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Storia della Panchina Rossa Rosso sangue o Rosso Vita_

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Storia della Panchina Rossa Rosso Sangue o Rosso Vita?

Collana Argentovivo 01

A Roberta e alle donne come lei che presenziano dall’alto. A chi sente il dolore per la disparità e l’assenza. A chi ogni giorno lotta per la giustizia. Agli avvocati, agli assistenti sociali, ai volontari, ai soccorritori ai politici, agli uomini, alle donne in divisa, ai medici, agli infermieri e agli psicologi. Alle nuove generazioni che siano gli autori consapevoli della NON VIOLENZA

Storia della Panchina Rossa Rosso sangue o rosso vita?

Ricordo che sonnecchiavo in un deposito, coperta da un telo trasparente. Tra la polvere, percepivo l’abbandono e il peso delle cianfrusaglie poggiate alla bene meglio sul mio sedile. Ero lì, perchè una sera passò un gruppo di giovani imbecilli che, nel pieno delle loro scorribande, decisero di prendersela con me. Cominciarono prima ad insultarmi e disprezzarmi: “Che ci fa qui questa stupida panchina… vecchia… brutta… inutile e sgangherata!”. Così dicendo, mi colpirono ripetutamente, con tanta forza e tanta violenza. Io ero lì. Ferma, impossibilitata a difendermi. Immobile, pietrificata. Non riuscivo a fare niente, era tutto più grande e più forte di me. Poi loro, finalmente esausti, se ne andarono via. Io restai lì. Quello che mi dissero non era vero, perché io non ero come mi descrivevano. Loro però, mi resero così!

Dal mattino seguente, mi guardarono diverse persone: lo studente che andava a scuola, l’impiegato che frettolosamente si dirigeva verso l’ufficio, l’anziano che solitamente cercava il suo posto dove riposare e che non scelse più me.

Mi sentivo sporca, ero sfregiata e malandata. Era evidente che chi passava, volutamente o no, mi ignorava. Io mi vergognavo.

La mattina seguente la notte sciagurata, il guardiano del parco si avvicinò a me. Ero affezionata al guardiano del parco e credo che la cosa fosse reciproca. Nel suo giro di controllo quotidiano, da galantuomo, spesso si complimentava con me. Si fermava, si sedeva e, qualche volta a voce alta, condivideva con me ritagli della sua vita. Pensavo anche che non sono molti gli uomini così e che è bello che ne esistano ancora! Mi vide e si fermò ad osservarmi. Comunicò rammaricato ai suoi superiori com’ero ridotta.

Sentii chiaramente, dall’altra parte del telefono, l’ordine di fare di me quello che credesse opportuno. Era evidente che nella mia nuova condizione, avrei rovinato il bell’aspetto del parco perchè sarei stata come un pugno in un occhio. Il guardiano, dopo averci riflettuto un po’ e richiesto il consenso, decise di portarmi con se. Sulla strada di casa, con il tono della voce rassicurante, mi disse: “Sei una bella panchina, sei stata sfortunata, ma una seconda possibilità c’è sempre per tutti”.

Il tempo passava lento e non saprei dire quanto ne fosse trascorso da quel giorno ad oggi. Nel deposito dove ero stata appoggiata, ora mi sentivo al sicuro, sebbene non potessi vivere al meglio delle mie potenzialità la vita. Mi mancava il profumo dell’erba fresca appena tagliata o bagnata dalla rugiada. Mi mancava il calore del sole, la sua luce splendente. Mi mancava allo stesso modo la luce soffusa della luna. Mi mancava anche l’ombra degli alberi secolari. Sognavo le grida allegre dei bambini. Sognavo anche gli innamorati adagiati sulla mia seduta e gli anziani in cerca di riposo. Sognavo gli uccellini cinguettanti posati su di me. Di tanto in tanto sentivo anche il desiderio della mia rinascita ma non avevo la forza nè la possibilità di concretizzarlo. Non volevo restare lì ignorata e inutile, ma da sola cosa avrei potuto fare? Restavo lì, tra quattro mura grigie e uno spiraglio di luce che filtrava da una tapparella socchiusa e malandata. Aumentava la polvere che copriva sempre più me, i miei ricordi e i miei sogni. Certo, ogni tanto entrava qualcuno a prendere e lasciare cianfrusaglie, qualcosa lo posavano sulla mia seduta e pensavo che, tutto sommato, non ero stata dimenticata.

