La Toscana Nuova - settembre 2022 Flipbook PDF


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10 días. Toscana Pág 1
TOSCANA Y LIGURIA Naturaleza y cultura en el corazón de Italia Verano 2016 / 10 días Toscana Pág 1 Volvemos con una ruta que tan buenos recuerdos

Story Transcript

La Toscana nuova - Anno 5 - Numero 8 - Settembre 2022 - Registrazione Tribunale di Firenze n. 6072 del 12-01-2018 - Iscriz. Roc. 30907. Euro 3. Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv.in L 27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 C1/FI/0074

Emozioni visive

Riflessioni da spiaggia Testo e foto di Marco Gabbuggiani

Sono in spiaggia, rilassato sul mio lettino con in mano uno Spritz mentre penso a tutto e niente, guardando il mare che si unisce al cielo in lontananza. Sorrido assorto nei miei pensieri quando la vista dell’orizzonte mi fa venire in mente i terrapiattisti e la loro convinzione che laggiù l’acqua cada nel vuoto. D’altronde, come vuoi che siano i “pensieri da spiaggia” se non frivoli e di poca sostanza? Accade poi che giro lo sguardo e mi imbatto in un ragazzino di colore di 14 anni al massimo. È magrissimo e suda molto mentre trascina faticosamente il suo carrettino pieno di cappelli e giocattoli, dei quali ha più importanza il peso che il misero prezzo di 1 euro. Si ferma un secondo all’ombra di quelle cianfrusaglie che quasi lo fanno sparire e si addormenta appoggiando la testa sui suoi prodotti. Insieme alla tristezza di un’adolescenza che non dovrebbe essere così per nessuno, mi tornano in mente le foto super ammirate della coppia Ferragni-Fedez sul jet privato per recarsi dove gli pare (mi sono rifiutato di leggere l’articolo e quindi non lo so...). E allora tutto stride forte, forse troppo per una mente preparata alla leggerezza estiva. Ma non perché loro possono spendere per quel lusso mentre quel ragazzino crolla dalla stanchezza invece di essere a divertirsi come i suoi coetanei che lo circondano e che, chie-

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dendogli informazioni su quelle cianfrusaglie, lo svegliano dal sonno. Non per quello! Stride perché troppi adolescenti sognano e cercano di imitare la coppia d’oro ostentando falsi splendori con mille selfie, senza rendersi conto però che la vita vera è quella del giovane venditore di giocattoli in spiaggia e non quella della donna più famosa d’Italia. Penso che proprio questi personaggi famosi, visto il ruolo che rivestono, dovrebbero educare e non illudere i loro fan. Educarli con valori morali, mostrando maggiore normalità e non immagini narcisiste degne di una favola e non della realtà che è invece ben diversa. E mentre i pensieri si accavallano, mi vengono in mente personaggi autentici e positivi come ad esempio la principessa Diana, totalmente priva di ostentazione o vanto. Un’ostentazione che a lei sarebbe stata sicuramente perdonata ma che non ha mai palesato pur facendo cose utili e di insegnamento per le generazioni future. Il paragone stride troppo, il nervoso sale alle stelle. E allora scendo dal lettino, prendo 10 euro per regalare un sorriso a quel ragazzino e mi tuffo in acqua. Meglio raffreddare questi pensieri che mi turbano; le vacanze devono essere fonte di relax e non di stress generato dalla constatazione dei falsi miti ai quali purtroppo rischiano di credere le nuove generazioni… Da oltre trent'anni una realtà per l'auto in Toscana

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SETTEMBRE 2022

I QUADRI del mese

7 Note d’arte: due opere giovanili di Michelangelo restaurate grazie a Friends of Florence 8 Riflessione culturale e indagine sociologica nei reportage del maestro Uliano Lucas 10 Arte e nuove tecnologie: il ruolo dell’uomo nelle opere create con l’intelligenza artificiale 11 Lo sguardo innovatore e anticonformista del padre della street photography William Klein 13 Riflessioni sulla fede: le vie della vocazione nell’intervista a padre Bernardo Gianni 14 Archeologia: Costantinopoli, la nuova Roma 15 Grandi mostre: la follia dell’arte contemporanea invade il Chiostro del Bramante 17 “Il taglio osceno” del viaggio esistenziale di Giovanni Varrasi 18 Monica Menchi, attrice, regista e insegnante per amore del teatro 21 Botteghe artistiche: le creazioni senza tempo di Paolo Miniati, orafo a Firenze 22 Dimensione salute: occhio secco, un disturbo della lacrimazione soprattutto femminile 23 Psicologia oggi: l’arte di imparare dalle delusioni 25 Arte e scienza: i benefici della musica sul benessere psicofisico 26 I giganti dell’arte: Cristo, il “più bello tra gli uomini” nel capolavoro di Diego Velázquez 27 PsicHeArt: grounding, uno stato fisico ed emotivo “per stare con i piedi per terra” 29 Ventinove racconti di Stefano Grifoni sulle inafferrabili forme dell’amore

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33 Firenze mostre: l’armonia del Kaos nelle opere di Skim a Palazzo Medici Riccardi

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34 Il linguaggio simbolico tra fiabesco e onirico di Anatoliy Fatakhov 35 Curiosità fiorentine: l’Albergo Popolare in Santo Spirito, dal ’900 ricovero per indigenti 37 La raccolta poetica di Donatto Nitti ispirata all’amore 38 Storia sociale: la previdenza in Italia, uno strumento a tutela dei lavoratori dal 1933 39 Premio Internazionale Michelangelo Buonarroti: le novità dell’edizione 2022 40 Movimento Life Beyond Tourism: le diversità dialogano con l’evento The World in Florence 42 Tecnologia e sostenibilità: Bike Alike, il dispositivo che rivoluziona il futuro della bicicletta 44 Dal caos della realtà interiore un ordine nuovo nell’astrazione cromatica di Maarika Maury 46 Eventi in Toscana: al Centro Culturale San Sebastiano una mostra sul disagio giovanile 47 Libuse Babakova protagonista di una personale alla Galleria Lazzaro di Forte dei Marmi 49 Vita Ervin Attila Kassai, pittore intimista in dialogo con la natura 50 Tamara de Lempicka: i misteri italiani della regina dell’Art Deco 53 La personale di Varren, autodidatta “sapiente”, allo Spazio Espositivo San Marco 54 La natura vista con gli occhi della fantasia nelle illustrazioni di Antje Petershagen 57 Harry’s Bar The Garden: la seconda sede a Firenze di uno dei locali più famosi al mondo 58 Mariella Tissone, artista tra passione e controllo per mezzo del colore 59 Mostre in Toscana: a Fiesole la collettiva promossa dall’associazione Napoli Nostra 60 La collettiva da record del Centro Espositivo Culturale San Sebastiano in Val d’Orcia 63 Una storia familiare tra guerra e infanzia nel libro di Serena Raggi

Maria Grazia Fusi, L'impollinazione, olio, cm 90x30

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64 Ritratti d’artista: Giulia Marcucci, la ricerca dell’oltre nel cuore dell’enigma 67 Toscana a tavola: lasagne del pastore, una gioia per il palato 69 Polvere di stelle: Sarah Ferrati, mito irripetibile del teatro italiano 70 “A tavola con” Andrea Muzzi, attore con il gusto della comicità 73 Ritratti d’artista: Cristina Visibelli, pittrice e gallerista a Viareggio

In copertina:

75 Bellezza e rispetto della natura nelle opere polimateriche di Valter Biani

Tamara de Lempicka, Nudo seduto (1925), olio

76 B&B Hotels torna in Slovenia con una nuova struttura a Maribor 78 Cura della persona: il profumo del benessere

Periodico di attualità, arte e cultura La Nuova Toscana Edizioni di Fabrizio Borghini Via San Zanobi 45 rosso 50126 Firenze Tel. 333 3196324 [email protected] [email protected] Registrazione Tribunale di Firenze n. 6072 del 12-01-2018 Iscriz. Roc. n. 30907 del 30-01-2018 Partita Iva: 06720070488 Codice Fiscale: BRGFRZ47C29D612I

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Anno 5 - Numero 8 - Settembre 2022 Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L 27/02/2004 n, 46) art.1 comma 1 C1/FI/0074

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Luciano Artusi Ricciardo Artusi Francesco Bandini Rosanna Bari Alessandro Bellini

Mario Bizzoccoli Margherita Blonska Ciardi Doretta Boretti Fabrizio Borghini Erika Bresci Miriana Carradorini Jacopo Chiostri Filippo Cianfanelli Nicola Crisci Maria Grazia Dainelli Mara Faggioli Aldo Fittante Giuseppe Fricelli

Marco Gabbuggiani Serena Gelli Stefano Grifoni Maria Concetta Guaglianone Annamaria Isola Stefania Macrì Stefano Marucci Elisabetta Mereu Emanuela Muriana Elena Maria Petrini Antonio Pieri Matteo Pierozzi

Daniela Pronestì Barbara Santoro Franco Tozzi Francesca Vivaldi Foto:

Rosanna Bari Gino Carosella Serena Carradori Miriana Carradorini Jacopo Chiostri Filippo Cianfanelli Maria Grazia Dainelli

Marco Gabbuggiani William Klein Uliano Lucas Momy Manetti Sandro Nerucci Daniela Pasquetti Laura Pelagatti

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Note dʼarte A cura di Rosanna Bari

La Madonna della scala e la Battaglia dei centauri Le due opere giovanili di Michelangelo restaurate grazie alla donazione dei Friends of Florence Testo e foto di Rosanna Bari

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inizio marzo, al Museo di Casa Buonarroti, è stato presentato il restauro dei due rilievi di Michelangelo realizzati all’età di appena quindici anni: la Madonna della scala e la Battaglia dei centauri. Il restauro è stato donato dalla Fondazione Friends of Florence che, come sottolineato dalla presidente Simonetta Brandolini d’Adda, si occupa della tutela del patrimonio michelangiolesco. Il lavoro, eseguito da Daniela Manna e Marina Vincenti, è stato preceduto da uno studio diagnostico non invasivo, seguito da un’accurata operazione di pulizia che ha ridato ai due marmi quei vigorosi effetti cromatici e di luce che pian piano il tempo aveva offuscato. Le due opere furono scolpite da Michelangelo durante la sua formazione nel Giardino mediceo di San Marco, dove, sotto la guida di Bertoldo di Giovanni, ultimo allievo e collaboratore di Donatello, i giovani artisti si esercitavano copiando dalle collezioni di arte antica della famiglia Medici. Nella Madonna della scala, rea-

Madonna della scala

lizzata nel 1490, Maria è ritratta di profilo, seduta su un sasso squadrato con in braccio il Bambino mentre, con sguardo profetico, guarda in lontananza, come a voler distogliere la sua attenzione dal figlio di cui conosce già il triste e doloroso destino. Visto di spalle il Bambino, protetto dalla madre che teneramente lo copre con un lembo della sua veste, sembra essere profondamente addormentato. A sinistra, su una scala che domina quasi la metà del rilievo, si intravedono dei bambini. Scolpita tra il 1491 e il 1492, la Battaglia dei centauri rimase incompiuta, forse a causa della morte di Lorenzo il Magnifico, committente dell’opera. Il soggetto, definito da Vasari la Battaglia di Ercole coi centauri, sembra la rappresentazione di una scena di azione e di forza piuttosto che la descrizione di uno specifico episodio mitologico. Palese l’interesse dell’artista verso la descrizione di una marcata espressività emotiva, come per esempio la rabbia o il dolore dei lottatori avvinghiati in un violento combattimento. I due marmi, seppur scolpiti da un adolescente Michelangelo, risultano fortemente caratterizzati da elementi riscontrabili in opere della sua produzione più tarda. Oltre al restauro dei rilievi è stata riallestita anche la sala in cui le opere sono custodite. Il nuovo sfondo color antracite consente oggi alle loro superfici di avere un maggiore risalto, mentre la moderna illuminazione permette al visitatore di godere di una chiara lettura fin nei minimi dettagli.

Battaglia dei centauri

N

ata ad Augusta (SR) e residente a Firenze da circa venti anni, Rosanna Bari ha maturato esperienze nel campo dei beni culturali (catalogazione per le Sovrintendenze di Siracusa, Palermo e Firenze e organizzazione eventi espositivi e di svago) e della divulgazione grazie al conseguimento della qualifica di guida turistica di Firenze e provincia. Scrive articoli d'arte per il periodico San Sebastiano della Misericordia di Firenze e cura il blog Arte: i tesori di Firenze per il quotidiano online FirenzeToday.

+ 39 339 1667051 [email protected]

OPERE DI MICHELANGELO RESTAURATE

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I grandi della fotografia A cura di Maria Grazia Dainelli

Uliano Lucas

La fotografia come strumento di riflessione culturale e indagine sociologica negli scatti di un maestro del reportage e intellettuale controcorrente di Maria Grazia Dainelli / foto di Uliano Lucas

Q

uando ha iniziato ad appassionarsi alla fotografia?

