Storie Vicentine n.11/22 Flipbook PDF

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STORIEMEMORIERICERCHE EVENTIANNIVERSARITRADIZIONI VIVIEDIZIONI € 5.00 © Foto di Loris Guerrato Storie Buon Vicentine Natale


SOMMARIO STORIA . ARTE . CULTURA RIVISTA CULTURALE DI STORIE MEMORIE RICERCHE E IMMAGINI DI IERI E DI OGGI 3 Storie Vicentine NOVEMBRE/DICEMBRE N.11 Associazione editrice VIVI EDIZIONI Corso Palladio, 179 0444.1582423 Abbonamenti: [email protected] www.viviedizioni.org Pubblicazione © VIVI EDIZIONI STORIE VICENTINE MAGAZINE n 11/2022 A cura dell’Associazione editrice VIVI EDIZIONI Dicembre 2022 In copertina foto di Loris Guerrato La rivista viene distribuita gratuitamente ai soci. Abbonamento 5 numeri € 20 compreso spese di spedizione [email protected] In vendita nelle edicole del al prezzo di 5€ Collana editoriale Storie vicentine Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica riservati VIVI EDIZIONI. Manoscritti, foto, disegni inviati alla redazione non vengono restituiti. Il © delle immagini qui proposte per gentile concessione è di proprietà degli autori. Le collaborazioni editoriali non sono retribuite STORIEMEMORIERICERCHE EVENTIANNIVERSARITRADIZIONI VIVIEDIZIONI € 5.00 © Foto di Loris Guerrato Storie Buon Vicentine Natale CON IL PATROCINIO DEL COMUNE DI VICENZA 20 Ottobre 2022 Articoli di: Giorgio Ceraso, Gianni Poggi, Luciano Cestonaro, Giorgio Rigotto, Luciano Parolin, Museo Zannatoi, Loris Liotto, Maria Elena Dalla Gassa, Roberto Pellizzaro. Amici dei Monumenti, Vi-Cult magazine SANTA BERTILLA BOSCARDIN centenario della morte Anna Francesca Boscardin nasce a Brendola nel 1888 da una famiglia di contadini. Da bambina frequenta saltuariamente la scuola poiché doveva aiutare in casa e nei campi. Nel 1904 è accettata dalle Suore Maestre di Santa Dorotea a Vicenza assumendo il nome di “Maria Bertilla”. Viene man >[email protected]


STORIEMEMORIERICERCHE STORIEVICENTINE 8 VICENZA MEDIOEVALE I reudri del Lazzareto (ex canile) Vergine sotto un baldacchino con Gesù sulle ginocchia, i monaci Marco Vitriani e Barnaba, l’annunciazione della Vergine; affreschi forse attribuibili al pittore Taddeo d’Ascoli, figlio di Villano. Nel 1484 l’antica abbazia benedettina fu incorporata nel monastero di san Bartolomeo di Vicenza, retto dai canonici regolari di Santa Maria di Frigionaia presso Lucca - che seguivano la regola agostiniana. Essi si impegnarono a ristrutturare gli edifici e a mantenere il sacerdote secolare che vi risiedeva[14]. Nello stesso tempo concessero in affitto a Marco Vitriani e ai suoi familiari certe terre dell’abbazia, riconoscendo che, mentre prima erano paludose, boschive e incolte, con molto lavoro e spese essi le avevano coltivate e migliorate. Un documento del 22 febbraio 1502 riporta la licenza, accor >[email protected] | www.outletcalzaturevicenza.it


STORIEMEMORIERICERCHE STORIEVICENTINE 10 Il prof. Lino Zio Lino Zio ( 24 gennaio 1922-22 maggio 2011) è stato insegnante di lettere nelle scuole medie e superiori e contemporaneamente è stato per trent’anni amministratore della città: dal 1951, come consigliere con sindaco Zampieri, poi come assessore (anche ai Lavori pubblici) e vicesindaco nelle Amministrazioni Dal Sasso, Sala (la stagione più felice, dal 1962 al 1975) e Chiesa (fino al 1980). di Roberto Pellizzaro ANNIVERSARI I l suo percorso politico è integerrimo e specchiato, mai macchiato neanche dalla più piccola ombra: perfetto galantuomo al servizio delle istituzioni, autentico democratico. Nel triennio 1959/62 sono stato suo alunno alla scuola media Scamozzi. Il mio rapporto con lui è durato esattamente 52 anni: dal primo ottobre 1959 a giovedì 19 maggio 2011, a tre giorni dalla sua scomparsa, ultima volta che lo andai a trovare. A Lino Zio devo la conoscenza, meglio, l’iniziazione, al latino, visto che la materia è diventata base della mia professione; dell’Iliade e dell’Odissea di cui si capiva quanto fosse appassionato e che ci ha fatto conoscere ed apprezzare: poemi eterni che, se ora non sono caduti nel dimenticatoio, poco ci manca. La grammatica mica l’ho imparata alle elementari (Sergio Pastorello, mio grandissimo maestro per cinque anni, glissava...) né al liceo, tanto meno all’università: se la conosco, è perché il prof me l’ha insegnata. Lino Zio è stato un insegnante colto ed illuminato Aveva la mania dei 5/6, 6 meno meno, della media matematica dei voti. Non era un rivoluzionario: così andava in quella scuola e in quel tempo. Era però la chiarezza in persona: le sue spiegazioni erano esaurienti e meticolose. — Professore, che voto ho preso? — I voti non si prendono, si meritano. — Ho fatto la versione. — Ho tradotto la versione. — Faccio i compiti. — Eseguo i compiti. — Facciamo la Scamozzi. — Frequentiamo la Scamozzi. — Ma bensì. — Inutile ripetizione. — Allora, adesso (insopportabile ancor oggi). — No, o allora o adesso. — La cartellina apposita per gli appunti. — La cartellina per gli appunti, apposita è in più. — Volevo dire. — Voglio, vorrei dire ...volevo era ieri Sterili pedanterie di un antiquato professore? Macchè! Certo, l’uso del linguaggio fa regola; esistono le metafore e i modi di dire, ma allora, che eravamo davvero pulcini ignoranti, con la dovizia dei sinonimi, la precisione del lessico, lui arricchiva il nostro modesto bagaglio espressivo e ci faceva crescere. La sua esemplare grafia, davvero il caso di chiamarla calli-grafia, era lo specchio della sua anima: chiarezza Lino Zio premiato dal sindaco Sala 1960: Lino Zio stringe la mano al Presidente della Repubblica Antonio Segni