Un giorno, uno dei tanti, uno come un altro, il silenzio del deposito venne rotto dalla voce di un gruppo di persone che sentivo avvicinarsi. Si udivano toni accesi, forti e pieni di vita. Pensai che voci così attraenti appartenessero a qualcuno con tanta voglia di muoversi. Pensai anche che voci così coinvolgenti non giungessero lì per riposare su una vecchia panchina sporca, scolorita e traballante. Pensai e smisi subito di sperare che fossero lì per me. Entrarono nella stanza e, barcamenandosi tra i tanti scatoloni buttati ovunque, qualcuno si avvicinò a me. Riconobbi il guardiano con il suo sorriso sincero e due mani enormi segnate dal tempo e dal lavoro. Riconobbi anche sua figlia, una ragazza solare dalla voce squillante e piena di entusiasmo, che già conobbi quando lui mi portò a casa. Con loro c’erano altre persone che ancora non conoscevo. Mi sentivo osservata, esaminata e fortemente a disagio. Pensavo che probabilmente non avrei superato quel test di selezione, quando all’improvviso la figlia del guardiano esclamò: “E’ perfetta! Certo dovremo lavorarci un pò, ma può andare, anzi andrà benissimo!” Parlavano di me? Io perfetta? Si, parlavano di me! In un battibaleno mi sono sentita alleggerita del peso che portavo, sollevata dal pavimento e portata fuori di là. Ero felice, poi subito un po’ spaventata perché pensai che, probabilmente,

potevo essere perfetta anche solo come legna da ardere! Dopo tutto quello che mi era successo, era più semplice per me credere che “A pensar male si fa peccato ma ci si coglie!" La voce della ragazza, però, aveva un non so che di rassicurante, che infondeva speranza e passione. Così mi rifiutai di credere che tutto quell’entusiasmo fosse stato profuso solo per avere la brace necessaria per cuocere qualche castagna! Tuttavia, quel barlume di possibilità mi fece pensare che, seppure fossi diventata solo brace, avrei reso felice qualcuno. La mia esistenza, così, avrebbe avuto ugualmente un senso, sarei stata considerata di nuovo utile. Subito dopo mi fu chiaro che mi sbagliavo sulla mia sorte e capii quanto un pensiero positivo potesse aiutarmi molto di più di uno negativo. Capii e scelsi di fidarmi. E feci bene. Altro che camino e castagne, mi ritrovai in una beauty farm per panchine.

Una delle donne presenti si prese cura di me: piallò delicatamente le bolle del mio dolore, stuccò sapientemente i solchi della violenza, carteggiò finemente la mia superfice fino a far riaffiorare la mia essenza. Non fu un percorso semplice e neppure indolore ma sentii che ero pronta a riappropriarmi del mio abito più bello, quello rosso! Si, un rosso brillante, visibile, totalizzante.

Quel rosso che non passa inosservato. Quel rosso che, se inteso come colore del sangue, potrebbe indurre alla riflessione tutti quelli che ricorrono alla violenza, quelli capaci di ucciderti. Se i ragazzi imbecilli di quella sera avessero riflettuto, forse la mia esistenza sarebbe stata diversa!

Comunque torniamo a noi. Stavo dicendo che dopo restyling iniziale mi sentivo meglio. Passò qualche giorno e cominciai, però, a percepire il ritorno dei fantasmi della violenza subita. Certi traumi sono difficili da superare: Le tracce esterne vanno via più velocemente, le ferite interne, quelle sferrate in profondità, perdurano. La formula migliore per la riuscita è composta dal tempo, dall’impegno, dall’aiuto e dalla voglia di ricominciare. Proprio quando i mostri del passato stavano tornando, vidi la porta aprirsi di nuovo. Entrarono il guardiano e le due ragazze, quella con la voce squillante e quella che si era presa cura di me. Entrambe erano vestite a festa, ciascuna indossava qualcosa che si intonava al mio rosso brillante. Cosa stava succedendo? Era giunto il mio momento, che non poteva essere un brutto momento, perché tutti intorno a me erano felici. Il guardiano mi prese in braccio e mi accompagnò in un posto pieno di verde. Era un giardino ben curato.

Ero talmente emozionata che non mi rendevo conto bene del tutto. Mi sistemò su un morbido prato erboso, al riparo di un albero rigoglioso. Quanto ero eccitata! Il mio cuore da panchina stava per scoppiare tra le assi! Pensai che anche una panchina come me potesse far battere tanti cuori ed essere deterrente perchè altri non smettano di battere. La ragazza con la voce squillante era raggiante, aveva un vestito scuro dal quale spiccavano tanti fiori rossi. Si diresse verso di me. Guardò sorridendo il nastro rosso che il guardiano aveva teso intorno a me. Era il simbolo della protezione e della cura avuta per me. La ragazza lo tagliò segnando un nuovo inizio e mi omaggiò di splendide margherite bianche. Da quel momento mi sentii libera ed anche simbolo di testimonianza. Tra gli applausi e l’incoraggiamento dei presenti ascoltai la voce, evidentemente emozionata, della ragazza: “Ognuno di noi ha la possibilità di dare il proprio contributo alla causa in cui più crede. Ognuno come e quando può. Non servono gesti eclatanti perchè bastano il cuore, la volontà e l’impegno di esserci per fare quanto è nelle proprie forze. La mia causa è la causa di voi tutti qui presenti, è la lotta contro la violenza verso le donne. Essere qui oggi vuol dire scendere in campo, giocare la partita più importante: proteggere la vita! E’essenziale custodirla. Può capitare di non riuscire a preservarla! Oggi siamo presenza e voce di chi la vita non ce l’ha più perché ne è stata privata. La violenza è una “bruttura” che lascia segni visibili e invisibili.

