirsi la voce. Poi guardò di fronte a lui lo schermo collegato alla telecamera che trasmetteva la sua immagine in diretta. Fece una leggera smorfia di disappunto, i baffi sudaticci in primo piano lasciavano intendere tutta la fatica di quel momento. Pronunciare una dichiarazione di guerra non era cosa facile. Provò a cominciare dai convenevoli istituzionali, «Care concittadine e cari concittadini…», ma subito si fermò, raggelando per un’improvvisa fitta allo stomaco che non lasciava presagire nulla di buono. «Care concittadine e cari concittadini…», ricominciò, «È con profondo rammarico che mi rivolgo oggi a voi», e di nuovo sentì le budella attorcigliarsi in preda a spasmi incontrollabili. Come in un’allucinazione mistica, gli sembrò di vedere le lenticchie del pranzo che scendevano ad una ad una, grosse come biglie, lungo il suo intestino, e si fermavano in coda cattive, premendo per uscire. Allarmato, il presidente guardò dritto negli occhi il suo segretario in piedi dietro alla telecamera. Gli vennero in mente le sue parole, i suoi saggi consigli sui cibi leggeri da preferire nelle situazioni complesse e cariche d’ansia. Saputello bastardo. «Care concittadine e cari concittadini…», ormai aveva perso il filo del discorso, mentre gocce fredde di paura avevano preso a colargli dalla fronte, «È con sincero rammarico che…», il potere elastico del suo intestino retto era veramente allo stremo, strinse le chiappe più che poteva, «È con assoluto profondo rammarico che mi rivolgo a voi oggi…», non ce la poteva fare, la merda era già affacciata sulle sue mutande. Diede un’occhiata veloce alle vie di fuga più vicine. 38

«Sì, è con rammarico profondo e sincero che oggi…», merda, merda, merda, «Che oggi mi rivolgo a voi qui in questi tempi bui…», impossibile trattenersi di più, «Per annunciare che …», eccola, stava uscendo, «Per annunciare che …», non c’era tempo per fare una guerra, non c’era più tempo, «CHE NON C’È TEMPO PER FARE UNA GUERRA», ci siamo, ci siamo, ci siamo, PROOOOOT! Il culo del nazionale.

presidente

tuonò

in

diretta

Sbiancato, subito sbarrò gli occhi, poi fece un leggero inchino con il capo e andò via camminando lateralmente. Fuori dall’inquadratura, iniziò a correre come un disperato per cercare un bagno. «Cosa? Che ha detto?», il papa stava tirando la manica di un cardinale seduto accanto a lui davanti alla televisione. «Ha scoreggiato!» «Ha scoreggiato?» «Sì, ha scoreggiato!» «Il presidente ha scoreggiato?» «Le ho detto che ha scoreggiato!» Il papa si alzò di colpo per andare alla finestra a fare il suo annuncio ufficiale: «Il presidente ha scoreggiato!» Dalla piazza gremita di fedeli e disperati che si erano radunati per pregare esplose un coro incredulo di felicità, un boato di giubilo, applausi e imprecazioni. Intanto in tv continuavano a scorrere le immagini commentate dai giornalisti in collegamento dal Quirinale: «Non c’è dubbio, il presidente ha chiuso all’opzione della guerra». «Con una presa di posizione decisa, il presidente ha detto chiaramente che il nostro Paese è contro ogni forma di violenza». 39

«Parole forti, parole dense di significato quelle del presidente che oggi ricorda a tutti noi come un’alternativa di pace sia sempre possibile». Il papa non sapeva dire se si trattasse di miracolo o di indigestione. Le ultime ore erano state un susseguirsi sfrenato di ipotesi, notizie, e indiscrezioni trapelate: la guerra era quasi certa. Ora invece la peristalsi del presidente aveva ribaltato la situazione e aperto all’unica alternativa sperata. Per il papa questa svolta improvvisa andava celebrata in modo degno. Non c’era tempo da perdere, doveva soffiare anche lui la sua flatulenza metaforica. Tirò fuori lo smartphone dalla tasca sotto la tunica bianca e digitò dall’account Twitter ufficiale del papa il suo messaggio di pace: “Il papa indice il CASUAL FRIDAY per tutta la comunità cristiana! Alleluia, alleluia!”. Il social media manager della Santa Sede aveva aperto una bottiglia di prosecco e stava brindando al culo del presidente insieme a un gruppo di seminaristi. Quando si accorse del tweet del papa era ormai troppo tardi, il messaggio era stato condiviso da milioni di utenti e la notizia aveva già preso a circolare tra i giornali e i salotti televisivi. Il papa intanto stava ordinando su un e-commerce il completino da calcio ufficiale dell’Argentina per il suo personale Casual Friday. Il venerdì seguente nelle città, nei paesi, nei monasteri arroccati sulle montagne e nei conventi nelle periferie, preti e suore avevano risposto in massa all’appello del papa. Una suora aveva seguito i salmi del mattino con una maglietta di Nicolas Cage, un’altra aveva diretto le prove del coro con un pigiamone di Chewbacca. Un prete aveva recitato la messa del mattino con la tuta gialla di Kill Bill, un altro aveva fatto visita agli anziani con un boa di piume viola e una gonna di paillettes blu. Un frate aveva tenuto una lezione di religione con una parrucca di dreadlocks e aveva acceso un joint da far girare in classe, un altro aveva benedetto una casa indossando degli stivali texani rossi e dorati. 40

Quello stesso giorno, nella chiesa di San Bartolomeo All’Isola un prete stava officiando un rito funebre con indosso una maglietta dei Beat Happening, album Jamboree, anno 1988. Il funerale era del vecchio professor Ughetti, ex insegnante di composizione corale al conservatorio. Seduto tra i banchi della chiesa, Michele Terni, noto direttore d’orchestra, non riusciva a distogliere lo sguardo dalla maglietta del prete che leggeva salmi in piedi sull’altare. Più guardava quella maglietta, più la voce del prete diventava nella sua testa quella di Calvin Johnson che cantava "that's why we're running away, that's why we're running away"*. Prima di perdersi nella musica classica, Michele Terni aveva passato i migliori anni della sua vita in una band lo-fi con tendenze noise punk. Adesso in quella chiesa gli acuti delle vecchie che stonavano "gloria a Dio nell’alto dei cieli" gli ricordavano il suono delle distorsioni delle sue vecchie chitarre. Mentre pensava ai lunghi cavi impigliati dei pedali overdrive, iniziò a sentire uno strano calore nel petto che risaliva per la gola e si fermava lì come un pugno chiuso. Gli occhi presero a riempirsi di lacrime, la vista completamente offuscata. Le guance si rigarono di pianto: prima poche gocce, poi fiumi in piena che correvano lungo gli angoli della bocca e si univano sul mento in una cascata di acqua e muco. I vecchi compagni di corso di Michele seduti accanto a lui gli stringevano le spalle e gli tenevano le mani cercando di consolarlo sottovoce, scambiando quel suo pianto commosso per straziante dolore. «Michele su...» «Fatti forza…» «Lo sai che era anche tanto vecchio…» «Certo che era vecchio», Michele continuava a singhiozzare, «Aveva tipo centoventi anni! È solo che quella maglietta…», lacrime sincere, «Adoro quella maglietta». * Our Secret, Beat Happening, Our Secret/What’s Important, K Records, 1984