EVENTIANNIVERSARITRADIZIONI STORIEVICENTINE 11 LINO ZIO espressiva, pulizia interiore. Zio, con il suo carisma, emanava autorevolezza, sprizzava rigore morale, spronava al senso del dovere e di responsabilità, formava coscienza civica: era l’onestà in persona; e nel contempo di una semplicità e sobrietà disarmanti. E noi tutto ciò lo respiravamo. Per questo Lino è diventato il prof. per eccellenza, educatore e insegnante indimenticabile, punto di riferimento di vita. Quando andai in Comune a comunicargli le mie intenzioni sulla scelta universitaria e per un consiglio, mi diede del matto, ma si vedeva che era compiaciuto. Per andare sul pratico ecco due episodi accaduti in prima media. Allora la domenica era scandita da tre imperativi categorici: messadottrina-stadio. Ma se sui primi due riti non c’è nulla da dire, sul terzo un problema esisteva. Mio padre, che era un baskettaro da cima a fondo, mai avrebbe potuto sovvenzionare il figlio appassionato, anzi perso, dietro a uno sport plebeo come il calcio. Così il figlio si doveva ingegnare. Avevo trovato modo di fare il cameriere durante le partite: le vedevo gratis, ci guadagnavo qualcosa; non male. Con una cassetta a tracolla piena di bibite e caramelle ero stato destinato alla gradinata. Una domenica mi spedirono però in tribuna. Durante l’intervallo mi imbattei nel prof, pure lui patito del Lanerossi (ne fu anche vicepresidente). Diventai di pietra, rosso rosso: mi vergognavo da morire. Lino se ne accorse immediatamente, capì tutto, mi fece cenno di avanzare e mi disse: “Guarda che mio padre faceva il ferroviere”. Nell’estate il garzone del panificio vicino a casa mia in Porton del Luzzo andò in ferie ed io lo sostituii. Tutti, chissà perché, si facevano portare il pane, che non pesava niente, a domicilio. In bici, con una gerla colma di pane più alta di me sopra il portapacchi davanti, nei pressi del crocevia di S. Chiara all’altezza dell’edicola su chi vado a sbattere, ancora una volta fortemente imbarazzato? Proprio sul professor Zio in bici che quasi lo faccio cadere e: “Bravo! Anch’io alla tua età mi davo da fare per tirar su qualche soldarello!” Dimostrazione di modestia e di signorilità da parte sua, di soggezione da parte mia. Sì, il prof mi metteva soggezione e c’è voluto tempo per superarla. Una volta in un tema scrissi che lui era una figura paterna, me la sottolineò in rosso: lo ribadisco ora. Col tempo ho superato il problema scoprendo la sua affabilità, la sua fine ironia e il suo lato spiritoso. Tra di noi nacque la massima confidenza. Al liceo gli telefonai per gli auguri di Natale. “Prof, come regalo non potrebbe far mettere il riscaldamento in Basilica?” Io ci giocavo a pallacanestro in Basilica Palladiana, e in inverno era un supplizio: si batteva i denti anche correndo! Rise: la cosa logicamente era impossibile, ma lui, che in quel momento era sia vicesindaco che presidente della Pallacanestro Araceli, mi preannunciò: “Vi facciamo il Palasport”. Nel 1972 la promessa fu mantenuta. Per i casi strani della vita, proprio in quello che sarebbe stato il suo ultimo anno di vita, lo frequentai con assiduità. Stavo scrivendo un libro sulla Resistenza e sui Piccoli Maestri quando scoprii durante le mie ricerche la figura del partigiano Lino Zio con Mariano Rumor e il presidente del Vicenza Calcio Dario Maraschin Il Vicesindaco Lino Zio con il Prof. Bressan e l’arch. Sergio Carta “Per noi studenti Lino è diventato il prof. per eccellenza, educatore e insegnante indimenticabile, punto di riferimento di vita...”