Ho iniziato da ragazzo a Milano frequentando il Bar Giamaica, nel quartiere Brera, luogo di incontro in quegli anni di pittori, scultori, fotografi e letterati. È stata la mia università, ho passato anni con queste persone, interessandomi di tante cose e soprattutto di cinema che, attraverso il suo potente linguaggio visivo, ha contribuito a farmi apprezzare la fotografia. Sono cresciuto parlando con Ugo Mulas, Mario Dondero, Giulia Niccolai, Alfa Castaldi e valorizzando il rapporto umano in un mondo aperto e intelligente. Sono sempre stato un ragazzo curioso e, dovendo scegliere una professione, la fotografia mi è sembrata la più congeniale per me per la libertà che mi concedeva nella gestione del tempo. Mi sono occupato di giornalismo fotografico da autodidatta non essendoci allora scuole di giornalismo. Fin da subito, ho lavorato come libero professionista e fotoreporter free-lance, iniziando ad osservare e a raccontare la realtà.

Qual è stato negli anni il suo rapporto con l’editoria? Ho collaborato con numerosi mensili e settimanali italiani e stranieri nei quali mi riconoscevo sia culturalmente che politicamente: L’Espresso, L’Europeo, Il Mondo. I direttori dell’epoca acquistavano i miei reportage realizzati in assoluta libertà, per loro rappresentavo una finestra sul mondo. Ho potuto così raccontare le guerre in Africa e a Sarajevo, la vita nelle fabbriche e nei manicomi, la trasformazione delle città e in generale tutto quello che mi incuriosiva nella società di quegli anni. La fotografia veniva acquistata come merce preziosa, la carta stampata produceva giornali di una bellezza unica. Un mondo che oggi non esiste più. Negli ultimi venticinque anni molti fotografi sono diventati poco più che illustratori, quelli che mancano invece sono gli interpreti. Com’è cambiato il suo linguaggio fotografico dagli esordi negli anni Sessanta ad oggi? Ognuno è figlio della propria epoca. Gli anni Sessanta sono stati anni fortunati, c’era una forte idea del futuro, una grande curiosità, erano ancora vivi e pulsanti gli ideali del dopoguerra. In quel periodo ho scelto di raccontare un mondo di invisibili a cui non veniva dato spazio sui giornali, di documentare la storia di un grande cambiamento della società italiana, a differenza di tutti quei settimanali che come Gente, Oggi e Famiglia Cristiana vendevano milioni di copie ma non raccontavano la realtà del paese perché allineati al pensiero politico dominante. Ho fotografato i manicomi, le fabbriche e gli operai che, emigrati al nord, hanno permesso il miracolo economico, i luoghi dove vivevano, le loro giornate e gli amori. Era una società in fermento, e tuttavia ancora caratterizzata da vecchi meccanismi conservatori. Il ’68 ha spazzato via tut8

ULIANO LUCAS

to segnando l’inizio di una nuova epoca anche in fotografia, con maestri come William Klein e Robert Frank, con i quali è stato inevitabile confrontarsi. Quale tra i libri da lei pubblicati è più rappresentativo del suo lavoro fotografico? Da sempre l’Italia è carente di critici fotografici e storici della fotografia. Per questo motivo è mancato nel nostro paese un dibattito culturale capace sia di migliorare la comunicazione visiva che di attribuire spessore e dignità al ruolo del fotoreporter. Ancora oggi sono pochi i luoghi in Italia dove organizzare mostre fotografiche di alto livello, promuovere dibattiti, raccogliere archivi fotografici importanti come quelli di Luciano D’Alessandro, Federico Garolla, Lisetta Carmi. In questo scenario ho sentito la necessità di raccontare la storia del fotogiornalismo con il libro La realtà e lo sguardo scritto insieme a Tatiana Agliani dopo aver lavorato molti anni e aver intervistato numerosi fotografi. È un libro che ha avuto successo, tanto da diventare un testo universitario. Sono convinto che la storia della fotografia e della comunicazione visiva in generale dovrebbero essere insegnate a scuola e nelle università, proprio come si fa con la storia dell’arte. Cos’è per lei la fotografia? Scavare nella complessità della società e tentare di raccontarla con le immagini: credo sia questo il compito del fotografo. In Italia si parla spesso di fotografia artistica distinguendola dal genere del reportage. Personalmente, ho sempre con-

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siderato i bravi fotoreporter della mia epoca non come artisti prestati al giornalismo ma come intellettuali capaci di documentare la storia dell’umanità andando oltre la semplicità della fotografia di cronaca. Il mio archivio non ha un valore artistico ma culturale. Negli anni mi è capitato spesso di affrontare temi scomodi o poco graditi a molti giornali che per questo non pubblicavano le mie foto. E io ho risposto andando avanti sulla mia strada, realizzando mostre e pubblicando libri. Com’è nata l’idea di fondare il Centro della Fotografia Italiana a Brescia? L’idea è nata otto anni fa da Renato Corsini, fotografo, architetto e abile operatore culturale, insieme a mia figlia Tatiana Agliani, a Gianni Berengo Gardin e a Maurizio Rebuzzini, quando a Brescia l’amministrazione comunale ha abbracciato il progetto consentendoci di creare un luogo dove promuovere mostre fotografiche di livello ed animare il dibattito sulla cultura visiva in Italia ancora oggi poco significativo. Basti pensare al fatto che i testi importanti sulla storia e sui significati della fotografia continuano ad essere quelli di autori stranieri come Susan Sontag e Roland Barthes, mentre mancano saggi di autori italiani. Insieme a mostre inedite, come quella di Caio Garrubba, nel Centro ha sede anche l’esposizione permanente degli scatti dei maggiori protagonisti della fotografia italiana come Carlo Bavagnoli, Romano Cagnoni, Mario Dondero e Carla Cerati.

Di recente ha realizzato una mostra fotografica con Tano D’Amico e Letizia Battaglia. Che cosa vi lega? Abbiamo tre modi di vedere la realtà e tre formazioni politico-culturali diverse ma tutti e tre abbiamo fotografato la città, analizzandone la vita politica e culturale. Nella mostra ci ha uniti il tema della strada, che tante volte è stata palcoscenico delle nostre fotografie per raccontare la vita di ogni giorno, le grandi manifestazioni, i cortei, le proteste che hanno rappresentato momenti salienti della storia sociale italiana. Tano D’Amico è riuscito, rompendo gli schemi, a raccontare gli anni Settanta e Ottanta con una visione introspettiva e un rapporto diretto con le persone. La stessa cosa ha fatto Letizia Battaglia, che ha fotografato la vita della gente comune, in particolare donne e bambine, e le stragi di mafia nelle strade della sua Palermo. Qual è il reportage fotografico al quale tiene di più? Quello realizzato negli anni Settanta in Guinea Bissau dove mi sono recato per fotografare il popolo che combatteva contro il colonialismo portoghese per far nascere la democrazia. Ho vissuto con loro, fotografando scuole e ospedali da campo. Le foto hanno fatto il giro di numerose redazioni italiane, ma anche spagnole e francesi per raccontare una guerra dimenticata. Il libro che ne ho tratto, Guinea Bissau / Una rivoluzione africana, è stato donato, con mio grande orgoglio, a Papa Paolo VI come testimonianza della nascita di una nuova democrazia in occasione del suo incontro con i tre leader di Mozambico, Guinea Bissau e Angola. Che consigli darebbe ad un giovane che volesse iniziare la professione di fotoreporter? Oggi è impossibile intraprendere questa professione da autodidatta, in un sistema globale come quello in cui viviamo è difficile esprimersi con le immagini in maniera efficace senza aver seguito studi universitari e post universitari e senza far parte di agenzie di stampa o di altre organizzazioni di alta professionalità. Oltre a questo bisogna anche sapersi muovere in ambienti spesso ostili, essere imprenditori di sé stessi e avere un certo spessore culturale. www.ulianolucas.it

Arte e nuove tecnologie

Intelligenza artificiale e creazione artistica Il ruolo fondamentale dell'intervento umano di Alessandro Bellini / foto courtesy Mathema

A

lcuni ritengono che l’uomo sia destinato ad essere soppiantato da robot, cattivi e crudeli, guidati dall’intelligenza artificiale. Macchine che potranno sostituire l’essere umano anche nelle sue attività più nobili e creative

Paesaggio generato interamente con il software Disco Diffusion

come l’arte. Ogni giorno si ha notizia di un nuovo sistema di intelligenza artificiale in grado di produrre opere artistiche semplicemente a partire da una descrizione a parole. Dall-E 2, Imagen, Midjourney, Disco Diffusion sono alcuni tra i software di cui si sente maggiormente parlare e che, effettivamente, consentono di produrre immagini in grado di stupire. Ma è proprio vero che l’intelligenza artificiale può sostituire l’artista? Cerchiamo di capirlo attraverso alcuni esempi. La figura 1 rappresenta un paesaggio “sintetico”, cioè generato esclusivamente da un sistema di intelligenza artificiale (in questo caso è stato usato Disco Diffusion). Non male vero? Eppure, osservando attentamente l’immagine, notiamo dei particolari inquietanti, nelle punte dei cipressi, nelle nuvole tra i monti, nell’atmosfera cupa e distopica. Confrontando questa scena con un altro paesaggio (fig. 2), sempre ottenuto con tecniche di intelligenza artificiale (questa volta è stato utilizzato VQGAN) ma a partire da un quadro del pittore Filippo Cianfanelli, celebre per i suoi panorami toscani (fig. 3), appare lampante la differenza. L’intelligenza artificiale continua ad aggiungere elementi non convenzionali ad un’opera tradizionale, ma si nota un’altra atmosfera, più rilassante e positiva. In altre parole: più umana. Si potrà obiettare che questo è solo un esempio. È vero, questo è solo un esempio, ma in Mathema, la ditta fiorentina che si occupa di arte e intelligenza artificiale, di esempi così se ne vedono a migliaia e tutti confermano la stessa cosa: la mano dell’uomo è indispensabile per rendere un’opera pienamente soddisfacente dal punto di vista artistico. La prova del nove? Basta confrontare l’immagine con le foglie di mais scattata in Togo (fig. 4) con la stessa immagine trasformata in una composizione artistica usando l’intelligenza artificiale (fig. 5). A quale conclusione si può giungere? È sufficiente una semplice foto naturalistica per creare un’immagine con qualità artistiche grazie all’intelligenza artificiale. La mano dell’artista però non può essere sostituita: è l’unica in grado di fare davvero la differenza.

Paesaggio realizzato con l’intelligenza artificiale a partire dal dipinto di Filippo Cianfanelli nella foto sotto

Foglie di mais del Togo; nella foto accanto lo stesso soggetto trasformato in una composizione artistica

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INTELLIGENZA ARTIFICIALE E CREAZIONE ARTISTICA

Spunti di critica fotografica A cura di Nicola Crisci

William Klein Lo sguardo innovatore e anticonformista di uno dei padri della street photography di Nicola Crisci / foto William Klein

N

ato a New York nel 1928, William Klein è considerato uno dei padri della street photography. In realtà, oltre che fotografo, durante la sua vita, trascorsa fra l’Europa e gli Stati Uniti, Klein è stato anche scultore, pittore e regista contraddistinto sempre da un atteggiamento anticonformista. Diventa un fotografo di moda quotato lavorando per la rivista Vogue. «Con la fotografia – afferma – potevo parlare della vita, cosa che non potevo fare con la pittura». Nel periodo in cui lo sguardo “armonico” di Henry Cartier Bresson dettava legge, Klein si dedica ad una sperimentazione formale e contenutistica che ribalta ogni regola di composizione. Le sue immagini non sono quasi mai pulite ed ordinate, ma fuori fuoco e mal composte; nonostante questo però emanano una carica e una vitalità che ha fatto scuola ad un’intera generazione di fotografi. Klein, in effetti, è in grado di trasformare l’errore in nuovo metodo espressivo. Alla fine degli anni Cinquanta diventa assistente di Federico Fellini, che lo nota proprio grazie ai suoi reportage realizzati per le strade delle città. Le sue seducenti modelle non posano in studio: attraversano le strisce pedonali di Roma, salgono una scalinata, si trovano su di un set oppure davanti ad uno specchio. Con altrettanto successo e talento, Klein ha saputo dedicarsi alla fotografia di moda, tanto da essere considerato uno degli autori di punta di Vogue. Poliedrico, sfaccettato, innovatore, capace di fondere stili e generi, cinema, fotografia e pittura; insomma un artista a tut-

Pepsi (New York, 1955)

Cinecittà (Roma, 1956)

totondo. Nel 2013, all’età di 86 anni, sorprende tutti: prende in mano di nuovo una macchina fotografica e, sessant’anni dopo il suo libro Life is Good and Good for You in New York, si mette a raccontare Brooklyn con immagini a colori che dimostrano l’immutata vitalità del suo sguardo e la sua voglia di continuare a fotografare sempre con energia, audacia e spirito di ribellione. La rivista Professional Photographer of America lo ha inserito al venticinquesimo posto fra i cento fotografi più influenti al mondo.

Sophia Loren (Roma, 1960)

WILLIAM KLEIN

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Riflessioni sulla fede A cura di Stefano Marucci

Le vie della vocazione Ne parliamo con padre Bernardo Gianni, abate di San Miniato a Monte a Firenze di Stefano Marucci / foto Maria Grazia Dainelli 1^ parte

C

he rapporto ha con la Toscana?