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Finito il funerale, dopo essersi dato un contegno, Michele strinse la mano ai figli del professor Ughetti, salutò i vecchi compagni di corso e fece strada verso il Teatro dell’Opera. Quella sera andava in scena la prima del "Tannhäuser" di Wagner. Durante il tragitto Michele continuò a pensare ai Beat Happening, a quel calore che aveva sentito dentro, alla nostalgia, alla sua adolescenza. Prima di entrare in metro vide su uno schermo della stazione il papa in diretta con il completino di Lionel Messi che incontrava il segretario generale delle Nazioni Unite. La pace era una cosa davvero bella, pensò. Quando arrivò in teatro, l’orchestra aveva già iniziato a riscaldarsi. Il maestro raggiunse la sua postazione, alzò la bacchetta e richiamò l’attenzione degli orchestrali: «Vi piacciono i Beat happening?» Quando il sipario si aprì, l’occhio di bue illuminò il direttore in piedi di fronte l’orchestra con la bacchetta in mano. Accolto dagli applausi di benvenuto del teatro, rimase immobile per qualche secondo. Finita l’ovazione, alzò la bacchetta in alto e urlò fortissimo: «PUUUUNK!» A quel comando, l’orchestra si lanciò scatenata in un’improvvisazione noise. Il pubblico elegante sulle poltroncine del teatro rimase di sasso. I libretti che tenevano piegati sulle gambe recitavano chiaramente "Tannhäuser, Wilhelm Richard Wagner", ma i violoncellisti che percuotevano i loro strumenti come fossero tamburi non sapevano di Wagner neanche un po’. Disorientati, gli astanti si guardavano tra di loro e guardavano il teatro, per essere sicuri di trovarsi nel posto giusto. «Qua dice proprio Wagner», un vecchio con un completo gessato si era portato il libretto vicino agli occhiali. «Sì ma il maestro ha urlato fuck!», gli fece eco una signora dalla fila davanti. «No veramente ha detto punk!», precisò un altro spettatore. «Punk? Allora la giacca ce la possiamo sbottonare?», il vecchio si sistemò comodo sulla sua poltroncina.

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Anche gli altri iniziarono piano piano a sciogliersi, la musica non era poi così male. Mentre le corde degli archi venivano pizzicate con le mani e il pianoforte seguiva delle scale velocissime, in sala qualcuno aveva iniziato a muovere i piedi con la musica, qualche altro a battere le mani. I musicisti andavano completamente per i fatti loro, non c’era un ritmo uguale in tutta l’orchestra, eppure il risultato finale funzionava: quell’asincronia musicale odorava di dirompente libertà, di forza creatrice, di fanciullezza, di festa delle medie. «Forza panino!»*, uno spettatore in piedi sulla poltrona. Anche altri si alzarono come lui, chi sulle poltroncine, chi sulle balconate e in galleria, chi sotto il palco a ballare e ondeggiare con i papillons, le perle, i gemelli e i pizzi. Il direttore intanto si era legato la cravatta attorno alla testa e si muoveva scatenato in mezzo agli strumenti e girava e saltava ad occhi chiusi. La folla sotto al palco cresceva e si mescolava in un impasto di danze tribali. Quando lo chef Antonio Pisani arrivò in teatro, il maestro si era appena lanciato dal palco sulla folla per fare stage diving. «Che mi sono perso?», il signor Pisani raggiunse la moglie in galleria, «Scusami tanto per il ritardo ma non hai idea del casino che è successo in magazzino. Abbiamo trovato un’infiltrazione d’acqua che andava avanti chissà da quanto, un’umidità che non ti dico. Abbiamo dovuto ripulire tutto, conserve, salse, e uno spreco di lenticchie incredibile…sacchi e sacchi! Ma avevano preso troppa umidità, erano diventate belle acidule…spero che non abbiano mandato in bagno nessuno, altrimenti sai che guai... Ma qui invece che succede? Oh, forte sto Wagner, proprio forte!»

*Tapparella, Elio e le Storie Tese, Eat the Phikis, 1996

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Racconto

Elena Failla

Immagini di Lucia Musumeci (Banshee)

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Inesorabilmente lei. Inesorabilmente noi. Era un vero peccato, l’amavo. Come spiegare l’odore dei suoi capelli ancora bagnati sul cuscino, da quei riccioli scuri si liberava il mio ossigeno. A certe cose fai caso solo dopo, solo nel momento in cui ti sei ormai liberato del cadavere, ma ti manca, eccome se ti manca. Ancora buoni quei bulbi oculari dall’iride nocciola nel suo portagioie (era il suo preferito). Se solo non avessi buttato gli altri pezzi, adesso non sarei qui a scrivere, ma starei cercando di ricostruirla. Magari meno stronza. Dicono ci sia bisogno di un movente, ma ve lo giuro, miei stimati signori, ne sono sprovvisto. L’avevo lasciata così candida su quelle lenzuola bianche. Boccheggiante, la testa persa in chissà che sogno. Le gambe aperte, quasi a chiedermi di mettermici in mezzo per farmi stringere e stare poi al sicuro lì, per sempre. E poi puff, in un secondo riapro gli occhi infastidito dalla luce che sbuca dalle veneziane. Un suo vizio costante quello di dimenticarle aperte, e puff, veramente puff , le lenzuola di seta, quelle bianche, 45