STORIEMEMORIERICERCHE ANNIVERSARI STORIEVICENTINE 12 Lino Zio, veste che mi era totalmente sconosciuta. Scriveva su un giornaletto clandestino del 1944: “La nostra voce (si esce quando si può)” assieme a “S.Tomaso” Riccardo Vicari, “Flagellum” Lorenzo Romanato, Igino Fanton, Guido Revoloni, Carlo Beltrame. Ne avevo trovato gli originali e gli portai le fotocopie. Al vederle si illuminò di ammirazione e orgoglio. “Vedi? Ecco la mia firma: L. Facevo il partigiano scrivendo: che pretendere di meglio?” Studente al Patronato e poi in Seminario, passò al Pigafetta per il triennio dove nel 1941 si diplomò. Ebbe come insegnanti Renato Treu, Gino Giaretta, Dal Pozzo, Roberto Poli, Andrea Volpato e soprattutto i docenti in filosofia Mario Dal Pra e Giuseppe Faggin che gli instillarono i germi dell’antifascismo. Contribuì in questo senso anche don Antonio Frigo, insegnante di Scienze e Chimica al Seminario, autore di “Ricordi”, 1991, libro nel quale il sacerdote confessa tutta la sua avversione al fascismo, attestata dall’arresto nel carcere di S. Michele e dalle conseguenti torture a cui lì fu sottoposto. Militare in aeronautica, Lino l’8 settembre del 1943 si dette alla latitanza, facendo gruppo con i compagni sopracitati. “Discutevamo di libertà, di democrazia, di repubblica, della nuova scuola, di programmi, di costituzione: temi non scontati dopo 20 anni di dittatura”. Si laureò nell’autunno del 1945 e cominciò la sua feconda carriera con una supplenza proprio al Pigafetta. Poi alla scuola delle Dami Inglesi, Rossi, Scamozzi, Muttoni e Quadri. Esiste a suo ricordo una rubrica speciale, di cui sono in possesso per dono della famiglia. In questa rubrica il prof ci faceva trascrivere i temi nostri che lui riteneva migliori: una perla deliziosa che conservo come una reliquia sopra la scrivania nello studio. Presso sua figlia Cristiana c’è un quaderno che riporta i nomi di tutte le sue scolaresche: così si esprimeva la sua passione maniacale per la scuola e per i suoi ragazzi. Caro prof, i nostri vincoli sono di quelli che non si spezzano. Honeste vivere, neminem laedere, unicuique suum tribuere: vivere onestamente, non far danno a nessuno, dare a ciascuno quello che merita. Con questa frase, estrapolata da una intervista del prof alla Nuova Vicenza del 15 gennaio 1989, Lino Zio riassume la sua vita. Il prof l’attribuisce a Seneca, erroneamente (suvvia, errare humanum est, anche i grandi possono sbagliare); l’affermazione, conosciuta anche perché è stampata sopra l’entrata del Palazzo di Giustizia di Milano, è di Domizio Ulpiano, retore romano di un secolo successivo a Seneca: non fa niente chi l’abbia scritto perché è la sostanza che conta. Leggendo Plutarco, l’autore delle celeberrime Vite parallele, si incontra un’opera cosiddetta minore: “L’arte di ascoltare”. Verso la fine si trova scritto: la mente non ha bisogno, come un vaso, di essere riempita, ma piuttosto, come legna, di una scintilla che l’accenda e vi infonda l’impulso della ricerca e un amore ardente per la verità. Il grande Montaigne, 1500 anni dopo negli “Essais”, riprendendo lo scrittore greco, sintetizza: insegnare non significa riempire un vaso, ma accendere un fuoco. Lino Zio certamente di fuochi ne ha accesi molti. Su uno degli ultimi biglietti natalizi il prof mi scrisse: «Sto bene, anche se senectus ipsa morbus est - Tempus ruit!». Se sul ruit - scorrere - del tempus non c’è nulla da fare, per una volta non sono d’accordo con lui: sul fatto che la vecchiaia sia di per se stessa una malattia, affermo che vorrei tanto invecchiare come te, Lino, dispensatore di saggezza fino all’ultimo. Roberto Pellizzaro 25 aprile 1959: Lino Zio con il sindaco Antonio Dal Sasso Commemorazione del 25Aprile in Piazza dei Signori 25 aprile 1975: Lino Zio con Giorgio Sala e a sx Sandro Pertini, allora presidente della Camera Commemorazione del partigiano ventennne Dino Carta in stradella dei Munari


39 348 3231978 13 La Società ATHENA, Conservazione e Restauro di Opere d’Arte, nasce nel 2004. Si occupa di restauro conservativo di opere quali: intonaci storici, dipinti murali, legno policromo, affreschi, materiali lapidei , stucchi, dorature e decorazioni pittoriche. Attraverso la collaborazione e il supporto di vari professionisti (chimici, geologi, architetti, edili, pittori, decoratori, ecc…) Athena offre un pacchetto completo di prestazioni, dal rifacimento al consolidamento e risanamento delle opere murarie. La Società impegnata a garantire un alto livello qualitativo si avvale, se richiesto, del supporto scientifico di analisi atte a migliorare l’intervento operativo, ed opera con l’approvazione della competente Soprintendenza sia dei Beni Architettonici che Artistici. Fornisce piani d’intervento dettagliati corredati da diagnostica, relazioni finali con relative documentazioni fotografiche da produrre alle competenti Soprintendenze, con le quali può gestire anche un rapporto di relazione diretta per la Committenza. Attualmente nella Società lavorano due Direttori Tecnici, specializzati in Beni Architettonici inseriti nell’elenco nazionale dei restauratori e tecnici professionisti. Athena s.r.l. fornisce servizi, a seconda delle esigenze della committenza, garantendo tempi e prestazioni. In possesso di attestazione SOA OS2-A class. II . (Zironda Elena) ECCELLENZE VICENTINE


STORIEMEMORIERICERCHE STORIEVICENTINE 14 Franco Barbieri Cento anni fa, il 20 Ottobre, nasceva lo studioso che più ha amato Vicenza e che se n’è andato nel 2016 Un ricordo di Mario Bagnara ANNIVERSARI «Barbieri, cosa pensi di cavarci dalla tesi su questo Scamozzi?» Così a Padova gli rispose il prof. Fiocco quando Franco volle laurearsi sull’architetto di cui divenne massimo esperto. I l ricordo di Franco Barbieri e dei suoi appassionati insegnamenti è più vivo che mai. L’ho apprezzato da insegnante insieme con i compagni di classe, negli ultimi due anni al liceo classico. Pigafetta (1957 -’59) In seguito in lui ho sempre trovato un amico affettuoso e generoso che non nascondeva la soddisfazione di aver ritrovato un ex allievo liceale da aiutare nel difficile ruolo di amministratore. Con lui, infatti, docente universitario alle soglie della pensione, mi sono ritrovato nei primi anni ‘90 da assessore alla Cultura nella giunta Variati (1991-1995), a gestire anche i Musei Civici, nel vuoto creato dalle dimissioni di Fernando Rigon. Fu la consulenza artistica del prof. Barbieri a consentire una corretta gestione del patrimonio artistico museale: suo fu il completamento della ricognizione delle opere del problematico lascito Neri Pozza - Lea Quaretti, interrotta con il venire meno della Fondazione Ragghianti di Lucca. Determinante la sua qualificata collaborazione alle molteplici attività dell’assessorato e dei Musei, soprattutto per le attività didattiche e la programmazione di mostre in Basilica, a S. Giacomo e in altri spazi comunali. Collaborammo nel mio secondo mandato da assessore alla Cultura (fine 1998 - 2003), impegnato a livello nazionale come fondatore dell’Associazione dei siti Unesco italiani. Mi trovai poi a coordinare, con l’editore Angelo Colla, anche la ripresa della collaborazione di Barbieri con Renato Cevese, come nella prima edizione del 1953 (Guida di Vicenza, coautore anche il prof. Licisco Magagnato), per una nuova Guida di Vicenza, pubblicata nel 2004 con il titolo Vicenza Ritratto di una città. Da presidente degli Amici dei monumenti, dei musei e del paesaggio, Barbieri è sempre stato un collaboratore privilegiato, entusiasmante accompagnatore di varie visite culturali, relatore apprezzatissimo, fin dall’inizio anche degli annuali Corsi di Formazione, promossi dal suo allievo prof. Luca Trevisan. A quest’ultimo si deve il merito di aver proseguito le ricerche, già avviate da Barbieri su Vincenzo Scamozzi, giungendo all’attribuzione proprio a Scamozzi del Portale d’ingresso al giardino del Teatro Olimpico, restaurato dagli Amici dei monumenti nel 2019. Barbieri fu presente spesso anche alle manifestazioni della Biblioteca Internazionale “La Vigna” durante la mia presidenza (dal 2006 al 2018), soprattutto quando si trattava di particolari colture, come quella dell’ulivicoltura di cui è protagonista la figlia Francesca. Abbiamo così potuto scoprire che era appassionato ed esperto orticoltore e sempre entusiasta dei momenti conviviali. Barbieri ha lasciato una ricchissima Biblioteca privata e un interessante archivio documentario e fotografico: con gli Amici dei Monumenti rivolgo al Comune e alle istituzioni culturali cittadine un invito alla collaborazione per l’organizzazione di un convegno con pubblicazione degli atti. Mario Bagnara