Mi sento figlio di questa terra che fa della bellezza la sua quintessenza e che nei secoli ha espresso una grande spiritualità in maniera sobria, non urlata, dire quasi laicale, ma proprio per questo capace di persuadere con la forza silenziosa e rassicurante dell’eucarestia. Questa regione vanta anche una notevole concentrazione di mistici, da Caterina da Siena alla pratese Caterina dei Ricci, per arrivare al Novecento con don Milani, padre Ernesto Balducci e tanti altri. Ecco, io vengo da questa storia qui, da questi luoghi dove sono cresciuto in una famiglia normale che, oltre alla fede, mi ha insegnato ad apprezzare la natura, l’arte, la storia e a diventarne da adulto un appassionato protettore. Com’era la sua vita prima di prendere i voti? Ero un ragazzino come tanti altri che frequentava la chiesa ma senza una particolare vocazione. Ad un certo punto, durante l’adolescenza, mi sono allontanato dall’ambiente cattolico per praticare quella che definirei una “religione della natura e dell’uomo”: era il periodo in cui mi dedicavo soprattutto al volontariato e alla cura dell’ambiente. Negli anni dell’università ho ancora di più radicalizzato questa mia posizione, tralasciando del tutto la fede e concentrandomi sull’impegno sociale e politico. Era il periodo della guerra in

Iraq, dell’invasione del Kuwait, e i conflitti bellici accendevano in me un desiderio di pace, giustizia ed equità. Poi c’è stata una crisi sentimentale per la fine di un amore e un conseguente periodo di inquietudine esistenziale, durante il quale ho iniziato a capire che le cose che avevo appreso e fatto fin a quel momento non mi bastavano più, non mi rendevano felice, dovevo trovare la via dello spirito. Quando è arrivata la vocazione? È stato nel periodo di Natale. Un amico, peraltro non credente, mi ha invitato ad una funzione liturgica nella chiesa di Rosano e lì ho vissuto un’esperienza molto forte. Per la prima volta in vita mia mi sono sentito amato totalmente, al di là di ogni mio merito. Ho avvertito un richiamo irresistibile. Era Dio che mi stava chiamando e che mi parlava attraverso il racconto della nascita di Gesù Bambino, che fino al quel momento mi era sembrato poco più che un racconto fantastico e che invece adesso toccava la mia anima nel profondo, complice anche il melodioso canto delle monache di sottofondo.

Padre Bernardo Gianni

LE VIE DELLA VOCAZIONE

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Quando tutto ebbe inizio... A cura di Francesco Bandini

Costantinopoli, la nuova Roma

di Francesco Bandini 1^ parte

L

a città di Costantino, capitale religiosa e politica, diviene la seconda Roma destinata a superare per grandezza e maestà tutte le altre città dell’impero rappresentando l’idea di centro del potere e affermandosi come la nuova Roma. Fu dopo la grande battaglia sul ponte Milvio (28 ottobre 312), sulla via Flaminia nel suo cammino verso la conquista di Roma, che il Senato riconobbe il titolo di Maximus Augustus a Costantino che, incontrandosi con Licinio a Milano, proclamava la libertà di culto (313) per i cristiani. L’accordo tra i due Augusti rimasti soli al potere fu precario e dieci anni dopo (323) avvenne il decisivo conflitto con la morte del rivale. Del pericolo incombente dei Barbari, Costantino aveva fatto esperienza combattendo in Asia, poi sul Danubio e sul Reno e infine il conflitto più grave contro la Persia. Durante questi conflitti Costantino aveva ispirato le future vittorie. Aveva quindi assunto il labaro, che fu poi interpretato come il chrismon cristiano o come emblema della croce, fatti e simboli questi cui venne dato un preciso significato cristiano solo più tardi, quando la religione si affermò pienamente. In realtà si può pensare a una sua tendenza monoteistica, confermata dall’adesione al culto solare, ma qualunque sia il momento della sua conversione al cristianesimo, Costantino è l’imperatore che ne rese possibile il trionfo combattendo l’Arianesimo (Concilio di Nicea nel 325). Siamo nel 324, nasce Konstantinoupolis (antico nome di Bisanzio, l’odierna Istanbul). Costantino decide di fondare la nuova Roma. Molti motivi spiegano questa scelta: anzitutto l’eccellenza del luogo, essendo la città edificata sull’estremità facilmente fortificabile di una penisola in cui penetra una magnifica rada, il Corno d’Oro. Dopo la consacrazione del 3 novembre 324, era stata immediatamente tracciata una

Francesco Bandini, Skyline di Istanbul, vista dal Bosforo

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COSTANTINOPOLI

linea di cinta; nel 326 già ferveva il cantiere di Santa Sofia e nel 328 era avviata la costruzione dei grandi complessi monumentali, in particolare quelli del Palazzo Imperiale, del Faro e dell’Ippodromo. Con Giuliano, nel 523 la città aveva raggiunto il suo massimo splendore; furono completate le terme, l’acquedotto, ma l’opera più grandiosa resta la basilica di Santa Sofia ricostruita da Giustiniano sulla precedente chiesa costantiniana. Antica Piero della Francesca, Storie della vera colonia greca – era stata Croce: Il sogno di Costantino (1452-1466), fondata dai Megaresi –, Chiesa di San Francesco, Arezzo Bisanzio possedeva già agli inizi del VI secolo a. C. un’acropoli con tre templi dedicati alle principali divinità. Sulla baia del Corno d’Oro, il braccio di mare situato a sud del Bosforo, sulla riva europea si fronteggiavano due porte, dette più tardi Phosphorion e Neorion. I primi secoli di Costantinopoli come capitale si caratterizzano per un’espansione continua delle costruzioni pubbliche e private, non soltanto all’interno delle mura, ma anche lungo la costa del Bosforo e, al di là del Corno d’Oro, nei quartieri di Galata e Pera, diventati ormai parte integrante della città. Nessuna città del mondo medievale rappresenta meglio di Costantinopoli l’idea di centro di una nazione del potere imperiale. Soprattutto nessuna capitale del Medioevo riflette l’idea con la stessa maestà nell’aspetto urbanistico. A partire dal IV secolo, l’antica Bisanzio acquisì le dimensioni e la struttura di una metropoli. Questa immagine perdurerà per oltre mille anni, attraverso molteplici trasformazioni, distruzioni e ricostruzioni, impressionando sempre con la stessa forza, l’immaginazione dei contemporanei. Nel 1403, all’inizio della sua decadenza, Costantinopoli cadrà in mano ai Turchi. Oggi Costantinopoli appare, agli occhi dei contemporanei occidentali, come la città medievale per eccellenza. Una città «che supera ogni altra città in ricchezza, come la sorpassa nei vizi».

Grandi mostre in Italia A cura di Miriana Carradorini e Maria Grazia Dainelli

Crazy A Roma la follia dellʼarte contemporanea invade il Chiostro del Bramante Testo e foto di Miriana Carradorini

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arfalle, luminarie, fiori di cera, scatolette di sardine e vestiti sono alcuni degli elementi che compongono le installazioni che dallo scorso 2 febbraio 2022 e fino al prossimo 8 gennaio 2023 sono ospitate nelle sale del Chiostro del Bramante a Roma. La mostra Crazy / La follia nell’arte contemporanea, a cura di Danilo Eccher, è espressione dell’assoluta libertà concessa ai ventuno artisti di rilievo internazionale chiamati ad affrontare il tema della follia. Realizzata senza un percorso narrativo ben specifico ma fatta di emozioni e sensazioni presentate da più punti di vista, la mostra introduce il visitatore nell’intricato mondo della follia. Attraverso un’interazione diretta tra osservatore e opere, le delicate tematiche affrontate dagli artisti divengono più comprensibili anche grazie a definizioni di parole, sensazioni e fobie poco conosciute. Il visitatore, mediante l’uso da parte degli autori di oggetti comuni, come scatoloni, banchi scolastici, vestiti e anche la simulazione di luoghi come negozi e armadi, può immergersi nella vita quotidiana vista sotto un’altra prospettiva, non prettamente artistica ma sempre legata al mondo della follia. Questi oggetti, attraverso la visione degli autori, creano delle stanze sensoriali che coinvolgono l’osservatore nella comprensione immediata del significato dell’opera. È possibile quindi camminare nelle installazioni, toccarle, giocarci e comprarle, rimanendo così travolti dal lavoro degli artisti e vivendo le sensazioni e i significati trasmessi dalle opere. Questo coinvolgimento non riguarda solo agli adulti ma anche i bambini con un percorso

In questa e nelle altre foto alcune delle installazioni esposte al Chiostro del Bramante per la mostra Crazy

dedicato che permette loro di capire più facilmente e in maniera diretta le varie installazioni. Le opere sono state realizzate con un intervento diretto degli artisti negli spazi sia esterni che interni del Chiostro, compresi quelli più inaspettati come una scala o un bar: una metafora della follia che si espande in tutti i recessi della mente umana. Nello specifico, attraverso la ricreazione di un’istallazione del 1968, gli artisti si sono potuti confrontare anche con uno dei padri dell’arte moderna, Lucio Fontana, famoso per i suoi tagli sulle tele. La mostra, partendo da vecchie installazioni fino ad arrivare agli artisti di oggi, offre dunque una riflessione molto profonda e allo stesso tempo facilmente comprensibile sulla follia e sulle varie tematiche ad essa collegate, lasciando quindi il visitatore stupito e insieme più consapevole su questo universo per molti versi ancora sconosciuto. Per informazioni su giorni e orari di visita: www.chiostrodelbramante.it Dr. Matteo Berna Consulente finanziario 338 5647067 [email protected]

CRAZY

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Lorenzo Senzi

Il racconto della storia

Guerra e pace tra passato, presente e futuro (omaggio in occasione dell’anniversario della battaglia di Campaldino)

[email protected]

I libri del mese

Giovanni Varrasi

Il “taglio osceno” di un viaggio esistenziale al centro di sé stessi di Erika Bresci

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na famiglia apparentemente “ordinata”, sana, quella di Siro. Una madre attenta al ruolo rivestito, un padre esigente ma assente (ben presto per sempre). Lui, secondo di tre figli, incastrato tra l’anticonformismo ribelle del terzo e la volizione prepotente, schiacciasassi, vincente ad ogni costo del primo. Fratelli come isole distanti di una pangea irrimediabilmente perduta. Siro, bravo studente, bravo figlio, bravo medico: una parabola di vita che lo raffigura nel suo essere ingranaggio della società civile, perfettamente oliato secondo i canoni convenzionali – e materni –. Finché, un giorno, specchiandosi in una vetrina, pensando di incrociare la forma di se stesso immaginata (aitante, gagliarda, sbarazzina), si imbatte invece in un paio di spalle curve, un collo allungato e un’espressione stanca, avvilita. La frattura generata tra l’uomo socialmente accettato e ciò che egli in realtà è, rischia di slabbrarsi in una voragine profonda, in crepacci pericolosi da attraversare con la forza e l’esperienza dello speleologo, in un viaggio al

centro di sé stessi dal quale è comunque necessario ripartire. A illuminare il sentiero per uscire dalla caverna che lo imprigiona come un moderno schiavo dell’antico mito di Platone, due diversi fari, entrambi etimologicamente aderenti alla semantica compresa nel compito cucito loro addosso: Lucio, il personal training della palestra alla quale Siro si iscrive per recuperare la propria forma fisica, che lo orienta verso un nuovo modo di vedersi – «Guardati. Insisti nel guardarti. Da una certa distanza possiamo vederci meglio e correggerci» – da cui scaturisce in lui nuova e potente energia; e Lucilla, la nipote che ha avuto il coraggio di inventarsi una nuova vita insieme al marito e al figlio, in Cilento, a coltivare la terra, partendo da niente. Ospite per pochi giorni da lei, Siro respirerà in quella casa l’essenza vera dell’amore, che circola nella reciprocità complice degli sguardi, dei silenzi, del naturale prendersi cura l’uno dell’altro. L’amore è esso stesso reciprocità. Per questo il sesso (via via seduttivo, complice, violento, accogliente, materno, giocoso), declinato secondo diverse donne e altrettante esperienze, non può da solo arrivare a sciogliere il nodo in gola che non fa respirare. Perché parte dall’io e ad esso ritorna. Solo quando negli occhi di Sofia (altro nomen omen) gli occhi di Siro poseranno anche l’anima – che egli immagina con le sembianze di una ragazzina dai capelli ricci e gonnellina corta, che «risiede dentro di me, sopra la zona dell’ombelico, in uno spazio tra l’addome e il cuore… sensibile, attenta ai particolari, è irremovibile nei giudizi, soprattutto nelle questioni importanti… quando non è d’accordo con me oppure qualcosa non le piace, sparisce» – il futuro potrà aprirsi a spiragli di prospettive nuove. Reciprocità, si diceva. Perché se l’egoismo non porta a vivere l’amore in pienezza, neppure il rinnegare sé stessi, l’annientarsi di fronte all’altro conduce in alcun luogo. Lo sa bene Lucio, che per comprare l’amore di un padre anaffettivo e malvagio perderà se stesso. Giovanni Varrasi, medico psichiatra, conosce bene i tanti “fuori scena” dell’essenza umana. In questo romanzo che sa di vita vera – e nei diversi personaggi, nelle loro storie, nel rifrangersi di frammenti di specchi, nel muoversi tra la selva di ricordi, sogni, segreti, progressi e fallimenti – la lama del bisturi affonda nell’intimità dell’uomo, svelandone i chiaroscuri, le diverse “identità”, la quotidiana lotta combattuta tra verità di comodo e reali. Un universo in bilico tra miseria e grandezza, che possiamo intravedere attraverso il “taglio osceno” di una scrittura vigorosa e autentica, capace di toccare l’imo feroce e spregevole della bestialità e innalzarsi a tratteggiare le fonti chiare del sentimento puro.