le sue preferite, di un aggressivo rosso acceso. Le orbite vuote, le braccia scorticate all’altezza dei tendini, una gamba spezzata, ma la sua aria di serafica bellezza e sogno sono ancora su quelle labbra rosa semiaperte, illese, come se nulla fosse successo. Imperlata di sudore la mia fronte, lucido di preoccupazioni per l’accaduto forse devo affrettarmi, rinfrescarmi e ripulire. Sono pur sempre le sue lenzuola preferite. Mi ritrovo in cucina in un batter d’occhio, proprio dove la sera prima si era consumata la nostra splendida ultima cena. Piatti sporchi sul lavabo, teiera ancora sul fornello, tavola da sparecchiare. Sarà una dura mattinata. Odio dover spazzare via le briciole da sotto il tavolo, soprattutto quando non trovo la scopa. Dovrei cercarla per casa, ma un particolare coglie la mia attenzione: il suo vestito rosso sul divano. C’è ancora il suo profumo di talco e lavanda che riempie la stanza e mi svuota l’anima fino a quando non arrivo alla veranda e trovo riversa sul pavimento la bottiglia di vino rosso che avevo preso ieri sera per festeggiare. Temo di aver scritto qualcosa prima che non ricordo già più e potrebbe farmi pentire. Come quando intontito dalle ultime ore di sonno pensi a cose di cui dopo due minuti hai già dimenticato il percorso mentale, il perché.

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E con quale freddezza mentale ho descritto la mia amata a letto, ma cosa ho fatto? Torno da lei, annaspando per il corridoio troppo breve che mi pare un’autostrada lunga chilometri con ore ed ore di fila. Penso di poter morire. Forse lo farò, o il mio cuore smetterà di pompare sangue da solo, per un dolore così grande. Probabilmente il mio petto diventerà gelido, in mancanza di quello di lei sempre caldo e accogliente. Lo stipite della porta della nostra stanza da letto mi sembra la cosa che ho atteso di più nella mia mente. Ricordo ancora quando la prima volta arrivati qua, vi si poggiò per vedere quanto più piccola di me fosse. Il mio fiore da proteggere. Di lei ora vedo solo l’ombra intenta a spazzare vicino al letto, di spalle. Mi saluta, calda, mi bacia. Dice che devo aver fatto qualche brutto sogno, urlavo, sudavo. Mi dispiace, penso. Mi dispiace, dico. Di cosa, mi chiede corrucciata. Niente, di averti svegliata. Sai, ti amo. Mi sorride. Anche io. Non voglio perderti mai, mio fiore, posso portarti sempre con me? Dove vuoi. La sua voce mi rassicura, mi abbraccia. La stringo, mi addormento come un bambino. Mi sveglio. Umido sulle mani, rosse. Stessa scena di ogni mattina ormai, non riesco a cambiare quelle lenzuola. Chissà da quanto sono qui, devo essere uscito fuori di me. Scusa ancora amore mio, è un vizio che non sono riuscito ad estirpare, ma te l’ho detto, ti porto con me dovunque, mio fiore. Ho i tuoi occhi in quel morbido cofanetto che ha il tuo odore. 47

Giovani sovversive Intervista ad Anna Chisari di Marit Coudenys

Perché fare politica a vent’anni? Certo, non tutta la politica è uguale e alcuni potrebbero dire che è un modo come un altro per trovare collocazione, fare networking, sperare in un lavoro. Ma non è di questa politica che parliamo, quella dei grandi partiti e delle opportunità personali. Parliamo di attivismo, cittadinanza attiva, di impegno per la collettività, della politica che si fa sulla strada, senza ambizioni personali. E allora perché a vent’anni spendere il proprio tempo e le proprie energie su questo fronte? Perché essere sovversivi in una società che ci insegna che un altro mondo non è possibile e che ognuno deve pensare per sé? Ne abbiamo parlato con Anna Chisari, nemmeno vent’anni, ma già con tanto da raccontarci sul perché scegliere di lottare. Anna Chisari: «Sono nata in una piccola città vicino a Catania, Motta Sant'Antastasia, mi sono trasferita a Catania un anno fa. I collettivi dove svolgo le mie attività ora sono il MUA (Movimento Universitario Autorganizzato) e la Casa del Popolo Colapesce. Ho iniziato a fare politica al liceo, con il collettivo LPS, un'organizzazione studentesca che lotta per migliorare le condizioni della scuola. A 15 anni hanno organizzato una mostra d'arte nella mia scuola sulla letteratura femminile. Ho scoperto tutte queste importanti figure e mi sono resa conto che queste donne hanno creato un mondo migliore per le donne di oggi. Ho sentito il bisogno di fare lo stesso, e con LPS questo era possibile. Così ho iniziato a frequentare le loro assemblee e mi sono unita anche alle ragazze e ai ragazzi della casa del popolo Colapesce. Da allora sono innamorata dell'attivismo. È stato meraviglioso vedere come persone che avevano perso completamente la fiducia nelle istituzioni, si impegnassero in qualcosa di nuovo, di utile. 48

La politica, il mio scopo nella vita

Per me è un bisogno fare politica, è il mio scopo nella vita. Come persona trans, la politica mi tocca enormemente, più di quanto non faccia all'uomo bianco etero e ricco. Il mio lavoro nasce da un grande dolore che ho trasformato in rabbia. Non voglio più vivere in questa società, sono stufa. La vita dovrebbe essere libertà e felicità per le piccole cose. Ma ora la società ti limita, ti spezza perché ti chiede costantemente più di quanto tu possa dare. Non va bene che alcuni siano terribilmente ricchi e altri terribilmente poveri, che alcuni possano comprare cento ville e altri debbano dormire per strada ogni notte. Non credo in una ragione spirituale per cui siamo qui, ma è un fatto che ci siamo e quindi dobbiamo creare condizioni migliori per tutti. Abbiamo tutti gli stessi problemi. Se qualcosa va storto nella mia vita, potrei trovarmi in una situazione disastrosa. Potrebbe succedere a me, a voi, a tutti noi. Credo che da quando ho iniziato a fare politica, Catania sia cambiata. Gli effetti del nostro lavoro sono visibili, hanno

effetti

sulla

vita

e

sulla

mentalità dei cittadini. La città ha risposto negli anni allle nostre attività di mutualismo. Si tratta di creare un sentimento di collettivismo. Non siamo obbligati ad aiutare, ma siamo una comunità, una famiglia non imparentata, quindi lo facciamo e basta. Viviamo nello stesso luogo, siamo tutti esseri umani, abbiamo gli stessi problemi, quindi ci aiutiamo a vicenda. Per esempio, quando diamo lezioni gratuite di inglese. Lo facciamo perché è un diritto studiare. In questo modo, aiutiamo le persone che iniziano a capire che un altro modo di vivere è possibile.