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STORIEMEMORIERICERCHE STORIEVICENTINE 16 MEMORIE LETTERARIE I Magnasoète I racconti di Virgilio Scapin della zona di Breganze Singolare e divertente, è una delle prove migliori di Virgilio Scapin questo libro che raccoglie sei racconti pubblicati da Bertani nel 1976 con il titolo “I Magnasoéte” e sottotitolo “I mangiatori di civette - racconti della zona di Breganze” di Luciano Cestonaro All’epoca Virgilio Scapin (Vicenza, 1932-2006) aveva già al suo attivo due prove significative: Il chierico provvisorio, edito nel 1962 e Supermarket provinciale, del 1969, entrambi pubblicati da Longanesi. La Bertani è stata una casa editrice attenta alle tematiche di politica economica e di sociologia e presentò l’opera in una collana particolare, che voleva proporre una letteratura di testimonianza “dimenticata, mai tradotta, una letteratura nascosta o che non si vuole pubblicare, ideologicamente censurata, testi che sarebbe stato difficile rivedere in circolazione” (racconti, memorie, testimonianze, ballate, poesie e interviste”: dalle “Memorie di Garibaldi” alla “Guerriglia Tupamara” a “Testimonianze su Pietro Valpreda”, per citare alcuni titoli). Ma come mai il lavoro letterario di Scapin si inseriva in questo contesto, in questa particolare nicchia letteraria? La sua è una rappresentazione della realtà quanto mai veritiera e genuina, non ha nulla di irriguardoso, né di sovversivo. Racconta le vicende di Firmino, un contadino piccolo proprietario, tratteggiate “in successive monografie o variazioni sul tema”, come sottolinea nell’introduzione Fernando Bandini. Lo fa “con profonda cordialità e simpatia” e alla maniera di un “antico mariazo pavano” ovvero quel tipo di farsa popolare in dialetto, in uso nel repertorio dei saltimbanchi del XV e XVI secolo, che aveva per argomento amori, matrimoni e scene di vita coniugale d’ambiente villereccio. Firmino è un personaggio chiave nella memoria storica di Scapin, un contadino che affonda le sue radici tenacissime nella cultura della terra, nei riti di un paese agricolo, in un’epoca dominata dalla povertà e anche dalla fame. E’ una letteratura di testimonianza di un’epoca e di un’area geografica precisa, la vecchia Breganze con le sue colline coltivate a vigneti e frutteti, raccontata in forma diretta, quasi autobiografica. Non è una nostalgica rievocazione della civiltà contadina. Il primo racconto, “La fiora”, descrive il fidanzamento, il matrimonio e le prodezze amorose di Firmino, giovane contadino purosangue e alpino, detto “testa de panocia” perché biondo di capelli, con la sua Pina. “La prete” racconta di una vitellina nata da un incrocio sperimentale ma promettente, con il pelame scuro come la tonaca del prete e perciò è chiamata “la prete”. Il “Vedàto” - ovvero la botticella per il vino di casa - narra storie di viti, vendemmie e di un arciprete (realmente esistito, mons. Scotton, che costruì un prototipo di cannoncino antigrandine presentato al popolo durante la visita del patriarca di Venezia). E ancora “Storiette di caccia” (attività praticata anche nei periodi in cui era proibita, per