GIOVANNI VARRASI

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Dal teatro al sipario A cura di Doretta Boretti

Monica Menchi

Dopo un’importante carriera come attrice e regista, la scelta dell’insegnamento per trasmettere a giovani e adulti l’amore per il teatro di Doretta Boretti / foto courtesy Monica Menchi

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i troviamo a Pistoia, famosa città storica toscana, per incontrare Monica Menchi, affermata attrice di cinema, teatro, televisione, regista di numerosi spettacoli e insegnante di teatro.

Ha frequentato la prestigiosa Accademia Silvio D’Amico. Quali sono i ricordi legati a quella esperienza?

Credo di esserci nata con l’amore per il teatro, in particolare per la regia. Quando ero all’asilo, dopo aver assistito ad uno spettacolo circense, ho avvertito l’esigenza di disegnare, su di un quaderno, quello che avevo visto, ricostruendo tutte le scene osservate. A dieci anni feci il mio primo spettacolo da regista. Ero una bambina molto creativa, poi quando diventai una professionista, le poche volte che ho tentato di distaccarmi dal teatro, il teatro mi ha sempre recuperata.

Quando sostenni l’esame per entrare all’Accademia Silvio D’Amico lo detti anche per entrare al Centro Sperimentale di Cinematografia. Li superai tutti e due ma scelsi l’Accademia; non perché non considerassi formativo il Centro Sperimentale ma dall’Accademia erano usciti grandi attori: Anna Magnani, Paolo Stoppa, Nino Manfredi, Vittorio Gassman, Giulio Bosetti, Monica Vitti, Giancarlo Giannini e tanti altri. Sono stati quattro anni molto impegnativi, entravi la mattina alle 8 e 30 e a volte non sapevi quando uscivi alla sera. Una scuola molto formativa: ore e ore di recitazione, musica, danza, scherma. Ricordi brutti non ne ho, anzi, ho incontrato grandi maestri; ricordo con affetto e stima Mario Ferrero, con cui ho fatto un percorso recitativo in versi veramente importan-

Monica Menchi (ph. Serena Carradori)

In Edith Piaf/ tra storia e mito (ph. Sandro Nerucci)

Come si è innamorata del teatro e a che età?

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MONICA MENCHI

Ph. Sandro Nerucci

Ph. Laura Pelagatti

te. Devo ammettere che è grazie ai miei sforzi e a quelli dei miei docenti se ho acquisito gli strumenti che mi hanno permesso di diventare la professionista che sono. Qualche volta mi mancava la mia famiglia, a quel tempo ero molto giovane, ma tornerei a quei momenti anche adesso.

Pensa che sia utile per tutti fare un’esperienza recitativa e, se sì, perché?

Che incontro è stato, il suo, con la regista Cristina Pezzoli? Un incontro fondamentale. Purtroppo Cristina è scomparsa due anni or sono. Con lei ho fatto tanti lavori e quello più importante, che mi ha permesso di girare l’Italia e che ha avuto un enorme successo, è stato La vita accanto, dal romanzo di Mariapia Veladiano, con la drammaturgia di Maura Del Serra. Dopo alcune importanti esperienze cinematografiche ha iniziato ad insegnare. Che cosa ha suscitato in lei questa nuova esperienza?

È utile perché ho visto a volte gente timida, introversa e molto chiusa trasformarsi dopo un’esperienza teatrale. Ci sono state persone che all’inizio mi hanno detto: «Io sul palco mai». E poi invece… È una grande soddisfazione perché vuol dire che come insegnante hai dato qualcosa e hai fatto amare il teatro. Tuttavia ci sono alcuni che non sono proprio compatibili con questo tipo di esperienza, perché a volte vengono fuori delle cose che la recitazione non può sanare. Quindi direi che il teatro non è per tutti. A breve inizieranno i suoi nuovi corsi. Chi fosse interessato dove può trovare le indicazioni per iscriversi? Sulla mia pagina Facebook e a questi contatti: + 39 3387290938 / [email protected]

All’inizio non avevo il desiderio di insegnare anche se mi dicevano che ero molto portata. Quando iniziai a lavorare con registi affermati, cercai di osservare attentamente il loro modo di lavorare e devo ammettere che, dopo le prime esperienze recitative, iniziai da quello, a fare regia, che era sempre stata poi la mia passione originaria. Dalla regia all’insegnamento il passo è stato breve. Riconosco di essere molto severa. Ho insegnato e insegno a giovani dai 16 anni fino a persone anche ultra settantenni. La bellezza del teatro è proprio quella di vedere giovani e meno giovani in una simbiosi collaborativa generazionale. Vedere sul un palco gente di tutte le età lavorare in una piacevole armonia: questo è teatro. L’esperienza con i bambini piccoli è troppo impegnativa per me, l’insegnamento con loro deve essere un gioco. Ci vogliono persone qualificate per gestire i bambini. È un percorso pre-artistico. Ph. Daniela Pasquetti

MONICA MENCHI

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Formiamoi ifuturi futuri professionisti professionisti della Formiamo della moda moda

Scadono il 15 ottobre i bandi dei sei nuovi corsi della Fondazione MITA, l’Accademia che Scadono il figure 15 ottobre i bandi dei sei nuoviper corsi dellaneiFondazione prepara nuove tecnico/professionali under30 lavorare vari settori diMITA, eccellenza l’Accademia che preparadel nuove figure tecnico/professionali under30 per Sistema Moda Made in Italy.

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Botteghe artistiche in Toscana A cura di Rosanna Bari

Paolo Miniati

Le creazioni senza tempo di un orafo che coniuga avanguardia e tradizione di Mara Faggioli

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’è un luogo in Oltrarno, a Firenze, isolato dal rumore del traffico cittadino, nascosto fra gli alberi e immerso nel silenzio e nella quiete di via Giano Della Bella: è il Conventino. Sorto dopo il restauro del complesso storico del chiostro dell’ex monastero delle suore di clausura di Santa Teresa, è un’oasi di pace e tranquillità, luogo ideale per concedersi un momento di relax. Gode di uno spazio verde molto tranquillo e rilassante per incontri, presentazioni di libri, mostre, manifestazioni culturali, feste, aperitivi nonché di spazi attrezzati per studenti. Al suo interno il Caffè Letterario offre anche la possibilità di pranzare. Ma la vera particolarità di questo luogo sono gli atelier, le botteghe e i laboratori affacciati intorno al chiostro, dove abili e talentuosi artisti e artigiani, con mani sapienti e con estrosa creatività, realizzano opere di grande bellezza. Vi si trovano ceramisti, argentieri, stilisti, restauratori, decoratori, incisori su vetro e cristallo, pittori e scultori, artisti che con i più vari materiali realizzano opere uniche e originali. Al primo piano, affacciata sul chiostro (stanza n. 17), si trova il laboratorio creativo di Paolo Miniati, allievo del maestro orafo Sergio Nasali che ebbe la sua bottega alla Casa dell’Orafo, dal quale ha appreso il disegno ornato e il meraviglioso stile fiorentino del traforo e dell’incisione, ricevendo, inoltre, gli strumenti utili per accrescere il suo personale percorso di studio e ricerca nel campo dell’oreficeria, tramandando così la migliore tradizione orafa della città gigliata. Dopo anni di esperienza, e dopo aver aperto la bottega Re Mida proprio alla Casa dell’Orafo in Vicolo Marzio a Firenze a pochi passi dal Ponte Vecchio, Paolo Miniati si è trasferito al Conventino dove nel suo laboratorio si dedica soprattutto alla lavorazione del bronzo e dell’argento, realizzando gioielli che vanno dal classico al contemporaneo e sperimentando sempre nuove tecniche, con particolare attenzione alle nuove tendenze e all’avanguardia nel settore senza mai dimenticare la tradizione. La sensibilità artistica, la creatività e l’estro di Paolo Miniati riescono ad interpretare i sogni e i desideri della clientela, realizzando gioielli su misura, accostando vari materiali e unendo pietre e smalti con il risultato di ottenere sempre gioielli originali e personalizzati. Paolo vi accoglierà con il suo solito sorriso “da bravo ragazzo” che non ha mai perduto, con l’amore per la sua arte, fon-

Pendente Urbino

te di gioia e di soddisfazione perché «si vede bene solo con il cuore, l’essenziale è invisibile agli occhi» come scriveva Antoine De Saint-Exupéry ne Il Piccolo Principe. E per guardare in profondità ogni cosa dobbiamo ascoltare la voce delle emozioni, quelle emozioni che l’arte di Paolo Miniati sa regalare. Il 17 e 18 settembre 2022 sarà possibile incontrare Miniati e visitare il suo atelier al Conventino in occasione dell’evento Arti e Mestieri (vedi locandina in basso). Paolo Miniati Creazioni Laboratorio: via Giano Della Bella, 20 – Firenze (zona Porta Romana) Presso Vecchio Conventino – stanza 17 + 39 380 1519960 (su appuntamento)

Anello Amsterdam

PAOLO MINIATI

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Dimensione salute A cura di Stefano Grifoni

Occhio secco

Lacrimazione scarsa e troppo densa all’origine di una malattia soprattutto femminile di Stefano Grifoni

L

’occhio secco è una malattia della superficie oculare che si manifesta con la sensazione di corpo estraneo, bruciore e altri disturbi. L’incidenza aumenta con l’età ed incrementa in presenza di patologie reumatiche e ormonali, con l’esposizione a fattori ambientali come vento, aria condizionata e uso di lenti a contatto e di videoterminali. Ha una prevalenza di circa 15 casi ogni 100 persone. La malattia è maggiormente presente nel sesso femminile. La caratteristica fondamentale è una modifica

S

della quantità e della composizione delle lacrime che diventano più dense per una ridotta produzione della componente liquida da parte della ghiandola lacrimale. Il sintomo più frequente è l’arrossamento della congiuntiva. La diagnosi e la terapia sono poste nel corso di una visita oculistica necessaria anche per escludere eventuali forme allergiche concomitanti o infezioni sovrapposte. Un amore tradito è come un occhio secco, come un granello di sabbia che ci può tormentare sempre.

tefano Grifoni è direttore del reparto di Medicina e Chirurgia di Urgenza del pronto soccorso dell’Ospedale di Careggi e direttore del Centro di riferimento regionale toscano per la diagnosi e la terapia d’urgenza della malattia tromboembolica venosa. Membro del consiglio nazionale della Società Italiana di Medicina di Emergenza-Urgenza, è vicepresidente dell’associazione per il soccorso di bambini con malattie oncologiche cerebrali Tutti per Guglielmo e membro tecnico dell’associazione Amici del Pronto Soccorso con sede a Firenze.

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OCCHIO SECCO

Psicologia oggi A cura di Emanuela Muriana

L’arte di imparare dalle delusioni di Emanuela Muriana

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iente è più facile che illudersi, poiché l’uomo crede vero ciò che egli stesso desidera» afferma Demostene. E se ciò che desidera non accade, l’uomo ha tre possibilità: continuare ad illudersi in un autoinganno poco consapevole, alimentato con la forza della speranza della resistenza e soprattutto della credenza che tanto assomiglia alla fede religiosa che non prevede la prova dei fatti; assistere al lento smottamento dell’illusione che potrà diventare una frana pericolosa se il comportamento di fuga non prevale; contemplare le macerie di un terremoto inaspettato. Allora l’illusione si trasforma in delusione che avvolge i pensieri come una nebbia fitta che impedisce di vedere il futuro prossimo; oppure si fa largo la frustrazione, quella sensazione mista di rabbia e impotenza perché qualcosa di interno a noi (incapacità di valutazione o di risorse) o di esterno a noi (eventi o persone) non hanno permesso di conseguire il desiderato scopo. Illusione e delusione possono essere due stati separati temporalmente, ma in realtà sono un vero processo ideativo, inevitabile nella vita anche per i più disillusi… Le delusioni vengono classificate in diverse tipologie: delusioni lievi, delusioni forti e delusioni traumatiche. Quelle lievi, ma anche quelle forti, se affrontate nel modo giusto, permettono di ripar-

E

tire con maggiore consapevolezza della necessità di avere anche un pizzico di diffidenza che tamponi le inevitabili illusioni. Imparare dall’esperienza, si dice, ma concedendosi le emozioni e le passioni, il vero sale della vita. Le delusioni traumatiche hanno invece un’evoluzione clinica: le persone cominciano a sentirsi vittime di sé stesse, degli altri o anche del mondo. Insane e pervasive ruminazioni mentali, reazioni di impotenza, disturbi di area depressiva. Possono anche evolvere in dipendenze relazionali, un severo quadro clinico che ha la funzione di evitare in tutti i modi di vivere la delusione e il dolore connesso. Oppure sfociare in una frustrazione rabbiosa che rende la persona da polemica ad aggressiva e può sviluppare disturbi di area paranoica. «Le delusioni ci aprono la mente e ci chiudono il cuore» ha detto qualcuno, ma questo stato deve servire a suturare le ferite e non ad approdare ad un insano cinismo. Per approfondire: E. Muriana, T. Verbitz, L. Pettenò, I volti della depressione (Ponte alle Grazie) E. Muriana, T. Verbitz, Psicopatologia della vita amorosa (Ponte alle Grazie) E. Muriana, T. Verbitz, Le relazioni dipendenti (Alpes Italia)

manuela Muriana è responsabile dello Studio di Psicoterapia Breve Strategica di Firenze, dove svolge attività clinica e di consulenza. È stata professore alla Facoltà di Medicina e Chirurgia presso le Università di Siena (2007-2012) e Firenze (2004-2015). Ha pubblicato tre libri e numerosi articoli consultabili sul sito www.terapiastrategica.fi.it. È docente alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Breve Strategica.