Gli effetti del nostro lavoro sono visibili, hanno effetti sulla vita e sulla mentalità dei cittadini

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Cambiare Catania, un compito difficile Anche se abbiamo posato un piccolo pezzo del puzzle, non abbiamo cambiato completamente Catania. È un compito difficile. Innanzitutto perché qui nel Sud Italia il sistema non è organizzato.

Dobbiamo lavorare su cose che in realtà sono diritti umani fondamentali. Nel corso dell'anno l’amministrazione comunale ha distrutto anche cose buone. Per esempio, abbiamo solo 4 strutture per la salute delle donne. Solo 3 sono aperte e solo 2 di queste funzionano davvero. Secondo le leggi in vigore dovremmo averne 8. Questo non è un problema solo di Catania, né del Sud Italia. È un problema di tutta l'Italia. Se si vuole

davvero

cambiare

questa

situazione, bisogna lavorare insieme a tutti i collettivi, anche a livello internazionale. In secondo luogo, rappresentiamo un modo alternativo di vivere. Una società in cui tutti hanno le stesse opportunità e sono trattati allo stesso modo. In una società ideale non si dovrebbe lavorare per ottenere denaro, ma per la collettività. Se si ha bisogno di qualcosa in città, si otterrebbero gli strumenti e le opportunità per costruirlo e tutti avrebbero queste possibilità. La società come è oggi non supporta questo ideale. Quindi abbiamo dei limiti nel cambiare la città, ma i limiti possono essere superati nel tempo. Forse tra 10 anni potremo avere un ruolo nelle istituzioni e fare di più per la città.

Abbiamo bisogno di giovani per completare il puzzle

Credo che abbiamo bisogno di giovani che si uniscano al nostro movimento e ci aiutino a creare questo puzzle. Perché sono le persone che vedono più chiaramente cosa non va nella società. Da adolescente ti trovi in un luogo squilibrato, le tue insicurezze si sgretolano e questo si traduce in atti rivoluzionari. 50

Hai costruito il nuovo te stesso, un nuovo futuro e senti che la società ti ha tralasciato perché è fatta per l'uomo bianco etero e ricco. I giovani forse non hanno gli strumenti per capire completamente cosa non va, ma lo sentono. Abbiamo bisogno di queste persone, di dare loro stimoli, di educarle e di fare esperienze. Quando ero più giovane, avevo intenzione di studiare nel Regno Unito e di lasciare Catania, perché ho dei contatti lì. Ma quando ho iniziato a fare politica ho capito che per me era importante restare qui. Non credo nella libertà individuale. Certo, si può andare via e trovare un posto migliore per vivere, ma cosa significa la propria libertà quando non è condivisa con gli altri. Non voglio entrare in quel vuoto di pensiero individuale. Anche quando è stressante e faticoso fare tre manifestazioni alla settimana, anche al giorno, alla fine ti guardi e hai un senso. Non voglio abbandonare il luogo in cui avrei dovuto vivere. Inoltre, amo Catania, è una città bellissima che custodisce i miei ricordi più cari».

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Eleni D'Amico Estate 1989. Per le strade di Brooklyn riecheggiano gli slogan di centinaia di persone, un giovane con il cappello

Reagan-Bush Senior aveva scaricato la maggior parte dei programmi assistenziali facendoli passare per

da baseball al contrario inneggia al Black Power e alle sue icone, da Muhammad Alì al leader politico

non necessari, portando così al collasso realtà miserabili già vittime di povertà, violenza e

Malcom X. Spike Lee riprende la scena davanti ai suoi occhi, l'eccitazione è palpabile: non si è mai

tossicodipendenza (vista la facilità di arrivare allo spaccio e al consumo di crack). Una spaccatura decisiva e un

avuto un seguito così grande per il

chiaro messaggio della politica nei

momento più alto e iconico della musica moderna.

confronti delle minoranze usate sempre di più come capri espiatori, come accadde per il caso dei Five of

«La maggior parte dei miei eroi non

Central Park, dove vi fu una totale

compare nei francobolli/ il nostro diritto di parola è diritto di libertà o morte»: le barre di Fight the Power dei Public Enemy catturano perfettamente il clima respirato in quegli anni, la situazione politica del paese è catastrofica: l'accoppiata Reagan

copertura mediatica di un caso agghiacciante. In quel frangente si decise di accusare cinque ragazzini innocenti e messi in una gogna sociale e mediatica per tutta la vita, martiri di un sistema giudiziario e carcerario che sceglie la via più conveniente. Se nel 1964 Sam Cooke cantava memorie di una vita passata a correre per l’uguaglianza che sarebbe venuta in A Change Is Gonna Come e Billie Holiday raccontava con occhi pieni di orrore di "strani frutti appesi agli alberi, frutti per i corvi", il rap si differenzia per ironia, rabbia e una gra 52

graffiante irriverenza: “911 is a fake life saver”. Flavor Fav denuncia la mancanza di risposta nel numero riservato alle emergenze con un testo e un video musicale che narrano in modo ironico la realtà dei quartieri afroamericani. La musica e il modo in cui viene presentata è molto spesso voce narrante di una realtà che non viene ascoltata, vista e affrontata. Oltre alla povertà educativa, sociale ed economica delle minoranze ci sono storie come quelle raccontate da 2Pac in Brenda’s got a baby (ispirato ad un fatto di cronaca di quegli anni, quando una tredicenne, dopo aver partorito, avvolge il piccolo in un sacchetto di plastica e nascosto in un cassonetto). Si tratta dell’importanza di affrontare le realtà più scomode e irreali: non scegli il quartiere dove nasci, non scegli la prostituzione perché vuoi, ma perché devi. Così come non scegli spaccio, la tossicodipendenza e i furti: la rappresentazione delle difficoltà che la comunità nera affronta giornalmente è un problema generazionale e istituzionalizzato, che molto spesso si decide di ignorare e rinchiudere in un armadio. «Quattrocento anni fa come schiavi pregavamo e cantavamo gioiosamente per guarire le nostre menti in relazione a quello che ci stava accadendo, quattrocento anni da quel momento e abbiamo ancora bisogno della musica per riconciliarci»: così Kendrick Lamar, l’artista dell’inno simbolo del movimento "Black Lives Matter", presenta Alright, un manifesto di lotta e speranza gettato in un contesto catastrofico e vulnerabile che non sembra essere cambiato mai. Le strade di cui Lamar parla nel singolo sono le strade di Compton, ma sono anche quelle di Louisville, Minneapolis, Ferguson e Cincinnati. Non un’altra lotta senza fine, ma una vera e propria rivendicazione del nazionalismo nero, del black power.