EVENTIANNIVERSARITRADIZIONI VIRGILIO SCAPIN STORIEVICENTINE 17 necessità di sopravvivenza e con tutti i mezzi, compresa la fionda e il vischio) e storiette di “naia”, la leva militare obbligatoria, che era un vero rito di iniziazione alla maturità per la “maschia gioventù” (per citare un altro libro di Scapin edito nel 1998). All’epoca dei racconti è in atto il cambiamento epocale per i proprietari dei piccoli poderi agricoli: la mezzadria sta scomparendo e nascono le cantine sociali. È una razza in via di estinzione, negli anni in cui il benessere economico sta modificando i riti sociali e soppiantando le antiche tradizioni contadine e paesane. Singolare è il linguaggio, intercalato con termini dialettali propri della zona di Breganze, il dialetto che si inserisce come lingua e risponde a una “immediata esigenza di fisicità”. Scapin è uno scrittore ruspante, così lo definisce Bandini, che racconta del contadino veneto il cui dato portante è “la coprolalia e il tratto osceno, un mondo che vede nel sesso un momento di sotterfugio e di riso, proprio perché educato in un clima religioso repressivo”. È una civiltà agricola dalla vita grama e difficile, elementare e povera, come anche la rievoca Ermanno Olmi nel film “L’albero degli zoccoli”, fatta per vivere con la terra e per la terra, un’umanità sana e genuina, vista dall’autore con uno spirito goliardico, alla maniera di Ruzzante, non priva di sollazzi e ilarità. Il libro è stato successivamente ripubblicato nel 1996 da Neri Pozza con il titolo infelicemente italianizzato ne “I mangiatori di civette”. Per questi uomini Scapin ha coniato il nomignolo “magnasoéte” come una categoria sociale con i suoi riti speciali (e in effetti l’andar per nidi di civette, fin da ragazzini, era uno degli aspetti della caccia di frodo, non per divertimento ma per fame: in quell’epoca “la caccia era il raccolto più lungo dell’anno”). Lo ha fatto perché ha voluto traslare in un termine lo spirito vivo contenuto nella parlata locale, come coniando un nome proprio per quei tipi irregolari ma di sani valori, e lo fa scherzosamente, così come nel basso vicentino si chiamano in tono canzonatorio “pinciaoche” i tipi strani e burloni protagonisti dei più folcloristici e genuini racconti dell’ambiente di campagna. “I Magnasoéte” resta nella produzione di Virgilio Scapin il testo in cui ha testimoniato in maniera più profonda l’anima della sua terra. Luciano Cestonaro L ibraio, scrittore, attore, ha vissuto molte vite. Quest’anno si celebrano i novanta anni della sua nascita, visto che era nato nel 1932, esattamente l’11 luglio. Indimenticabile la sua partecipazione a Signore e signori di Pietro Germi e al Commissario Pepe di Ettore Scola. Fu anche priore della Venerabile confraternita del bacalà sin dalla sua fondazione nel 1987. La ricorrenza è un’occasione per ricordarlo a Vicenza, visto che è stato un personaggio e anche un simbolo della città per decenni. Nella sua libreria ha ospitato fior di scrittori, anche Leonard Cohen, portato a Vicenza dall’associazione Italo-Britannica delle professoresse Carla Pezzini Plevano e Francesca Valente. Storica la sua amicizia con Firmino Miotti, vignaiolo di Breganze. Fu proprio Firmino che lo convinse a concludere I magnasoète perché Virgilio s’era bloccato. Aveva scritto alcuni racconti, che erano usciti come regalo di Natale di Ugo Dal Lago, stampati dall’avvocato per regalarli agli amici, ma non riusciva ad andare avanti. Dai manoscritti conservati in Bertoliana, ho scoperto che lui mandava gli originali dei capitoli a Neri Pozza, che li correggeva e talvolta lo redarguiva aspramente. E fu Neri Pozza che inventò i magnasoète. In realtà, nell’originale Scapin aveva scritto passeri, cioè sèleghe, ma Neri Pozza cancellò il termine e lo sostituì con civette. Antonio di Lorenzo Novant’anni dalla nascita di Virgilio Scapin intellettuale dalle mille vite


STORIEMEMORIERICERCHE STORIEVICENTINE 18 ILLUSTRI ‘800 Fedele Lampertico Un grande vicentino da rivalutare Il 27 ottobre 2022 è stato inaugurato il restauro del monumento, eseguito da Engim Veneto Professioni del Restauro di Vicenza, dedicato a Fedele Lampertico. In tale occasione è stato pure presentato il volume di Giorgio Ceraso, “Fedele Lampertico 1833-1906 Un grande vicentino da rivalutare.” Le due iniziative sono frutto della generosità e sinergia tra Amici dei monumenti di Vicenza, presieduta dal prof. Mario Bagnara, e Lions Club Vicenza Host, presieduta dall’ing. Sergio Slaviero. Ritratto fotografico di Fedele Lampertico del Premiato Stabilimento Fratelli Farina, 1900 ca.. 27 Ottobre: Inaugurazione del restauro del Monumento dedicato a Fedele Lampertico. Il Sindaco Francesco Rucco premia il prof. Mario Bagnara affiancato dall ’autore del libro Giorgio Ceraso. A sinistra l’Ing Slaviero, l’assessore della Regione Veneto Elena Donazzan e l’assessore Matteo Celebron. Il monumento, realizzato da Carlo Spiazzi nel 1924, fu inaugurato da Mussolini il 23 settembre di quell’anno in occasione della sua visita alla città. Il restauro è stato affidato a Engim Veneto Professioni del Restauro di Vicenza.


EVENTIANNIVERSARITRADIZIONI STORIEVICENTINE 17 Per gentile concessione dell’autore, riportiamo un profilo di Fedele Lampertico, pubblicato nella rivista on line Noi Amici dei musei di Vicenza, numero 0, maggio 2022. Il libro è disponibile presso la sede degli Amici dei monumenti, Via Arzignano, 1/7, aperta il lunedì e il giovedì dalle ore 9.30 alle 11.30, tel. 0444 701466. S trano davvero il destino di Fedele Lampertico. Nato a Vicenza nel 1833, profuse il suo impegno nelle più importanti istituzioni culturali, economiche e sociali del tempo e, quale uomo politico, ricoprì, fin da giovanissimo e per moltissimi anni, le cariche di consigliere comunale e di consigliere e presidente della provincia di Vicenza, nonché di deputato e senatore del Regno dal 1873 al 1906, anno della morte. Divenne presto un «personaggio di carattere europeo, interno al dibattito scientifico e politico della seconda metà del XIX secolo fino agli albori dell’età giolittiana» (R. Martucci, 2011), circondato da fama e stima universalmente riconosciutegli. Ciononostante, egli è stato sostanzialmente «marginalizzato dalla storiografia italiana» (ibidem), e dimenticato anche nella sua stessa patria. Spesso, infatti, la manzoniana domanda Fedele Lampertico: chi era costui? echeggia davanti al monumento in suo onore, eretto in piazza Matteotti e inaugurato il 23 settembre del 1924. Eppure Vicenza gli deve molto: fondamentale il suo contributo nella fondazione della Società Generale di Mutuo Soccorso e della Banca Popolare di Vicenza, così come si adoperò fattivamente a favore della Scuola industriale, dell’Istituto tecnico, dell’Accademia Olimpica e di numerosissime altre istituzioni, anche benefiche, che sarebbe noioso elencare. Nutrita la sua bibliografia, ricca di 251 pubblicazioni, che abbracciano i più disparati argomenti, tra i quali saggi di storia e cultura locale. Senza contare i ben 145 interventi e relazioni parlamentari. Una pubblicazione, promossa dagli Amici dei Monumenti in occasione del restauro del monumento, affidato all’ Engim Veneto Professioni del Restauro di Vicenza e finanziato dalla generosità dei Lions del Club Vicenza Host e della Fondazione Di Club Lions Distretto 108 TA–1 ONLUS, tenterà di rivalutare - anche sulla scorta di documenti tratti dall’archivio privato della famiglia e di testimonianze dell’epoca - il profilo di statista, economista e oratore di questo personaggio, spesso ristretto entro giudizi stereotipati, che non fanno giustizia della sua lungimiranza politica, anticipatrice di fatti verificatisi decenni più tardi, e nemmeno della sua visione economica, fon >[email protected] - www.vrecinzioni.it