Studio di Terapia Breve Strategica Viale Mazzini 16, Firenze + 39 055 242642 - 574344 [email protected]

IMPARARE DALLE DELUSIONI

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artEnutrizione

A Firenze un luogo dove la scienza medica incontra l’arte A Firenze, nel quartiere di Rifredi, in via Leopoldo Pellas 14 D/E, si trova uno studio professionale unico nel suo genere: artEnutrizione. È un luogo dove idealmente e concretamente si incontrano tanti saperi e competenze grazie alla collaborazione di diverse figure professionali, tutte orientate al raggiungimento della salute e del benessere psicofisico della persona. Vi si organizzano anche eventi a tema e gli argomenti trattati sono scelti nell’ottica della promozione della salute, della corretta informazione e della cultura in generale, inclusa la passione per l’arte. Il locale, infatti, è una picco- Lʼartista Riccardo Macinai intervistato da Fabrizio Borghini la galleria di opere esposte in parte nel corridoio d’ingresso e nella sala d’attesa, in parte nelle due stanze adibite a studio professionale. Tutte le persone che frequentano gli studi possono usufruire della vista dei numerosi dipinti olio su tela, di varie installazioni ed elaborazioni fotografiche dell’artista fiorentino Riccardo Macinai (per contatti: + 39 347 9363795 / [email protected]).

Le discipline e i professionisti attualmente presenti nello studio artEnutrizione: Nutrizione: dott.ssa Silvia Ciani, biologa nutrizionista e specialista in Scienze dell’alimentazione; dott.ssa Alice Guazzini, biologa nutrizionista Psicoterapia cognitivo comportamentale: dott.ssa Tania Marsili, psicologa psicoterapeuta Psicoterapia breve strategica: dott.ssa Corinna Desiati, psicologa psicoterapeuta Endocrinologia: dott. Riccardo Mansani, medico chirurgo specialista in Endocrinologia e Malattie del metabolismo Osteopatia: dott. Roberto Papaianni, specialista in Scienze e Tecniche delle Attività Motorie Naturopatia: Susi Zuri, esperta di erbe, principi naturali e tecniche orientali

I professionisti dello studio artEnutrizione

Aree di competenza coordinate dalla dottoressa Silvia Ciani: • Obesità e sovrappeso in adulti (nutrizionista o percorsi integrati con personal trainer o team multidisciplinare endocrinologo-nutrizionista-psicologo) e bambini in età scolare

• Stati fisiologici (gravidanza, allattamento, menopausa, senilità, allenamento sportivo, etc.) • Stati patologici diagnosticati (diabete, ipertensione, dislipidemie, sindrome metabolica, malattie cardiovascolari, insufficienza renale, sindrome ovaio policistico, sindrome del colon irritabile, celiachia, malassorbimenti, allergie, intolleranze, etc.) • Diagnosi e terapia per disturbi ormonali, patologie endocrine (tiroide, ipofisi, gonadi, surrene, pancreas), malattie come l’osteoporosi, la disfunzione erettile, l’infertilità maschile e femminile, le complicanze della menopausa e il diabete (endocrinologo o team endocrinologo-nutrizionista) • Disturbi gastrointestinali, magrezze, alimentazione vegetariana • Disturbi alimentari (trattamento integrato psicologo-nutrizionista) e loro prevenzione • Prevenzione alla salute tramite la corretta alimentazione (bambini, adolescenti, adulti) individuale e di gruppo • Laboratori esperienziali con prodotti naturali www.artenutrizione.it

www.nutrizionistafirenze.com

Arte e scienza

I benefici della musica sul benessere psicofisico di Serena Gelli

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enisce l’ansia, favorisce la concentrazione, stimola e amplifica le emozioni: la musica riesce a fare tutto questo, influisce sul benessere quotidiano delle persone e ha effetti terapeutici su corpo e mente. È ormai ampiamente dimostrato che la musica è un canale espressivo privilegiato per fare emergere gioia, tristezza e tutta la vasta gamma di emozioni di cui l’essere umano è capace. Fin da piccoli, abbiamo tutti sperimentato gli effetti benefici della musica, basti pensare alla ninna nanna che era in grado addirittura di farci addormentare. In particolare, secondo alcuni studi, la musica classica ha un comprovato effetto rilassante. Infatti i suoi ritmi e le sue tipiche tonalità contribuiscono a ridurre la pressione arteriosa, il ritmo respiratorio e l’ormone dello stress. La musica jazz, invece, stimola la creatività, mentre la musica pop, al pari di un integratore multivitaminico, è una poten-

te fonte di energia, dinamismo e voglia di fare. Ascoltare brani pop mentre facciamo attività fisica aumenta il livello delle performance e permette di accusare meno la fatica. La musica country è un concentrato di gioia e positività; la musica metal aumenta l’autostima e la sensazione di appartenenza. Infine il rock è altamente energizzante, tocca le corde dell’io di chi lo ascolta dandogli quella carica che gli permette di affrontare sforzi fisici e mentali, esami universitari, colloqui, etc. Ma oltre ai vari generi musicali, il cui effetto benefico è ormai appurato, altra scoperta interessante è quella che riguarda le frequenze con le quali l’essere umano entra in risonanza e che pare abbiano poteri particolari. Due in particolare risultano essere le più efficaci: 432hz e 528hz. Ascoltare musica a 432hz libera i blocchi emotivi ed espande la nostra coscienza connettendoci al ritmo della terra.

I BENEFICI DELLA MUSICA

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I giganti dell’arte A cura di Matteo Pierozzi

Diego Velázquez Cristo, “il più bello tra gli uomini” nel capolavoro del maestro spagnolo di Matteo Pierozzi

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l XVII secolo fu per Madrid il secolo d’oro. Gli Asburgo dominavano con il sovrano mecenate Filippo IV. Pittore di corte e pupillo del sovrano era Diego Velázquez. La crocifissione dipinta nel 1632 dal maestro fu commissionata per il convento di San Placido a Madrid da Jero-

nimo de Villanueva, talmente potente da poter ingaggiare il pittore di corte. Fu commissionato al maestro per una sorta di riscatto con il quale il nobile intendeva ribadire la propria fedeltà ai reali e alla Chiesa dopo un processo che lo aveva visto accusato di aver favorito dei banchieri. Velázquez volle rappresentare Cristo come “il più bello tra gli uomini”, riprendendo così la definizione che ne viene data nel salmo 44. Il volto appare rilassato nonostante il sangue che sgorga copioso dalle ferite; lo sfondo scuro isola la figura rappresentata in modo molto realistico. Leggenda narra che il ciuffo di capelli che ricade sul viso di Cristo fu dipinto da Velázquez per coprire un errore commesso dipingendone il volto. Il pallore dell’incarnato conferisce a tutta la figura un’aura divina.

Diego Velázquez, Cristo Crocifisso (1632 circa), olio su tela, cm 248x169, Museo del Prado, Madrid

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DIEGO VELÁZQUEZ

PsicHeArt A cura di Maria Concetta Guaglianone

Grounding Uno stato fisico ed emotivo “per stare con i piedi per terra” di Maria Concetta Guaglianone

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vete mai osservato con attenzione un albero al ritmo delle stagioni? Sotto il sole, sotto la pioggia, tra la tempesta, sotto il cadere silenzioso della neve. Un albero che esiste e resiste al passare del tempo e delle fasi della vita. Un albero che ha radici che vanno in profondità e rami e foglie che si muovono al vento. Nell’arte, l’albero è stato rappresentato da diversi artisti ognuno con il proprio stile e la propria simbologia. René Magritte, ad esempio, rappresenta nel dipinto La voix du sang un microcosmo nel tronco dell’albero a cui si ha accesso attraverso tre porte, due delle quali aperte per guardarvi all’interno e la terza chiusa per stimolare l’immaginazione dello spettatore. Klimt ne L’albero della vita raffigura temi e simboli che richiamano il ciclo vitale, l’amore e l’attesa. Ne La quercia di Flagey, Gustave Courbet esprime il proprio radicamento alla terra. Alexander Lowen, psicoterapeuta e padre dell’analisi bioenergetica, utilizza la metafora dell’albero per descrivere gli uomini: «Noi esseri umani siamo come gli alberi, radicati al suolo con un’estremità, protesi verso il cielo con l’altra, e tanto più possiamo protenderci quanto più forti sono le nostre radici terrene». Così come l’albero si sostiene grazie alle sue radici, il nostro corpo e il nostro sé possono sentire e provare solidità e armonia attraverso il contatto dei piedi con il terreno. Il fusto dell’albero rappresenta la colonna vertebrale, i rami rappresentano le braccia protese verso lo spazio e verso l’esterno. Attraverso la metafora dell’albero Lowen esprime un concetto chiave dell’analisi bioenergetica e fondamentale per la nostra esistenza: il grounding. La parola grounding deriva dall’inglese “ground” che significa terra e rimanda al concetto di radicamento, alla capacità di sostenersi, di essere autonomi, al senso di sicurezza, stabilità e forza. Essere in grounding significa “stare con i piedi per terra”, “stare sulle proprie gambe”, essere centrati, avere consapevolezza e muoversi verso la dimensione del piacere. La persona entra in contatto con la propria identità, natura ed essenza. Quanto più l’individuo è in grounding tanto più può sperimentare un senso di equilibrio fisico e psicologico, un’armonia tra realtà esterna ed interna, rispondendo in modo funzionale agli eventi della vita che spesso ci rendo-

Gustave Courbet, La quercia di Flagey (1864), olio su tela, Musée Gustave Courbet, Ornans

no vulnerabili. L’esperienza opposta al grounding rimanda alla condizione “dell’essere su di giri” o “stare tra le nuvole”: la persona può perdersi in pensieri e illusioni, perdere vitalità e il contatto con la realtà. Attraverso il grounding la persona entra in contatto con parti di sé, con il proprio modo di collocarsi ed essere nel mondo, con le proprie sensazioni e vibrazioni corporee. S’intraprende un lavoro sull’espressione e sulla consapevolezza corporea che permette di far fluire l’energia bloccata verso il basso, partendo dal capo, passando dalla zona del ventre e delle pelvi, dalle gambe fino a giungere ai piedi. La persona viene aiutata a “lasciarsi scendere verso la terra” e a contattare vissuti emotivi che “ristagnano” nel corpo. Provate a ritagliarvi un tempo e uno spazio per voi, individuate un luogo, in un parco, nel bosco, in giardino o semplicemente una stanza della vostra casa; scegliete un punto in cui fermarvi, in posizione eretta, a piedi nudi. Assumete una postura con piedi divaricati alla stessa altezza del bacino, talloni leggermente aperti verso l’esterno, piegando un po’ le ginocchia mantenendole morbide e le braccia lungo il corpo. Chiudete gli occhi e respirate. Entrate in contatto con il vostro respiro, rivolgete l’attenzione ai piedi e a come aderiscono al terreno, alle sensazioni nel qui ed ora, all’energia che scorre lungo il corpo. Immaginate poi che dai vostri piedi partano delle radici che vanno sempre più in profondità ed entrate in contatto con esse. Registrate ogni vostra sensazione, continuando a respirare in modo lento ponendo una mano sul ventre e l’altra sul cuore. Mettetevi in ascolto e cogliete ogni messaggio che il vostro corpo trasmette e veicola. Che storia sta narrando?

P

sicologa specializzanda presso la Scuola di Psicoterapia dell’Istituto Psicoumanitas di Pistoia, Maria Concetta Guaglianone ha frequentato la scuola biennale di Counseling Psicologico presso Obiettivo Psicologia di Roma, dove ha svolto anche la propria attività professionale collaborando come tutor nel Master di Psicologia Perinatale. È autrice di numerosi articoli sul portale Benessere 4you - Informazioni e Servizi su Salute e Benessere Psicologico. Attualmente svolge la propria attività professionale presso Spazio21 - Studi Professionali di Discipline Bio Naturali e Psicologia (via dei Ciliegi 21 - 50018 Scandicci).