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Rubrica

NOI SIAMO QUEER! Alisa Shilova Emanuele Liotta Daniele Russo

Oggi Arcigay è la più grande organizzazione noprofit LGBTQ+ italiana che opera a livello nazionale e locale attraverso più di 70 comitati locali in tutta Italia, di cui cinque in Sicilia. Infatti, nel lontano 1980 è partito qui, in Sicilia, a Palermo...

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Oggi Arcigay è la più grande organizzazione no profit LGBTQ+ italiana che opera a livello nazionale e locale attraverso più di 70 comitati locali in tutta Italia, di cui cinque in Sicilia. Infatti, nel lontano 1980 è iniziato qui in Sicilia, a Palermo. L'omicidio di due ragazzi

All'inizio Arcigay era focalizzata sulle persone lesbiche e gay, ora rappresenta l'intera comunità queer, quindi persone trans, non binarie e intersessuali. Oggi Arcigay, soprattutto a Catania, si distingue anche per i diritti dei migranti che appartengono alla comunità

omosessuali in una città vicino a Catania, che i media hanno

LGBTQ+.

descritto come un suicidio, ha mobilitato una forte risposta sociale

L'approccio alla rappresentazione culturale e mediatica della comunità

e ha spinto la società civile a unirsi e difendere i diritti della comunità queer. I comitati locali di Arcigay a

è in espansione. Comprendendo la natura intersezionale della discriminazione come fenomeno

Palermo, Catania e Bologna sono stati i primi ad essere fondati negli

sociale, Arcigay lavora in stretta collaborazione con altre associazioni

anni '90, mentre il movimento queer opera a Catania dal 1994 con Arci Catania e con diverse altre

locali dedicate, per esempio, alla lotta alla violenza contro le donne o alla promozione dei diritti dei

organizzazioni come Open Mind e Queers. Nello stesso anno si svolse il

migranti.

primo Pride in Sicilia. Abbiamo avuto modo di parlare con Emanuele Liotta (parte del comitato nazionale di Arcigay e membro del comitato locale di Arcigay Catania responsabile per l'area cultura, già Vicepresidente e Segretario di Arcigay Catania) e Daniele Russo (Vicepresidente di Arcigay Catania e responsabile del gruppo giovani della comunità) per saperne di più sul movimento LGBTQ+ in Italia e a Catania. Dal momento della sua fondazione, Arcigay è cambiata notevolmente, soprattutto negli ultimi 5-10 anni.

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conto di particolari esigenze e difficoltà della comunità LGBTQ+ locale.

Allo stesso tempo, rispetto ad altri paesi europei, il livello di protezione legale che l'Italia garantisce alle persone queer rimane ancora basso. «Non abbiamo nemmeno il diritto al matrimonio tra persone dello stesso sesso, non abbiamo una legge contro l'omofobia e la transfobia, una contro la terapia di conversione o una che riconosca i bambini intersessuali» – dice Emanuele. Mentre la situazione sta lentamente

Arcigay Catania è suddiviso in più gruppi per gestire in modo efficiente il lavoro sul campo. Il Gruppo Cultura, per esempio, è responsabile della promozione della cultura queer in letteratura, cinema ecc. Poi abbiamo il Gruppo Giovani, che lavora con i membri più giovani del movimento, il Gruppo Donne e Gruppo Trans, il Gruppo Salute il e Gruppo Eventi. Di particolare interesse è il Gruppo Famiglie che lavora con genitori e parenti di persone queer.

cambiando con grande sforzo di persone e avvocati che attraverso singoli casi ottengono decisioni giudiziarie positive dalla Costituzionale italiana, il

Corte nuovo

governo di Giorgia Meloni tende a promuovere nuove leggi antiLGBTQ+ e a normalizzare

Arcigay Catania ha anche un avvocato, che aiuta le persone queer a far valere i propri diritti nei singoli casi. Il comitato locale ha contatti di professionisti per un aiuto psicologico gratuito e una rete di locali in tutta Catania (librerie, pub, caffetterie) dove i membri organizzano frequentemente diverse attività.

l'incitamento all'odio delle istituzioni pubbliche contro la comunità queer. Nonostante ciò, all'interno della società italiana la discriminazione nei confronti delle persone LGBTQ+ non è così alta come cinque anni fa, ma è comunque presente e il livello dei crimini d'odio è ancora molto alto. Lo stereotipo comune è che la discriminazione sociale della comunità LGBTQ+ sia molto più diffusa nel Sud Italia rispetto al Nord, mentre in realtà la differenza è incentrata più tra città grandi e piccole o periferie. In un modo in cui Catania differisce da altre città italiane, Arcigay Catania si differenzia da altri comitati locali in quanto deve tenere

Al momento ci sono circa 100 volontari che lavorano per Arcigay Catania; Daniele condivide che negli ultimi anni molti giovani si sono uniti al movimento pur essendo ben consapevoli dell'attuale panorama politico e si definiscono interessati alla situazione legislativa sui diritti delle persone LGBTQ+ in Italia.

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Sia Emanuele che Daniele sono entrati a far parte di Arcigay nel 2019. Alla domanda "perché?", Emanuele risponde con una citazione: "Il personale è politico" (originato dalla seconda ondata di femminismo negli anni '60). Dopo l'aggressione omofoba che ha dovuto affrontare a soli 16 anni, Emanuele si è reso conto che nonostante avesse una famiglia e degli amici che lo sostenevano, molti giovani LGBTQ+ potrebbero non essere nelle stesse condizioni, quindi decide di agire. Aderisce prima a un movimento universitario chiamato “Queers” e poi diventa socio di Arcigay Catania. Nel 2018 ha partecipato al Pride, dicendo: “per la prima volta dopo quell'aggressione omofoba mi sono sentito a casa, ho sentito che non c'era niente di sbagliato in me o nel mio comportamento, il problema era solo il mio aggressore e non io. Mi sentivo parte della comunità e la comunità era lì per me”. Daniele ha trovato la sua strada nel movimento grazie al Pride del 2019, dove ha incontrato altri attivisti e subito “ha sentito il bisogno di fare qualcosa nella mia città, per aiutare altre persone della mia comunità”. Le storie personali di Emanuele e Daniele dimostrano ancora una volta l'importanza dei movimenti queer universitari e del Pride per i giovani LGBTQ+.