STORIEMEMORIERICERCHE STORIEVICENTINE 40 Nella facciata nord del Teatro Verdi , era stata apposta nel 1903 la lapide ad Antonio Turcato, nato a Castelfranco Veneto il 20/09/1817, che lasciò la moglie e tre figli in tenera età quando fu fucilato in quel luogo a Campo Marzio il 21/12/1860. Una delle poche esecuzioni marziali effettuate in Città dal Governo austriaco, la quale fece scalpore in tutta la cittadinanza perché eseguita davanti agli occhi degli attoniti vicentini affinché servisse da monito, nei confronti del cosiddetto sovversivo Antonio Turcato “reo di tradimento per cospirazione contro l’Imperiale governo”. Turcato era membro attivo del Comitato Segreto di Liberazione che si occupava di arruolare segretamente volontari per l’esercito piemontese durante Ie Guerre diIndipendenza Risorgimentale (1848-1860). Antonio Turcato risiedeva a Castelfranco Veneto (TV) e svolgeva, prima l’attività di artigiano calzolaio e poi di offeliere/pasticciere. Fu arrestato il 16 dicembre 1860 a Castelfranco Veneto e trasferito successivamente a Vicenza. Qui, a ridosso di un capannone nel luogo dell’esecuzione, il 21 dicembre 1860 venne fucilato. Ad Antonio Turcato venne anche intitolata una via cittadina nella zona di Via dei Mille nel 1960 con deliberazione consiliare del 24 maggio 1960. La lapide affissa a lato del Teatro Verdi (bombardato nel 1944) recava la seguente iscrizione (tratta dal libro di Giambattista Giarolli “I nomi delle nuove vie del Comune di Vicenza” – 2° volume – pag. 448 - anno 1988): ANTONIO TURCATO – DI CASTELFRANCO VENETO – DALL’AUSTRIACO OPPRESSORE – CONDANNATO A MORTE – PER ATTENTATA SEDIZIONE – QUI – INVOCANDO L’ITALICA LIBERTÀ – PERDEVA LA VITA – IL XXI DICEMBRE MDCCCLX – A PERENNE MEMORIA (firmato all’epoca I SUPERSTITI PATRIOTI – POSERO – Vicenza X giugno MCMIII) Loris Liotto La foto cartolina del Teatro Verdi dopo la ristrutturazione della facciata in stile neoclassico. A sinistra si vede già installata la statua dedicata ad Antonio Fogazzaro CRONACHE DEL TEMPO In memoria di Antonio Turcato Antonio Turcato , cospiratore contro l’Imperiale governo, fu fucilato a Vicenza come monito alla cittadinanza. di Loris Liotto La foto prima e dopo il bombardamento.


EVENTIANNIVERSARITRADIZIONI STORIEVICENTINE Palazzo Chiericati, Vicenza Santuario di Caravaggio, Bergamo Basilica di San Pietro, Vaticano Tarsie di Giunio Basso, Roma Scuola di Santa Maria della Carità, Padova Cattedrale di Aosta Duomo di Montagnana Oltre trent’anni di attività al servizio del Beni Culturali nel segno dello studio progettuale propedeutico, dell’aggiornamento tecnologico e della qualità operativa del restauro Via Dell’Impresa 1 - 36040 Brendola (VI) - Tel. 0444.348180 - Fax 0444.348181 e-mail: [email protected] - www.edilrestaurisrl.it UNI EN ISO 14001:2015 UNI EN ISO 9001:2015 BS OHSAS 18001:2007 cat. OG 2 / VI cat. OS 2-A / VI


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STORIEMEMORIERICERCHE STORIEVICENTINE 44 STORIE DI OGGI RICERCATORE E INVENTORE Mimmo è nato ad Arborea in provincia di Oristano. Perito chimico, unico allievo del cordaio Arturo Granata, egli e ricercatore operante in Caldogno, provincia di Vicenza (dove ha fondato la Aquila Corde Armoniche). Si occupa, dal 1983, dello studio e della costruzione delle corde di budello in uso nel Rinascimento, Barocco e periodo Classico. Nell’ambito della ricerca nel campo dei materiali moderni nel 1997 ha scoperto ed introdotto nel mercato il ‘Nylgut’, una sorta di ‘budello sintetico’ impiegato negli strumenti a pizzico storici e nella chitarra classica, ukulele etc. in sostituzione del nylon. Suoi contributi sono apparsi in “Recercare”, “F.O.M.R.H.I. Quarterly”, Orfeo, “il Bollettino della Società italiana del Liuto”, “The Lute Society of America Bulletin”, “Quattrocentoquindici”, “Il Fronimo”, Gendai Guitar Il volume ‘Domenico Montagnana lautier in Venegia, Lendinara 1997’, ‘Das Musikinstrument’ etc. Ha curato la sezione riguardante le corde di budello del catalogo degli strumenti musicali del Germanisches National Museum di Norimberga e del volume della mostra di Bergamo del 1998: “Evaristo Baschenis e la natura morta in Europa”. Ha eseguito per la prima volta accurati rilievi degli spezzoni di corde di budello risalenti Le intuizione geniali di Mimmo Peruffo www.aquilacorde.com