+39 3534071538 / + 39 348 8226351 / [email protected]

GROUNDING

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Anima e tempo (dedicato a Sophie)

Cinzia Pistolesi

I libri del mese

Stefano Grifoni Ventinove racconti sulle inafferrabili forme dell’amore di Erika Bresci

V

entinove, brevi e intensi racconti, che partono da un assunto chiaramente espresso nell’introduzione: «L’amore non si può descrivere». Cui fa immediato seguito l’onesta, umana confessione: «Probabilmente continueremo a cercare di definirlo per il resto di tutti i tempi». Altrettanto onesto compromesso, è, allora, questa interessante raccolta nata, come le precedenti Storie d’amore e d’amicizia e Vizi, virtù e salute, dall’esperienza concreta di una professione lavorativa vissuta a tempo pieno – Stefano Grifoni è direttore di Medicina e Chirurgia d’urgenza presso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi – che tenta di individuare almeno alcuni particolari specifici e caratterizzanti, alcune “forme”, appunto, cui è possibile fare aderire i bordi concreti della parola amore. Ciò che si legge tra le righe, soprattutto, è l’avvertimento accorato, rivestito spesso di amara ironia, a non confondere amore e passione. Due concetti profondamente diversi, che portano a inseguire strade solo apparentemente simili. Perché la passione senza controllo può rappresentare un pericolo per gli altri – quando, ad esempio, si coniuga con la forma oppressiva del possesso o snatura il senso profondo di una missione di vita – e per sé stessi – quando si indulge a “peccati” solo apparentemente veniali, come la gola, che possono addirittura sconfinare in un tu-pertu con la Signora velata. L’amore è essenzialmente dono di noi stessi fatto agli altri (o anche a noi stessi, e quando questo capita non significa, per forza, essere dei Narcisi, se lo facciamo convinti di non essere padroni di questa terra ma partecipi di un viaggio comune). Nella raccolta l’amore prende via via la diversa effigie di anziani rimasti soli a confrontarsi con l’assenza falcidiante provocata da uno strano virus che dilaga e miete vittime tra i conoscenti amici; di madri fotografate come Pietà michelangiolesche, abbracciate a figli ormai perduti in tunnel esistenziali irraggiungibili, o raccontate nel miracolo di un risveglio impossibile, un parto metaforicamente intriso di acqua di mare e lacrime materne che riporta alla vita, oltre ogni ragionevole speranza, una figlia sospesa in uno stato di coma considerato dai medici “irreversibile”; di animali, che riescono a comprendere d’istinto il colore dell’anima di noi umani e che sanno amare di un sentimento gratuito e totale, senza ipocrisie, infingimenti e distinguo; di sacerdoti, per i quali

ogni giorno si rinnova il dubbio di una scelta (quanto di terreno può esserci nell’amore per Dio?); di medici che tramite l’amore per il proprio lavoro si fanno meraviglioso strumento di vita. Ecco, appunto, la vita. In fondo, è essa stessa, proprio lei, la quintessenza perfetta dell’amore. Ne racchiude tutti i significati, tutte le gradazioni, le infinite sfumature e anche le tante imperfezioni che la rendono perfetta a chi sa ben guardare. Anche quando non riusciamo a comprenderla fino in fondo, anche quando non siamo capaci di apprezzarla e vederla nell’amore degli altri, essa è comunque più forte di ogni nostra più marcata invalidità, fragilità, mancanza. Solitudine. Forse, allora, per rispondere all’interrogativo iniziale, l’unica vera forma cui possiamo far aderire, per intero e davvero, la sostanza dell’amore è proprio la vita. Perché nasce dal miracolo di un atto d’amore e nell’abbandono all’Amore è resa essa stessa eterna.

STEFANO GRIFONI

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Promosso e organizzato dal Centro Culturale Firenze - Europa "Mario Conti"

XXXIX Premio Firenze BANDO DI CONCORSO

Palazzo Vecchio Salone dei Cinquecento Sabato 3 dicembre 2022 I Sessione (Letteraria) ore 10,00 II Sessione (Arti Visive) ore 16,30

www.centrofirenzeuropa.it ATTENZIONE In relazione al protrarsi della situazione ex Covid19 la Cerimonia di Premiazione del XXXIX Premio Firenze di Letteratura e Arti Visive si articolerà, al fine di permettere la possibilità di intervento in presenza, nel rispetto delle disposizioni di legge, dei concorrenti Vincitori, Segnalati e Finalisti, in due sessioni: nella prima saranno consegnati i Premi e i Diplomi delle Sezioni Letterarie, con lettura delle poesie premiate; nella seconda saranno assegnati i sunnominati riconoscimenti delle Sezioni Arti Visive, con esposizione delle opere vincitrici nel corso della Cerimonia (ove dette disposizioni ne permettano l’allestimento). In entrambe le sessioni i riconoscimenti saranno consegnati dall’Ufficio di Presidenza. La Cerimonia di Premiazione sarà trasmessa in diretta streaming. Con riserva di revisione e/o di aggiornamento delle modalità di svolgimento della Cerimonia in riferimento all’evoluzione della situazione e delle collegate ulteriori disposizioni che, se del caso, saranno tempestivamente comunicate con la loro pubblicazione sul sito del Centro Culturale.

tel. +39 055 2786881/2 50123 Firenze via della Scala 31 fax +39 055 2786880 [email protected] - www.arshotels.it

Dal 26 ottobre Stagione Teatrale 2022-2023

XXXIX Premio Firenze LETTERATURA NORME DI PARTECIPAZIONE Il concorrente di ciascuna sezione dovrà far pervenire sette copie della propria opera, assieme ad un eventuale curriculum, al seguente indirizzo: Centro Culturale Firenze-Europa “Mario Conti” Piazza G. Giorgini, 8 - 50134 FIRENZE Tel. 331 2702696 (Sez. Letterarie) Unitamente all’invio delle opere dovrà essere versato, quale quota di partecipazione, l’importo di € 40,00 per una sezione di concorso. Ogni concorrente potrà partecipare ad un numero massimo di 2 sezioni: in tal caso l’importo richiesto sarà di € 60,00. Il contributo richiesto dà diritto a diventare soci del Centro Culturale per l’anno 2022. Le opere inviate non verranno restituite. Per le sezioni A-C-D potranno partecipare al concorso solo le opere edite dal 2019 al 2022. SEZIONI A CONCORSO

PREMI

A) POESIA EDITA: volume di liriche B) POESIA INEDITA: da 1 a 3 liriche a tema libero C) SAGGISTICA (STORICA/LETTERARIA) EDITA: opera di saggistica D) NARRATIVA/MEMORIALISTICA EDITA: opera di narrativa/memorialistica E) RACCONTO INEDITO: massimo di 5 cartelle dattiloscritte (ad interlinea 2)

SEZIONI A-C-D 1° PREMIO- Fiorino d’oro e assegno di € 500,00 2° PREMIO- Fiorino d’argento e assegno di € 250,00 3° PREMIO- Medaglia di bronzo SEZIONI B-E 1° PREMIO- Fiorino d’oro e assegno di € 250,00 2° PREMIO- Fiorino d’argento 3° PREMIO- Medaglia di bronzo

Tutte le opere dovranno essere in lingua taliana e inviate in cartaceo

Ai Segnalati sarà conferito un Diploma d’onore. Ai Finalisti sarà conferito il Diploma di Finalista. Tutti i premiati, i segnalati ed i finalisti saranno inseriti all’indirizzo: www.centrofirenzeuropa.it. Il Premio Speciale “Mario Conti” sarà assegnato dal Consiglio Direttivo. I Fiorini d’oro premiati nei 5 anni antecedenti la XXXIX edizione del Premio non potranno ottenere analogo riconoscimento nelle sezioni di riferimento. I giudizi espressi dalla Giuria Letteraria presieduta da Enrico Nistri e composta da Marina Alberghini, Anna Maria Baldini, Federico Berlincioni, Marino Biondi, Ruth Cardenas, Marco Cellai, Rita Funes, Anna Maria Giglio (segretaria), Pier Paolo Guidi, Maurizio Maggini, Francesca Livia Mangani Camilli, Luca Ravazzi, Adalberto Scarlino, Pierandrea Vanni, Valeria Vitti sono insindacabili e inappellabili. Per ulteriori informazioni: Segreteria Sezioni Letterarie - Tel. 331. 2702696 Posta elettronica: [email protected] Termine di consegna 15 OTTOBRE 2022

ARTI VISIVE NORME DI PARTECIPAZIONE A tema libero, aperto ad artisti italiani e stranieri, è articolato nelle sezioni di: P) PITTURA S) SCULTURA G) GRAFICA (tradizionale e digitale) F) FOTOGRAFIA (digitale ed analogica)

La partecipazione nelle 4 sezioni avviene attraverso l’immagine fotografica di un’opera. Ogni artista può partecipare ad un numero massimo di due sezioni. La foto dell’opera, in doppia copia, dovrà essere a colori, di ottima qualità, nel formato minimo di cm 13x18 e massimo di cm 20x30, con indicazione, sul retro, del nome dell’Autore, delle misure, della tecnica e del verso dell’opera. Tutte le foto delle opere a concorso saranno pubblicate nel catalogo del premio, stampato a colori, che verrà inviato ad ogni artista partecipante. Il nominativo di tutti i concorrenti e la mostra virtuale saranno inseriti all’indirizzo: www.centrofirenzeuropa.it

Le foto dovranno essere inviate al seguente indirizzo: Centro Culturale Firenze-Europa “Mario Conti” Piazza G. Giorgini, 8 - 50134 FIRENZE Tel. 3408972273 (Sez. Arti Visive) La partecipazione al concorso prevede un contributo spese di € 90,00 (€ 100,00 per residenti all’estero) e un supplemento di € 70,00 per la seconda sezione. La quota di adesione dà diritto a diventare soci del Centro Culturale per l’anno 2022. Le foto inviate e il materiale allegato non verranno restituiti. Gli originali delle opere presentate a concorso dovranno avere i seguenti requisiti: Pittura, Grafica e Fotografia - dimensione massima con cornice metri 1,20x1,20. Scultura - dimensione massima altezza metri 1 - peso massimo kg 20

Per ulteriori informazioni: Segreteria Sezioni Arti Visive - Tel. 3408972273 Posta elettronica: [email protected]

PREMIAZIONE Le opere prime classificate nelle sezioni Pittura e Scultura saranno premiate con Fiorino d’oro e assegno di € 500,00. Alle opere prime classificate nelle sezioni Grafica e Fotografia saranno assegnati Fiorino d’oro e assegno di € 250,00. Le opere seconde e terze classificate nelle quattro sezioni saranno rispettivamente premiate con Fiorino d’argento o Medaglia di bronzo. Tutte le opere sopra citate saranno esposte (qualora le disposizioni non dovessero permetterne l’allestimento in Palazzo Vecchio nel giorno della Cerimonia), unitamente ad una selezione dei lavori a concorso, individuata dalla Giuria di merito, nella Mostra Premio che si terrà a Firenze. Tutte le opere a concorso saranno inserite nella mostra virtuale della XXXIX edizione del “Premio Firenze”. L’organizzazione del Premio, pur assicurando la massima cura, declina ogni responsabilità nei confronti delle opere pervenute e/o esposte. I Fiorini d’oro premiati nei 5 anni antecedenti la XXXIX edizione del Premio non potranno ottenere analogo riconoscimento nelle sezioni di riferimento. I giudizi espressi dalla Giuria Arti Visive presieduta da Riccardo Saldarelli e composta da Giusi Celeste, Roberta Fiorini (segretaria), Carlotta Fuhs, Achille Michelizzi, Daniela Pronestì, Silvia Ranzi e Massimo Ruffilli sono insindacabili e inappellabili.

PREMIO FIRENZE GIOVANI

PREMI SPECIALI 2021

Al fine di incentivare l’attività letteraria ed artistica dei giovani, è rinnovato il PREMIO FIRENZE GIOVANI, riservato ai concorrenti under 25, che verrà attribuito dalle rispettive Giurie per le sezioni dalle stesse individuate. I giovani vincitori nei comparto letterario riceveranno riconoscimenti analoghi a quelli dei Primi Premi nelle sezioni letterarie B-E. Ai vincitori nelle sezioni arti visive saranno assegnati Fiorino d’oro, esposizione in Palazzo Vecchio (ove consentita dalle disposizioni di merito) o nella Mostra Premio sopra citata e una pagina web contenente un massimo di 10 opere degli Autori. Le quote di partecipazione riservate ai concorrenti under 25 nei comparti letterario ed arti visive sono rispettivamente individuate in € 20,00 (€ 30,00 per le doppie sezioni) ed in € 50,00 (€ 70,00 per le doppie sezioni).

GIOVANNI FALCONE, FRANCESCA MORVILLO, PAOLO BORSELLINO E LE LORO SCORTE. EROI DEL NOSTRO TEMPO Nel 30° anniversario delle stragi di Capaci e via D’Amelio saranno assegnati tra i concorrenti delle sezioni Letteraria e Arti Visive, a discrezione delle Giurie di merito, 2 Premi Speciali - Fiorino d’oro ed esposizione in Palazzo Vecchio o nella Mostra Premio - ove espressione del comparto Arti Visive - a 2 opere collegate alla tematica in oggetto. Le opere premiate saranno donate, ove sussistente la disponibilità degli Autori, all’Automobile Club Firenze e al Rotary Club Firenze Ovest, i cui Presidenti provvederanno alla consegna dei Premi.