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Entrambi aiutano i giovani queer a trovare la loro strada nella comunità, in un ambiente aperto e sicuro, e ad accettare se stessi. Ispirano anche i giovani a difendere i propri diritti e quelli degli altri. Ci si potrebbe chiedere: ma cosa c'è di così speciale nel Pride? Ci sono diversi aspetti. Prima di tutto, il Pride è il momento che garantisce alla comunità queer più visibilità per riconoscere la lotta, è ancora una rivolta contro la discriminazione e l'oppressione esistenti. “Siamo qui, vogliamo le nostre vite, vogliamo essere felici, condividere il nostro amore, creare famiglie e ci manifestiamo per questo” – dice Emanuele. Avere un Pride nella propria città ti comunica: “sei sicuro di prendere le strade della città ed essere te stesso o chiunque tu voglia, per avere la comunità” – Daniele. Il Pride è anche una festa, da celebrare per la comunità con colori e musica, per dimostrare che “combattiamo con rabbia ma anche con gioia” – aggiunge Emanuele. È anche un momento per commemorare coloro che furono membri della comunità che non sono più con noi. Ultimo ma non meno importante, il Pride è anche una pratica politica, la concentrazione della lotta quotidiana per cambiare il sistema politico esistente. “Il Pride non è solo essere felici , ma anche orgogliosi di chi si è” – dice Emanuele. 58

Certo, Arcigay Catania ha anche volontari che non fanno parte della comunità LGBTQ+ per orientamento sessuale o identità di genere ma sono “alleati nella nostra lotta”, come li chiama Emanuele. Si tratta di persone con un alto livello di consapevolezza sull'argomento e spesso persone di altri gruppi sociali discriminati come femministe, migranti o parenti delle persone LGBTQ+, che mostrano il loro interesse e sostegno al momento. Inoltre, Daniele aggiunge: “Anche se non sei una persona queer, puoi comunque avere esperienze di queer-fobia se vuoi essere te stesso vestendoti in modo diverso o truccandoti, in quanto essere etero non è solo un orientamento sessuale ma uno strumento performativo e culturale” la società vuole che obbediamo. La comunità apprezza allo stesso modo sia l'inclusività che il rispetto reciproco e accoglie tutti coloro che condividono questi valori. “Arcigay Catania è per tutti coloro che hanno bisogno di uno spazio sicuro e vogliono rialzarsi e combattere con noi!” – riassumono i nostri intervistati.

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Immagini di Lucia Musumeci (Banshee)

Elena Failla

Voglio anche io un boccone della mela. Lasciami mordere il peccato. Hai un peso, di cui non ti puoi liberare. E ti opprime, ti appesantisce, ti tira in basso insieme a lui. E cadete insieme, sei sospeso tra il nulla ed il tutto. Una situazione insostenibile per una persona normale. Tu ci vivi, non sei speciale. Ti sei solo abituata negli anni, tutto qui. È un peso che non puoi abbandonare, viene veicolato dai tuoi globuli rossi, ormai ce l’hai intaccato dentro. Ti rimane attaccato per una corda, a volte, quando lo senti lontano. Capita che quella corda si alzi, e ti arrivi al collo. Allora, il carico diventa più pesante del solito. E quasi muori per asfissia. Non che tu non ci abbia provato a rompere quella corda. Sembra fatta di diamanti. L’unica cosa che può rompere un diamante è il diamante stesso. E sei circondato da così tanta merda che trovare un diamante lì in mezzo ti sembra, è, una follia. Cammini, in mezzo alla gente, con quel peso. Ti senti come un carcerato che deve portare la sua bella palla di piombo attaccata ai piedi. Non puoi neanche muoverti come vuoi. È ingombrante. Spesso mentre cammini e nemmeno ci fai caso qualcuno ci capitombola su. Non puoi aiutarlo a rialzarsi, quella è una palla spinata. Chi ci cade muore. Rimane attaccato. E il tuo fardello diventa sempre più pesante.

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E tu devi diventare sempre più forte. Se rimani fermo sei bersaglio facile. Anche per sbaglio, metti che qualcuno inciampa nel tuo carico. Ti finisce addosso. Diventa parte di lui. Non sono io ad essere psicologicamente instabile. Non sono io ad essere impazzita quando ho cominciato a vedere ombre che mi seguivano. Dovevo dire ciò che avevo visto, dovevo lasciare che fosse la legge ad occuparsi dell’omicidio. Ma quando mai avevo fatto qualcosa di giusto. Tutto quel sangue mi aveva nauseata, c’era un’aria insostenibile in quella stanza. Avevo provato a scostare le tende, volevo vedere i suoi occhi, sotto la luce del sole. Lo amavo, nonostante tutto. Non importava che avesse ucciso mio fratello, le mie sorelle, non l’aveva fatto apposta, me l’aveva detto. Ma quando vidi lei, stesa sul pavimento, in un lago di sangue, persi la testa. Era nuda, i suoi muscoli rilassati. La sua espressione era ancora piena di paura. Persino i suoi capelli biondi scombinati e zuppi di sangue, gridavano aiuto. E lui era lì, sul letto, con un’espressione soddisfatta. Avrei accettato anche l’ennesima giustificazione, l’avrei fatto. Rabbia convulsa, che scatta quando meno te l’aspetti.