EVENTIANNIVERSARITRADIZIONI STORIEVICENTINE Borin comm. Dino & Figlio snc ARTE DEL RESTAURO ARQUÀ PETRARCA (PADOVA) www.borinrestauri.it RESTAURI ARTISTICI E ARCHITETTONICI DI ALTO LIVELLO certificazioni SOA OG2 - IV bis • categoria specializzata OS 2A-2 UNI EN ISO 9001:2015 TRADIZIONE & AVANGUARDIA Ultimi lavori 2022. Restauro soffitto e dell’affresco della Chiesa di Castelbaldo (Pd) edificata nel 1783. L’ottimo risultato che si ottiene tra il rispetto della tradizione e utilizzo di materiali all’avanguardia!


STORIEMEMORIERICERCHE MIMMO PERUFFO STORIEVICENTINE 46 alla prima metà del XVIII secolo presenti al Museo Stradivariano di Cremona e nell’Aprile del 2000 le misurazioni delle corde originali di budello per violino appartenute a Nicolò Paganini. Ha svolto e svolge tuttora conferenze nei conservatori o università di Vienna, L’Aquila, Dresda, Milano, Venezia, Londra, Bruxelles, Firenze, Den Haag, Brescia, Gjion etc. Quando ha tempo riesce a suonare il suo liuto, la chitarra e l’ukulele. Le tappe fondamentali Liutaio-alchimista. A 20 anni Mimmo Peruffo costruiva chitarre e studiava da perito chimico. «Un giorno venni a sapere che a Firenze era morto un liutaio che stava facendo una ricerca sulle corde per i liuti. Mi precipitai e riuscii ad avere i suoi appunti. Erano una miniera. Capii che poteva venire fuori qualcosa di importante. Mi gettai in quest’avventura e dopo 10 anni e 1500 esperimenti sono riuscito a creare le corde di budello come le voleva il maestro Riccardo Brané: le ho portate alla vedova e poi sono andato a trovarlo al cimitero». Da quel momento il lavoro di ricerca è stato inarrestabile. «Nel 1997 metto il naso nella plastica, penso che se trovassi qualcosa di più economico sarebbe la svolta». E la svolta arriva grazie a una scopa Pippo: «Mi trovavo in una fabbrica e c’era il pavimento pieno di fili: ne ho preso uno nero, lo metto in bocca e sento la vibrazione tra i denti: l’ho montato sul liuto ed era fantastico». Da quel filo di scopa modificato è nato il nylgut, una sorta di budello sintetico molto più economico: «Ho cercato una ditta dalle parti di Bergamo, ho chiesto di produrne 30 chili di colore bianco». Poi un un amico gli dice che in Giappone suonano tanto l’ukulele e io mi imbatto per caso in un venditore americano: gli invio un paio di corde per fargliele provare». Il 1 gennaio del 2002 arriva una mail: «Happy new year e poi “non so chi sei ma sei seduto su 1 milione di dollari perché hai inventato la migliore corda per ukulele al mondo». La conquista della Cina. Da questo momento la vita va in accelerata: «La fama si diffonde e mi chiamano dalla Cina, mi dicono che vogliono passare dal nylon americano al mio nylgut e che costruiscono 100mila ukulele all’anno, allora acquisto un macchinario che mi consente di realizzare cinquantamila corde al giorno. Poi un giorno mi chiamano dalle Hawaii, vogliono le mie corde ma devono essere nere coem da tradizione. Col cavolo, rispondo: “Io sono nato in sardegna vicino a una spiaggia bellissima e bianchissima che si chiama Is arutas, le mie corde restano bianche”. Quell’azienda non le ha volute ma il 90% di corde per ukulele sono le mie e sono bianche, comprese quelle utilizzate al Festival di Waikiki a Honolulu». Oggi l’azienda Aquile corde armoniche produce 3 milioni di corde al mese.