Termine di consegna 15 OTTOBRE 2022

PREMIO FIRENZE – X X X I X E D I Z I O N E

SCHEDA DI ADESIONE – DA ALLEGARE, UNITAMENTE A FOTOCOPIA DEL VERSAMENTO, ALLE OPERE IN CONCORSO

Pagamento intestato al: Centro Culturale Firenze-Europa "Mario Conti"

Piazza Giorgini 8 - 50134 Firenze

da effettuarsi esclusivamente tramite:

NOME_____________________________________________________

 conto corrente postale n. 11567500  vaglia postale  assegno bancario non trasferibile  bonifico bancario su Banca Intesa SanPaolo

COGNOME_________________________________________________

IBAN IT87N0306902887100000004018 – BIC BCITITMM (per adesioni dall’estero)

DATA DI NASCITA__________________________________________ (obbligatoria solo per i concorrenti al Premio Firenze Giovani) VIA_______________________________________ N. _____________ CAP_______ CITTÀ_________________________ PROV.__________ TEL.________________________ CELL. ________________________ EMAIL_____________________________________________________ SEZIONE LETTERARIA – Allego sette copie dell'opera concorrente per la sezione:

 A Poesia Edita –  B Poesia Inedita –  C Saggistica Edita  D Narrativa Edita –  E Racconto Inedito SEZIONE ARTI VISIVE – Allego la foto o stampa a colori (in due copie) dell’opera, con titolo, anno di realizzazione, tecnica, dimensione, per la sezione:

 P Pittura



 S Scultura



 G Grafica



 F Fotografia

Ho inviato Euro__________________________________________________ il_______________________ La partecipazione alla XXXIX edizione del “Premio Firenze” comporta l’accettazione completa ed automatica di tutte le clausole contenute nel presente bando. Informativa e consenso ai sensi del Regolamento Privacy UE 2016/679

Il/La sottoscritto/a ___________________ nel trasmettere le proprie opere ed i propri dati acconsente al loro trattamento da parte del Centro Culturale Firenze Europa “Mario Conti” ed all’utilizzo degli stessi per invio di materiale informativo o promozionale. Il/La sottoscritto/a dichiara, inoltre, che all’atto del conferimento dei dati ha visualizzato nel sito web www.centrofirenzeuropa.it l’informativa ai sensi dell’art.13 del Regolamento, ivi compresi i diritti che, in relazione al trattamento cui acconsente, gli derivano ai sensi degli articoli dal 15 al 22 del Regolamento UE n. 2016/679. Il mancato consenso al trattamento comporta l’impossibilità di partecipare all’iniziativa. Data__________________

firma____________________________________

Firenze mostre

Skim

Fino al 26 settembre a Palazzo Medici Riccardi con la personale Genesi / L’armonia del Kaos di Barbara Santoro / foto Gino Carosella

F

ino al prossimo 26 settembre la Galleria delle Carrozze di Palazzo Medici Riccardi a Firenze ospita Genesi / L’armonia del Kaos, mostra personale di Skim, artista fiorentino legato al mondo dei graffiti e della street art. Curata dall’esperto d’arte Simone Teschioni Gallo, la mostra è organizzata e promossa dall’associazione culturale Dedalus - Giuliano Ghelli, in co-promozione con il Comune di Firenze e il Comune di Scandicci e il patrocinio della Città Metropolitana di Firenze e della Regione Toscana. A fianco delle istituzioni si colloca il prezioso contributo di Unicoop Firenze, dello Studio Skim Marco Suisola Amministrazioni Srl, della ditta Aldea Srl e di Joker Casa Serramenti, insieme a Lef Group e alla partecipazione di Euroforniture Srl e Pic Park. Francesco Forconi, in arte Skim, è nato a Firenze nel 1985 ed è cresciuto nella vicina periferia fiorentina. Fin da piccolo scopre la passione per l’arte, ammaliato soprattutto dal fenomeno artistico nato negli anni Settanta a New York: il graffitismo. Diplomatosi in Grafica pubblicitaria all’Istituto d’Arte di Porta Romana a Firenze nel 2006, si iscrive alla Scuola Internazionale di Comics, dove si diploma nel 2009 in Tecniche di animazione e cartoni animati. Attraverso una narrazione divisa in sezioni tematiche, l’esposizione, documentata da un catalogo a cura di Centro Di Edizioni, ricostruisce il percorso che quest’artista ha intrapreso sulla tela, a partire dai primis-

simi disegni, che ne hanno segnato l’esordio, fino alle opere più note che gli hanno permesso di affermarsi in tutto il mondo: dai Personaggi che rileggono in chiave moderna l’Arcimboldo agli Omaggi dedicati ai grandi maestri della pittura, ma soprattutto gli universi costellati di oggetti e segni distintivi che l’artista definisce Kaos e che provengono sia dal mondo della fantasia che dalla vita quotidiana. Un’immersione totale nel mare della creatività, in cui i colori, insieme a piccole barchette, lettere, pennelli, matite, casette, pesci e musica, proiettano in una dimensione immaginaria le figure che fuoriescono dal limite fisico dalla tela e prendono letteralmente vita arrivando a toccare il cuore di chi le osserva. L’esposizione è inoltre arricchita da due installazioni site specific, strettamente legate al mondo dei graffiti e realizzate appositamente per la Galleria delle Carrozze. La prima, uno splendido pianoforte trasformato dall’artista in opera d’arte, che può essere suonato dai visitatori, dando così spazio a piccole performance; la seconda, un muro realizzato con la tecnica dei graffiti, collocato in posizione speculare rispetto alla parete che ospita la targa in memoria delle vittime della deportazione della seconda guerra mondiale: un omaggio e allo stesso tempo uno strumento di riflessione per non dimenticare l’importanza di questo luogo ricco di storia. Tra le iniziative previste per tutta la durata della mostra, la realizzazione di due graffiti dedicati uno a Firenze, l’altro a Scandicci, e la collaborazione con Made in Sipario, cooperativa senza fini di lucro nata nel 2011 per favorire l’integrazione e l’inclusione sociale delle persone con disabilità. Nel mese di settembre sono previste inoltre visite guidate per le scuole sia di Firenze che di Scandicci.

Una panoramica della mostra

SKIM

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Ritratti d’artista

Anatoliy Fatakhov

Un affascinante linguaggio simbolico a metà tra fiabesco e onirico di Jacopo Chiostri

N

on sappiamo se Anatoliy Fatakhov pensava a Picasso quando ha realizzato la sua prima opera pittorica (un volto femminile) che al grande andaluso è senz’altro riconducibile. Si sa invece quale fu lo strumento con cui la dipinse: un pezzo di coda di topo con sopra dentifricio e succhi di barbabietola, perché altro al momento non aveva a disposizione. Nato a Tashkent, capitale dell’Uzbekistan, come molti altri russi-ebrei – epoche diverse, ma come non ricordare Mark Rotko? – Fatakhov, a 38 anni, nel 1995, emigra negli Stati Uniti. Gli inizi non sono facili, e il primo impiego, nonostante una laurea in Economia, è di addetto ad un lavaggio a secco; ci vuole una seconda laurea presso l’Institute of Allied Medical Professions per avere una professione migliore. E lavorava in ambito medico quando nel 2017 è stato accusato di frode e incarcerato. Periodo, ovviamente, difficile, ma anche, col senno di poi, periodo proficuo perché proprio in carcere Fatakhov ha scoperto la pittura. Scontata la pena, decide che la pittura sarebbe stata la sua professione e in breve inizia l’ascesa nel mondo artistico newyorkese, culminata, nel febbraio 2020, in una grande mostra a Manhattan alla Revelation Gallery; prima e dopo quella data ci sono stati importanti contatti con l’Italia, in particolare con la Toscana e Firenze. Fatakhov racconta volentieri dell’influenza culturale di Picasso sulla sua arte, anzi si diverte a ricordare le altre cose che

Tea with hussar (2021), olio su tela, cm 120x60, collezione Yuliya Savitskaya

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ANATOLIY FATAKHOV

li accomunano, come, per esempio, essersi entrambi sposati con una donna di nome Olga. Certo è che quello che dipinge è riconducibile al post-cubismo, anche se i suoi volti, nella maggior parte dei casi, ricordano le donne di Modigliani e, a differenza di Picasso, lui non scompone la figura, i suoi intenti sono diversi. La tela viene riempita di simboli a volte coerenti tra loro a volte no e di difficile identificazione. Fatakhov dipinge a olio, il suo linguaggio è di una chiarezza suprema, con un perfetto equilibrio nelle forme. Il linguaggio è fatto di colore che è steso in forme geometriche, naturali o create a hoc; l’anatomia risulta sorprendente, la reinventa ma non per questo non è credibile. Lo schema figurativo, ben organizzato, sembra invece risentire dell’urgenza dell’artista di recuperare il tempo perduto e dello sforzo di contenere un disegno che mantenga in sé una moltitudine di elementi, perché le opere sono ricche, sovrabbondanti, piene di riferimenti al suo immaginario e al bisogno di sbattere in faccia al mondo una provocazione visiva che è assieme fiaba e inquietudine, sorrette entrambe da un disegno e da una composizione sorprendenti. In Italia la prima presenza è stata alla fiorentina Galleria Immaginaria con due opere scelte dalle curatrici Yuliya & Alesia Savitskaya per la mostra internazionale Scegli; sempre con la regia di Yuliya & Alesia Savitskaya, presso la Regione Toscana prima e alla Florence Art Deposit Gallery di Firenze poi, ha partecipato ad Arte senza frontiere e Artists United; con altri 15 artisti internazionali ha illustrato l’album poetico Sinergie (disponibile presso la Florence Art Deposit). Le opere di Fatakhov sono collezionate in Russia, Usa, Israele; è stato premiato da Benny Gantz, ministro della Difesa di Israele, per il contributo dato allo sviluppo della cultura e dell’arte ebraica. Fatakhov ora vorrebbe rappresentare il mondo che si apre al futuro, si tratta solo – afferma – di scegliere quale possa essere il simbolo giusto per questo progetto al quale sta lavorando con rinnovato entusiasmo ed energia creativa.

Strange love (2020), olio su tela, cm 75x60

Curiosità storiche fiorentine A cura di Luciano e Ricciardo Artusi

Albergo Popolare

Dai primi del Novecento una struttura di accoglienza per indigenti nel quartiere di Santo Spirito di Luciano e Ricciardo Artusi

L

’Albergo Popolare è un’istituzione di solidarietà situata nel cuore del quartiere di Santo Spirito, quartiere che oggi rappresenta una continuità col passato di generazioni di artigiani tenacemente attaccati agli antichi mestieri. L’Albergo è stato realizzato in alcuni ambienti dell’ex convento del Carmine, in particolare quelli attorno al secondo chiostro risalenti alla seconda metà del Quattrocento. Furono infatti allestiti come un grande “dormitorio pubblico” che comprese, tra l’altro, una sala detta “delle capriate” e l’ex libreria del convento. Una cappella con affresco di Bernardino Poccetti firmato e datato al 1600 e la pala d’altare con la Crocifissione di artista ignoto della LʼAlbergo Popolare a Firenze, nel quartiere di Santo Spirito seconda metà del Cinquecento ne attestano ancora l’origine claustrale. Proprio questa più cise di istituire, in maniera definitiva e continuativa, la sede antica parte dell’edificio costituisce anche attualmente il dell’Albergo Popolare. Negli anni 1929 e 1930, col progetto corpo principale della struttura, da allora sempre destina- redatto dagli ingegneri Pelleschi e Giuntoli (originariamenta all’accoglienza di persone in stato d’indigenza, sia italia- te destinato alle donne) e grazie all’impegno del Comune, si ne che straniere. Un letto, un posto sicuro per trascorrere la sviluppò in tutta la sua interezza il grande complesso con notte, i servizi igienici, senza dover pagare alcunché. L’ac- 150 posti letto. Nel 1983, occorsero lavori di risanamento cesso alla grande struttura avviene da via del Leone 35 op- igienico e di ristrutturazione che furono realizzati nell’arpure da via della Chiesa 66 - 68 dove si presenta con la co di due anni su progetto degli architetti Pier Luca Curmoderna facciata novecentesca, che ancora oggi esprime, rini, Francesco La Porta e Giorgio Marchiani, che seppero in modo molto sobrio, lo stile architettonico del ventennio mantenere l’architettura rinascimentale del complesso. Dal fascista. Già nell’Ottocento si manifestò un primo accen- 2000 l’Albergo Popolare è intitolato a Fioretta Mazzei, dino a realizzare un ricovero da destinarsi all’accoglienza dei scendente da una nobile famiglia fiorentina di tradizione poveri bisognosi e dei senzatetto, ma solo nel 1905 si de- cristiana, che è stata una delle figure di rilievo della moderna storia istituzionale e religiosa della città. Anche per l’Albergo Popolare operò in maniera determinante per la rinascita della struttura, imponendosi alla ventilata chiusura di questa importante istituzione, nella quale ci ha lasciato una testiCornici Ristori Firenze monianza d’arte moderna, nella sala www.francoristori.com del dipinto, anche il maestro Luciano Via F. Gianni, 10-12-5r Guarnieri con un affresco raffiguran50134 Firenze te l’Arno e la sua valle. Luciano Artusi, a sinistra, con il figlio Ricciardo

ALBERGO POPOLARE

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Silvia Mariotti Tra fiaba e realtà

Olio su legno, cm 30x40

Sissy Art di Silvia Mariotti [email protected]