Ma cosa ci faceva lei nella nostra casa? Il tradimento, no. quello non riuscivo a sopportarlo. Amore, avresti potuto dirmi che era venuta per sedurti. C’avrei creduto, nonostante tutto. Ma che tu l’avessi amata… non avrei potuto sopportare di farmi toccare da un traditore. 62

E allora presi un foglio di carta, e lo arrotolai attorno al manico di un coltello da cucina. Cominciai ad inferire su quel corpo già straziato dei colpi che arrivavano fino in fondo. E capii cosa provavi. Era come fare l’amore con la morte. Ma da lei non sentivo urla strazianti di piacere, così ti possedei in quel modo, per la prima ed ultima volta. Mi sporcai, ero piena del suo sangue, del suo nettare d’amore. Tolsi il foglio di carta e gli misi in mano il coltello, sarebbe sembrato un suicidio. Avrebbero detto che si era suicidato subito dopo aver ucciso l’amante, un amaro vortice della passione. Ma che dicessero che tu l’amavi, non potevo permetterlo. Presi un foglio ed una penna, mi misi accanto a te. Dalle tue ferite sgorgava sangue. Cominciai a scrivere. Dicevo, dicevi che ti eri accoltellato tredici volte, fino a quando non avevi sentito il tuo cuore smettere di battere. Lo avevi fatto perché non potevi perdonarti di aver fatto una cosa del genere. Mi avevi tradito, non volevi. Lei, era arrivata a casa tua. Ti aveva detto di essere sconvolta. Tu, amabile, comprensivo, le avevi offerto di bere qualcosa per farla sfogare. Con l’inganno lei ti aveva messo qualcosa, nel bicchiere, e ti aveva drogato.

Dopo di che ti aveva avuto, tutto per sé, perché ti aveva voluto dal primo istante che ti aveva visto. Dal primo istante che ti aveva visto con me. E finiva la lettera con un tuo ti amo, per me. Ti amo, amore mio. Lo so che non volevi, ti perdono. La mia fermezza, la mia mente, non ha vacillato, nemmeno per un attimo. Ancora sanguinavi, dal petto. Mi sono avvicinata e ho baciato la ferita, quella sul cuore. Spero che tu non abbia più avuto male.

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Mi sono alzata e sono passata nel nostro grande salone. Il nostro povero divano in pelle, bianco. Pieno di sangue, che disastro. Il pianoforte a coda, i tasti sporchi di quel suo sangue indegno. Tu lì poggiavi le dita, lei lì ha lasciato il suo sangue. Non potevo sopportarlo. Ho reciso il mio polso sinistro, aspettato fino a quando il sangue non mi arrivasse alle dita. E lì ho cominciato a sfiorare dolcemente quei tasti, i tasti che mi riportano a te, amore.

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poesia di Emanuele Liotta



71. Sono dovuto scappare amore mio

77.

sono dovuto andar via dalla nostra città:

Se proprio me lo chiedi in ogni momento della mia vita io vorrei

vederti anche solo per un minuto tra le braccia

non essere così, cambiare ed essere

di un altro è un urto che si trasforma

diverso.

in pianto;

non così intenso

che brutta bestia la gelosia ha zanne feroci che non ti fanno andar via.

o così sentimentale; di questo romanticismo esasperato io non reggo più nulla: vorrei solo non pensare e vivere senza sentire ogni cosa così forte al mio cuore.

65



115.

Amore, oggi ho visto il tramonto nel deserto e ho lasciato che il mio corpo galleggiasse nel Mar Morto; tra le dune c'è un silenzio che vorrei saperti regalare, tra le mura di Petra un incanto che somiglia a una preghiera; sulle soglie della notte ho sussurrato il tuo nome mi ha risposto tra la sabbia un migliaio di stelle.

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105.

Quando me ne andrò da questa terra lascerò

quando me ne andrò

stanze piene di libri e cieli trapuntati

lascerò dei bei ricordi e cuori pieni

di stelle;

di ciò che ho dato e di ciò che

lascerò i miei disordini e al mondo

ho creato lascerò legami e amabili resti quando me ne andrò da questa terra non me ne sarò mai davvero andato.

in dono le mie poesie;

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poesia di Adriana Sicilia

Nessuno tocchi i miei sbagli i punti in cui mi sono spezzata nessuno tocchi i miei pianti da cui sono rinata nessuno tocchi i miei sogni che mi hanno sposata nessuno tocchi la mia rabbia che mi ha consolata nessuno tocchi la vita che mi è capitata.

Ho dormito stanotte dentro al tuo maglione rosso la lotta di ieri continua domani la mia rabbia felice di prestarti la spada la tua rabbia esausta di prestarmi il maglione; ci vedremo in battaglia.

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La mia anima è di carta ripiegata su se stessa per entrare nella tasca del tuo cappotto si era illusa di star calda fra le tue mani ma tu non l'hai trovata.

Ho abitato mille stanze con te che non erano nostre ma io le ho chiamate “casa” perché così si chiama il posto in cui muoio e rinasco vicino a te; Ho abitato mille stanze con te che non erano nostre ma io le ho chiamate “casa” quasi per sbaglio immaginandomi sulla poltrona rossa immaginandoti sul divano blu; mille stanze ho abitato e sono state casa e sono state fuga perché ci sono giorni in cui non sopporto che chiamiamo “casa” posti diversi.

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Uno Due Tre Un uomo molto noto, il più potente di tutti. Quando entra in una stanza tutti si alzano. Quando parla tutti ascoltano. Quando chiede qualcosa tutti rispondono. Un giorno quest'uomo entra in un ristorante pieno di gente. Mentre l’uomo cammina tutti si alzano per porgergli rispetto. Non gli importa che si alzino perché ci è abituato, tuttavia gli importa di coloro che non lo facevano. Ecco perché sembrava tanto accigliato verso i tavoli di questi tre uomini. Gli unici che gli hanno mai negato il loro rispetto. Camminò lentamente verso di loro e chiese “Lo sapete chi sono?” “Lo sappiamo” dissero “Sappiamo chi sei”. “Perché siete ancora seduti allora?” chiese lui. “Perché anche se siamo seduti, siamo quelli che si sollevano contro di te” dissero. “Perché?” chiese. “È così che va la vita” affermarono. “ Perché inizi il nuovo il vecchio deve essere distrutto”. L’uomo sorrise con un viso spavaldo, poiché la vita lo ha sfidato con svariate minacce e ne è stato sempre percosso. Si alzarono tutti e gli puntarono le loro armi in faccia “E ora che farai?” chiesero. Senza esitazione l’uomo prese lentamente una sedia e si sedette. “Sarò felice” disse. “Ma chi sarà il vecchio quando il nuovo lo distruggerà?", “Chi sarà la prossima vittima del 'cambiamento’?” domandò. Non compresero e rimasero attoniti. Uno di loro si infuriò e pose la sua pistola proprio sulla fronte dell’uomo. ”Conterò fino a tre e sarà la fine della tua storia” disse. Contò: Uno. Due. Tre. Uccise l’uomo, uno sparo dritto in fronte. Si girò verso i suoi amici aspettandosi gioia. Invece trovò le armi puntate contro di lui. “Che state facendo?” chiese con voce rotta. “Perché inizi il nuovo il vecchio deve essere distrutto” dissero. Si girò verso il cadavere del vecchio, comprendendo ciò che intendeva mentre aspettava l’inevitabile. Uno. Due. Tre.