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STORIEMEMORIERICERCHE STORIEVICENTINE 48 STORIE DI OGGI INTERVISTA su gentile concessione di Vi-cult magazine Mimmo è uno di quegli imprenditori che va conosciuto, un vulcano di idee, contraddizioni, riflessioni socio-politiche, slanci, dal Festival dell’Ukulele alle iniziative sociali…. Un personaggio che supera il classico “ o lo si ama o lo si odia” perché la velocità con cui pensa e si racconta destabilizza e affascina allo stesso tempo. Di certo è una delle persone più sincere che si possano incontrare, non ha remore nel presentarsi com’è, consapevole dei suoi “spigoli” e forse poco determinato a smussarli. Imprenditore, artigiano, ricercatore, cordaio, liutaio amatoriale, esperto di strumenti antichi . C’è qualcosa che preferisci o ti piace proprio avere più ruoli diversi e perché? Cosa trovi in ciascuna di queste attività? Mi piace pensare di essere come un esploratore alla ricerca di nuove isole, su mari inesplorati perché non è detto che ciò che si cerca viene trovato in ambienti noti e sicuri. Una volta mi è esploso il macchinario addosso mentre facevo una delle mie ricerche e ho rischiato di perdere la vista. Perché saper suonare uno strumento è importante? Ti apre quella che io definisco con una metafora “la settima stanza”, ossia la stanza che arriva dopo tutte le altre stanze della tua “casa”, quella stanza in cui non fai entrare quasi nessuno. È quella parte di te emotiva più profonda, quella parte che è difficile raggiungere nelle relazioni e anche con se stessi… guardarsi dentro non è così facile. E perché è meglio suonare con strumenti di qualità? Come imprenditore ricerco la qualità, ma quando suono non sono un fanatico della qualità. Quando suono ricostruisco la bellezza del suono nella mia testa… Hai scelto il tuo lavoro o lui ha scelto te? Se adesso dovessi ripartire cosa faresti? Non ho nessuna intenzione di ripartire!!! Io non ho scelto il mio lavoro. Nell’83 non sapevo nulla di corde, ma qualcuno mi ha dato un sacco di cose da studiare… a Cremona ero l’ultimo della fila, ero andato li solo per comprarmi un pezzo di legno per fare il mio liuto. Io mi sono fatto una chitarra perché un negoziante mi aveva deriso dicendo che coi soldi che avevo non me la potevo permettere una chitarra: lì ho deciso che a costo di farmela coi denti me la sarei costruita. Sono andato da mio nonno, maestro di banda e falegname, a chiedergli di aiutarmi e non era un tenero. Lui mi insegnò l’incatenatura all’italiana e la notte, quando non mi vedeva, la sostituivo con l’incatenatura alla spagnola… per salvare gli equilibri familiari ho imparato due cose alla volta. Ho ancora la bottiglia di gommalacca di mio nonno, mi ispiro molto a lui. Qual è il tuo maggior pregio e il tuo peggior difetto professionalmente parlando? Il mio peggior difetto è che quando ho un’idea in testa blocco tutto perché tutti in azienda devono seguirmi, sono come un uragano, pochi mi reggono quando faccio così… le idee mi arrivano anche alle 5 del mattino … spesso funziona, ma è un difetto perché gli altri soffrono a seguirmi. Se gli altri non mi seguono a volte mi fermo per aspettare… A volte riesco addirittura ad aspettare dei giorni… per fortuna uno dei miei collaboratori ha coniato questa frase: “non sappiamo come fa, ma ci riesce”, a me basta anche questo. Ho scoperto di essere bravo anche nel commerciale, in modo particolare con gli orientali uso le loro stesse strategie e a volte restano davvero basiti. Anche la mia pubblicità è molto divergente da quella degli altri e funziona. Divergo spesso, le mie sono state le prime corde bianche per ukulele. Mi hanno scritto dalle Hawaii per dirmi che dovevo farle nere in onore dei vulcani delle loro isole e alle corde che già esistevano e ho risposto che erano bianche come la sabbia di una spiaggia della mia Sardegna. Mi risposero che non ne avrei venduta una…


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STORIEMEMORIERICERCHE STORIE DI OGGI STORIEVICENTINE 50 Qual è il tuo strumento preferito? Il liuto per le cose serie, ma il banjo è lo strumento con cui mi diverto. Lavorativamente quel è l’episodio, o l’impresa, o il prodotto di cui sei più fiero? Qual è la cosa che non esisterebbe senza Mimmo Peruffo? Io mi trovo più a mio agio nel pensare di essere al servizio della musica. Io sono un inventore di pigmenti “musicali” che poi metto a disposizione dei pittori “musicisti”. Prima che arrivassi io c’erano solo due tipi di corde, due soli “pigmenti”. Come spesso accade mi dissero che non ce l’avrei mai fatta a trovare nuove soluzioni. Per me la sfida è un gioco, mi diverto a dimostrare che esiste il passaggio a Nord-Ovest. Il mio laboratorio è il mio parco giochi . Poi arriva la soddisfazione di vedere Paul McCartney con un ukulele che monta le tue corde. Posso dire che l’appesantimento dei bassi del liuto è una cosa che ho “riscoperto” io… usando la matematica, l’osservazione dei liuti storici, facendo rilievi sugli spessori delle corde e una ricerca di chimica storica. Però ci sono due cose di cui sono particolarmente fiero. Quando è scoppiato il Covid mi sono messo a fare il filo per le stampanti 3d per costruire le valvole per i respiratori e poi ho prodotto del disinfettante per la protezione civile di Vicenza e Arcugnano. Non avrei fatto video e post su questa cosa, ma mi convinsero che dimostrare che qualcuno reagiva era importante per la psicologia delle persone. Quando hai incontrato l’ukulele? Perché indubbiamente Aquila corde è conosciuta anche per le corde di liuti e chitarre, ma l’ukulele la fa un po’ da padrone, o sbaglio? Quando siamo partiti facevamo solo corde in budello e dopo dieci anni ho scoperto che il segreto per le corde del liuto era l’appesantimento, ma ci ho messo dieci anni. Io sono perito chimico. Quando ho visto il primo ukulele non ne sono rimasto particolarmente colpito, fu merito di Stefano Grondona, maestro di chitarra classica al conservatorio di Vicenza e mio amico, che mi disse che le mie corde potevano andare bene anche per l’ukulele e quindi mi ci sono applicato. All’appesantimento dei bassi del liuto ci sono arrivato in modo roccambolesco, pizzicando con le dita dei fili di una scopa al fine di saggiarne il suono: ero convinto che la mia idea ce l’avessero già avuta altri… e invece no… come le corde dei miei bassi acustici sono nate dalle scarpe da ginnastica di mio figlio Francesco. La mia creatività a volte nasce dal continuare a pensarci, altre volte mi viene in testa quando mi sono allontanato dal problema: a un certo punto la soluzione viene fuori da sola. Alle fiere quelli di Martin, Fender e Gibson, venivano nel mio stand con curiosità a vedere quello che mi inventavo. Qual’è il tuo massimo desiderio in questo momento? Desidero ricordare con affetto mia sorella Patrizia che purtroppo non è più con noi. Ha svolto un ruolo importante per me e la mia famiglia. Ha contribuito con il suo talento grafico e artistico al successo commerciale di Aquila Corde e come professionista, cresciuta nella storica agenzia dell’Adas, ha realizzato i più importanti manifesti culturali degli anni ‘80. Grazie Patriza, sei sempre nel cuore dei tuoi fratelli e degli amici che ti hanno amata per le tue doti di umanità e creatività. 6 Gra ca d’autore 50 VICENZAVOGUE portfolio 51 ALCUNI DEI MANIFESTI REALIZZATI DA PATRIZIA PERUFFO DAL 2010 AL 2022


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