Ha forme e volti diversi. L’Araba Fenice rinascendo dalle sue ceneri ci insegna che c’è sempre un punto di appoggio per ricominciare. Insegna la Resilienza, quella capacità di fronteggiare le avversità in maniera positiva. Le risorse si trovano già dentro di noi, possiamo riportarle alla luce liberandole dalla polvere delle violenze subite. In mancanza, possiamo attingerne anche da chi ci è vicino e può supportarci. Siamo qui per dire a tutte le donne che si sentono sole e senza speranza che non lo sono. Noi ci siamo, con un gesto, con un pensiero, con la sensibilità di sentire e capire ma soprattutto con una mano tesa. La panchina e la nostra presenza qui servono per fare rumore, per rompere il muro dell’indifferenza e del silenzio. Siamo qui per te, cara donna ferita e umiliata, lasciata sola e osteggiata, siamo qui per te e con te. Siamo qui a dimostrare che insieme ce la possiamo fare”.

Riflessione

La panchina rossa è uno dei simboli del contrasto alla violenza di genere. Installarne una vuol dire aderire al progetto di sensibilizzazione contro ogni forma di violenza agita ai danni delle donne. L’idea della panchina rossa nasce in Italia nel 2016, da allora si diffonde in tutto il mondo. Oggi sono tantissime le panchine rosse installate. Ce ne è una anche all’ Asilo Senile Argentovivo. La nostra Panchina Rossa non è però una panchina come tutte le altre. A differenza delle altre, che sono il simbolo del posto occupato da una donna che non c'è più, poiché portata via dalla violenza, la Panchina Rossa dell’Asilo Senile Argentovivo, con la sua storia lancia un messaggio di speranza: è possibile rinascere dalle ceneri lasciate dalla violenza. La nostra panchina, infatti, pone l’attenzione sul percorso che porta alla rinascita, impersonando le donne che incappano nel fenomeno della violenza ma che, grazie alla loro volontà e un aiuto esperto, riescono a rialzarsi e tornare a splendere. La violenza è un fenomeno tanto diffuso, quanto nascosto. Le persone che la subiscono sperimentano un profondo senso di insicurezza, si sentono indifese, inadeguate e vivono nella costante paura di sbagliare o di essere responsabili di quanto accade. A seguito di violenza è frequente l’esordio di una sintomatologia psicopatologica che interferisce significativamente con la vita sociale, familiare e lavorativa della vittima, impedendole di attingere alle sue risorse per riprendersi. E’ fondamentale, per questo, smascherare il problema abbattendo il muro di omertà che si erge intorno ad esso e quello che la vittima stessa innalza per vergogna e paura. E’ necessario stare accanto alla vittima ed aiutarla a compiere i passi verso la libertà. Spesso le donne vittime di violenza negano la loro condizione. Non la riconoscono o non ne sono consapevoli. Tendono a giustificare l’uomo violento, specialmente se sono legate a lui. Frequentemente, inoltre, lo stigma sociale e il pregiudizio incentivano la violenza attribuendo etichette promotrici della vittimizzazione secondaria, la quale contribuisce a rallentare o

addirittura frenare la donna nell’iter di denuncia o nell’intraprendere un percorso psicoterapeutico di cura. La nostra Panchina Rossa, come succede alla maggior parte delle donne vittime di violenza, subisce la rottura del suo equilibrio. Subisce un sopruso. Attraversa la paura, il dolore, il senso di impotenza e l’indifferenza. Si sente sola e abbandonata. Si rassegna e lentamente si spegne. Finchè nella sua vita arriva qualcuno che riconosce il suo bisogno e la aiuta a riaccendere dentro sé il desiderio e la speranza. Il gruppo di persone che, nella storia si fanno prossime alla Panchina promuovendo la cultura della non violenza, potrebbero essere identificate nei tanti professionisti e volontari che ogni giorno si spendono per aiutare. La storia della Panchina Rossa, nella sua semplicità, vuole lanciare un messaggio positivo, comprensibile a tutti: in ogni storia è possibile cambiare la narrazione e scrivere un finale diverso. E’ possibile lasciare pagine bianche e poi scriverle insieme. E’ possibile ricominciare e ricevere aiuto se si è propensi a chiederlo. E’ possibile dare il proprio contributo, ciascuno come può, con i mezzi e gli strumenti che ha.

Dott.ssa Antonella Petrella Psicologa e Psicoterapeuta

“Quello che noi facciamo è solo una goccia nell’oceano, ma se non lo facessimo l’oceano avrebbe una goccia in meno” (Madre Teresa di Calcutta)

La panchina, realizzata e inaugurata nell’Asilo Senile Argentovivo, rappresenta la testimonianza degli Anziani accolti nella struttura per le nuove generazioni, affinchè possano essere “Realizzatori Consapevoli della NON VIOLENZA”

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