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Abbiamo fatto scrivere un articolo a Chat GPT (realizzato prima del 30 marzo 2023) Ecco come ChatGPT sta rivoluzionando il nostro modo di interagire con la tecnologia

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L'evoluzione della tecnologia ha portato alla creazione di nuovi strumenti in grado di rivoluzionare l'intero modo in cui interagiamo con il mondo digitale. Tra queste innovazioni spicca Chat GPT, un grande passo avanti nell'ambito dell'Intelligenza Artificiale. L'articolo che state leggendo (compreso titolo, sottotitolo e questa introduzione) è stato infatti scritto interamente da Chat GPT, un modello di linguaggio addestrato da OpenAI. Il suo scopo è quello di creare testo che risulti plausibile e coerente con una vasta gamma di argomenti, proprio come un essere umano. Inizialmente

sviluppato

nel

2018,

Chat

GPT

si

è

evoluto

costantemente nel tempo, grazie alla sua capacità di apprendere dalle esperienze e dalle interazioni con gli utenti. In particolare, questo modello è stato creato attraverso l'utilizzo di un vasto corpus di testo composto da circa 45 milioni di parole, suddiviso in diversi settori tematici. Grazie a questa grande quantità di informazioni, Chat GPT è in grado di comprendere la struttura e il contenuto di un testo, generando risposte coerenti e plausibili anche in contesti complessi. Tra le sue applicazioni più interessanti troviamo l'elaborazione del linguaggio naturale, la creazione di chatbot e assistenti virtuali, e l'analisi di grandi quantità di dati testuali. Tuttavia, l'evoluzione dell'Intelligenza Artificiale solleva anche molte questioni etiche e sociali, tra cui la responsabilità dell'utilizzo di questi strumenti e il possibile impatto sulla società e sul mondo del lavoro. Uno dei principali timori è legato alla creazione di intelligenze artificiali in grado di acquisire una sorta di coscienza e di autonomia, che potrebbe mettere in pericolo la sicurezza e la libertà umana.

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Nonostante questi interrogativi, Chat GPT rappresenta senza dubbio un importante passo avanti nell'ambito dell'Intelligenza Artificiale, offrendo infinite possibilità di sviluppo e di applicazione. Siamo solo all'inizio di un percorso che potrebbe portare a una vera e propria rivoluzione nel modo in cui interagiamo con il mondo digitale. In conclusione, Chat GPT è solo uno degli esempi più significativi del cambiamento in atto nella nostra società, che ci invita a riflettere sulle opportunità e sulle sfide che il futuro ci riserva. Non ci resta che seguire con attenzione l'evoluzione di questa tecnologia, pronti ad accogliere le sfide che essa ci riserverà.

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KENDRICK LAMAR N95

Uno degli album più importanti dello scorso anno Mr. Morale & the Big Steppers del rapper statunitense Kendrick Lamar, che già sin dal secondo pezzo saluta il nuovo mondo con un invito a buttare giù il nostro Wi-Fi, i nostri idoli e tutte le nostre certezze in pillole che ci fanno sentire al sicuro, ma che sono ugualmente emblema della cupa cancel culture.

SLEAFORD MODS Tory Kong

ARCA Xenomorphgirl

Chi ha detto che il punk è morto? Gli Sleaford Mods di rabbia ne hanno da vendere e il loro ultimo lavoro, UK Grim, lo conferma. Il bersaglio della polemica del duo di Nottingham è quello spirito della società britannica che anche il regista Ken Loach conosce molto bene. «She's never worked though, has she? She don't fucking need to»: i Conservatori diventano personaggi di una farsa scimmiesca.

Una copertina mastodontica, che ricorda il dipinto di Géricault La zattera della medusa, se non fosse che ai piedi ci siano robot sfiniti da una guerra post apocalittica. Arca, icona indiscussa del transfemminismo, con dissonanze elettroniche nel suo album Kick IV ci regala l'immagine aliena di una ragazza non solo straniera, ma anche mutante, di un altro pianeta.

kuTso Questa società

CARMEN CONSOLI Venere

I kuTso (che, sì, si pronuncia come l’attributo maschile), band romana irriverente attiva da diversi anni, incalzano con una ritmica grintosa, sovversivi come sempre, denudando la società e le sue incoerenze. Brano tratto dal loro primo album, Decadendo (su un materasso sporco).

TAME IMPALA Yes, I'm changing

Nel 2015 i Tame Impala pubblicavano l'ormai epico Currents, album cult del pop psichedelico. In pezzi come questo ci ricordano l'importanza del non opporsi ai cambiamenti interiori, che spesso ci vengono a trovare all'improvviso, come canta Kevin Parker. Così non bisogna essere triste, perché ci aspettano sempre nuovi futuri da esplorare.

Nel 1997 non è più tempo di ballate romantiche e di amori struggenti, lo sa bene Carmen Consoli che nella sua Venere si ribella a una love story da Baci Perugina vomitando cene romantiche, cestinando mazzi di fiori e trasformandosi in una Venere storpia, triste, annoiata e asciutta.

UZEDA Female

Non c'è più nulla di sovversivo di fare noisemath rock in una terra come la Sicilia, ma gli Uzeda l'hanno fatto, rimanendo uno dei nomi più rappresentativi di Catania e oltre. Il pezzo, viscerale come tutta la loro opera, è tratto da Different section wires: il ventesimo secolo sta finendo, le note imprevedibili degli Uzeda lo preannunciano. con senso di trepidazione

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La cittá di Zoe Redazione

Marco Salanitri

Christian Marino

Adriana Sicilia

Martina Lupo

Eleni D'Amico

Alisa Shilova

Roni Nazif Baran

ChatGPT

Benedetta Spampinato

Elena Failla

Matteo Iannitti

Emanuele Liotta

Marit Coudenys

Mariaelena Urso

Collaboratorə Lucia Musumeci (Banshee) Giovanni Caruso

Matteo Andrea Petrelli

Anna Chisari

Neguin Bank

Daniele Russo

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