I libri del mese

Donato Nitti

La scoperta di “altri universi imprevisti” in una raccolta poetica ispirata all’amore di Erika Bresci

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uello che mi sorprende, ogni volta, / è che le stesse lettere possono dire / d’amore e di guerra, di lacrime e di gioia. // Dipende in che ordine le scrivi», suggerisce Donato Nitti in una delle prime poesie della raccolta, introducendoci così alla materia del canto. Perché l’ordine che egli segue in Altri universi imprevisti riempie senza dubbio tutte le caselle dell’amore. Una forza, questa, più potente del tempo, della storia e delle storie concretamente agite dall’uomo e dalla sua fatica. La semantica dell’amore, in realtà, è semplice: implica il ri-conoscersi, l’accettare il rischio di un viaggio che non solca distanze geografiche ma si incardina nelle profondità dell’anima passando il varco degli occhi. Propri e altrui: «Guardo il mondo con i tuoi occhi / e lo vedo fiorire… // Guarda il mondo con i miei occhi / e vedrai le azzurre infinità / che navigheremo insieme». È da qui che occorre partire, da questo mistero svelato quasi alla fine della raccolta, sussurrato piano, in due soli versi, scolpiti sulla pietra miliare che rivela la direzione dell’andare: «Nei tuoi occhi / altri universi imprevisti». Poesia ellittica, perché al lettore è sempre concesso il privilegio di inventarsi il senso che più gli è caro, o anche, semplicemente, restare in silenzio a meditare quell’assenza, quella libertà. La “poetica dello sguardo”, che attraversa secoli di poesia e di poeti, riecheggia nelle atmosfere stilnovistiche di «Ti auguro / … armonia, perché la diffondi / col semplice tuo passare, / e tutti ti ammirano», si riveste di dantesco stupore – «Una sera d’inverno / ebbi una visione, / due soli, forse stelle, / insieme, non più solitari. // I tuoi occhi» –, approda fino ai nostri tempi nel dialogo a distanza (ma non troppa) con le prospettive metaforiche proustiane – il Proust conosciutissimo de La ricerca del tempo perduto e de «Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi» ma qui anche e soprattutto l’autore di versi d’amore che attribuiscono alla donna e ai suoi occhi un potere quasi metafisico («pezzi di cielo nell’acqua / contornati dall’ombra del tiglio o della betulla») – e insieme con la concretezza sincera di un panico riverbero di quotidiano vivere, un farsi avanti delle cose di ogni giorno che nella reciprocità del sentimento diventano simboli, elementi sinonimici e metafore (in un conversare sempre aperto con Wisława Szymborska, poetessa polacca cui diverse liriche della raccolta sono esplicitamente “ispirate”). L’amore, dunque, quale “dizionario” capace di comprendere tutti i vocaboli del mondo, di declinare secondo i suoi casi anche il tempo.

Perché è l’amore a curare le ferite dell’uomo, non lo scorrere delle ore. Tutt’al più, si potrà concedere alle lancette il tocco di una circolarità perenne, un ritmare concorde (cum cordis) al rumore delle acque che spingono il poeta su rotte di «infinite possibilità», alla ricerca del senso dell’esistere, del desiderio di essere, in un «viaggio leggero, / in cerca di segni». Le parole, quelle di oggi e quelle di ieri, illuminano la via. Ce lo ricorda bene Donato Nitti, con la semplicità raffinata e coltissima di una raccolta intima e insieme, come abbiamo avuto modo di accennare, ricca di continui, fertili rimandi, allusioni, note ispirate alla voce di una musa senza tempo, che non ha mai smesso di soffiare il suo canto, oltrepassando i confini stretti di questo umano vivere.

DONATO NITTI

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Appunti di storia sociale

La previdenza sociale in Italia

Dal 1933 uno strumento a tutela di lavoratori e disabili di Doretta Boretti

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hissà se qualcuno si è mai chiesto quando è nata la previdenza in Italia e quando gli italiani avanti negli anni, non potendo più lavorare, hanno iniziato a percepire una pensione. Bisogna tornare indietro nel tempo, al 1895, quando fu emanato un Regio Decreto con le disposizioni sulle pensioni del personale statale. Ma per vedere istituita l’Assicurazione Generale Obbligatoria (AGO) per i dipendenti dell’industria e dell’agricoltura, presso la Cassa Nazionale per le Assicurazioni Sociali, bisogna arrivare al 1919; e dovremo attendere il 1933 per vedere creato l’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale (INPS). L’Istituto fissò l’età pensionabile di vecchiaia a 65 anni sia per le donne che per gli uomini. I contributi versati nelle casse dell’INPS venivano investiti in titoli di Stato, immobili e, al termine del periodo lavorativo, il lavoratore anziano riceveva il corrispettivo di quei contributi. La storia sarebbe molto lunga e complessa ma quello che c’è da chiedersi: prima del 1895 come sopravvivevano gli anziani che avevano lavorato a lungo, e gli invalidi? Gli anziani senza una rendita perso-

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LA PREVIDENZA SOCIALE

nale lavoravano fino al termine dei loro giorni oppure erano totalmente a carico dei figli; delle persone povere che non trovavano un lavoro o di quelle disabili che non potevano lavorare, se ne occupavano a volte le congregazioni caritatevoli, oppure intervenivano le opere di beneficenza pubbliche e private. Siamo nel XXI secolo e, vista la crisi occupazionale degli ultimi anni, aggravata da questi tempi di pandemia e di guerra, in contro tendenza rispetto ai tempi passati, spesso le famiglie dei pensionati si trovano ad accogliere di nuovo nelle loro abitazioni i figli quarantenni, rimasti senza lavoro o ancora in cerca di un lavoro stabile, da soli o con moglie e figli. E per gli anziani e i disabili soli e indigenti che cosa è cambiato in Italia in più di un secolo di storia civile? Fino ad oggi i dati ci dicono che con l’aumento della popolazione rispetto al secolo passato (agli inizi del Novecento erano 32.963.316, a gennaio 2022: 58.983.122), nonostante lo straordinario “progresso” raggiunto, ad oggi, in Italia, 5.600.000 persone (dati ISTAT 2021) vivono in povertà assoluta.

Premi in Toscana

7° Premio Internazionale Michelangelo Buonarroti Tutte le novità del 2022 nell’intervista a Barbara Benedetti, ideatrice e presidente dell’associazione Arte per Amore di Seravezza di Elisabetta Mereu

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on conosce certo la crisi del settimo anno il Premio Internazionale Michelangelo Buonarroti, anzi! Partito nel 2015 dal cuore della Toscana, è ormai diventato un evento culturale fra i più importanti a livello internazionale. Basta leggere sui vari social i commenti entusiastici dei partecipanti alle precedenti edizioni per capire il valore assunto da questo concorso, che per la settima volta rappresenta un’opportunità per mettere in luce e promuovere ogni espressione artistica. «E chi parteciperà dovrà quindi esprimere la creatività interpretando il concorso attraverso la propria sensibilità» afferma Barbara Benedetti, presidente dell’associazione Arte per Amore di Seravezza e ideatrice del premio, che aggiunge: «Per me chi crea arte lo può fare solo per amore, che è ciò che suscita davvero emozione in chi la ammira. La mission di ogni mia attività è porre al centro il cuore e l’anima della gente, facendo sentire ogni persona importante e speciale». E in questa singolare empatia sta sicuramente la chiave del successo di questo premio: la grande umanità dell’imprenditrice e manager di eventi la accomuna senza dubbio all’autore del David e della Pietà conosciuto in tutto il mondo, dalle cui opere traspare sempre questa stessa caratteristica. Non a caso si è ispirata a lui per il nome del concorso. «Lo considero il genio assoluto per l’energia emotiva, il furore creativo e il talento poliedrico in ogni ambito artistico, infatti non fu soltanto scultore, ma anche pitto-

re, architetto e poeta. E poi, non dimentichiamolo, veniva a scegliere il marmo proprio qui, sulle Alpi Apuane, le mie montagne – aggiunge sorridendo–, quindi non potevo pensare ad un nome più adatto per un premio di qualità». In merito invece alle novità dell’edizione 2022 precisa: «Abbiamo aggiunto alle sezioni Barbara Benedetti, presidente già esistenti nel comparto Ma- dellʼassociazione Arte per Amore, terie Letterarie la videopoesia promotrice del Premio Buonarroti (da realizzare anche con l’ausilio di un videomaker ndr) e la silloge inedita, che quindi con poesia edita, poesia singola, racconto e narrativa diventano sei. Poi c’è la sezione Arti Visive, cioè pittura, scultura, fotografia e digital art, tutte a tema libero. Inoltre, fra le news di questa settima edizione c’è l’assegnazione di diversi premi speciali: due corsi certificati di Scrittura Creativa online e un bellissimo tablet con attivazione per il Web, assegnati dalla mia associazione, poi il premio della nostra Pro Loco per i dodici scatti più significativi sul territorio apuo-versiliese scelti per il calendario 2023, la cui vendita per beneficenza sarà destinata all’iniziativa Pasti caldi gratuiti per le famiglie in difficoltà. Chi vincerà nella sezione Pittura avrà diritto all’organizzazione e cura di una personale di quindici giorni presso la Galleria Seravezziana e alla realizzazione grafica del catalogo con testo critico. Restano invece invariate le modalità di partecipazione aperta sia a professionisti che dilettanti, studenti o artisti emergenti, senza limiti di età e di qualsiasi nazionalità, residenti in Italia o all’estero, nella Repubblica di San Marino e nella Città del Vaticano. Ricordo – conclude Benedetti – che la scadenza è il 30 settembre per le Materie Letterarie e il 10 ottobre per le Arti Visive e poiché ci sono molti altri dettagli da conoscere invito tutti a consultare il sito www.premiomichelangelobuonarroti.org e relativi canali social». +39 371.1983645 [email protected] Inquadra e vai al regolamento

7° PREMIO INTERNAZIONALE MICHELANGELO BUONARROTI

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Movimento Life Beyond Tourism Travel To Dialogue

Il mondo si prepara ad incontrarsi e dialogare a Firenze The World in Florence 2022 e il programma dei Luoghi Parlanti di Stefania Macrì

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stato da poco pubblicato il programma preliminare della seconda edizione del Festival Internazionale della Diversità delle Espressioni Culturali del Mondo The World in Florence che si svolgerà a Firenze presso il refettorio di Santa Croce nei giorni 16-18 novembre 2022 (in formato “ibrido”, online e in presenza). Il Festival The World in Florence si compone in primo luogo di una mostra di pannelli didattici illustrativi che rappresentano, nelle loro peculiari e variegate forme, le espressioni culturali tipiche dei territori di riferimento; dall’architettura agli itinerari, dalle tradizioni popolari ai costumi, dalla gastronomia ai prodotti artigianali e così via. In questo modo il Festival offrirà ai visitatori la possibilità di avvicinarsi a luoghi e culture diverse. Assieme alla mostra e alla presentazione dei poster fatta dagli autori (in presenza o online, in lingua inglese), quest’anno il programma registra la presenza straordinaria di esperti del patrimonio mondiale, legati ad organizzazioni prestigiose quali UNESCO, ICOMOS e ICCROM e altre ancora. Oltre ad esporre le loro importanti esperienze (1718 novembre 20222), il giorno 16 novembre gli esperti guideranno un programma specifico di educational games per studenti delle scuole superiori fiorentine sui temi del patrimonio culturale per la pace e l’ambiente per il quale vi è un numero programmato di partecipanti con registrazione.

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La sezione Learning Journey, places and cultures in transition quindi sarà ancora più ricca e interessante per i partecipanti che potranno seguire le seguenti tre sessioni: • Heritage Challenges for the Future • Heritage for the Planet • Heritage for Peace Per visionare il programma preliminare è sufficiente collegarsi al sito ufficiale del Festival www.theworldinflorence.com. The World in Florence rappresenta il momento di incontro e dialogo tra i Luoghi Parlanti® e i territori del mondo che hanno aderito al programma, avviatosi nel 2021 e con durata quinquennale (2021-2025). Il Festival nel suo programma quinquennale consente di visitare virtualmente il mondo attraverso gli occhi dei locali e acquisire uno sguardo privilegiato sul patrimonio tangibile e intangibile internazionale. Il progetto mira a: • Incoraggiare l’interpretazione e la comunicazione delle espressioni culturali locali tipiche di un sito di destinazione; • Promuovere la consapevolezza culturale delle comunità locali; • Migliorare l’attrattiva internazionale dei siti; • Cambiare il concetto di turismo in ospitalità per inclusività, solidarietà e dialogo interculturale. La partecipazione al Festival per presentare il proprio territorio attraverso una narrazione culturale è ancora possibile scrivendo a [email protected]. Tutte le informazioni relative a The World in Florence 2022 sono disponibili sul sito www.theworldinflorence.com

MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE

Strettamente legato al programma del Festival The World in Florence vi è quello dei Luoghi Parlanti®, un dispositivo narrativo che racconta un territorio in maniera semplice e innovativa attraverso le voci di chi lo abita. Utilizza immagini, parole, video e testimonianze indigene per creare una connessione empatica con le comunità locali, per ispirare una modalità di viaggio rispettosa e sostenibile, alla scoperta di esperienze uniche e destinazioni pressoché sconosciute ai circuiti tradizionali.

Si pone come un’esperienza itinerante che invita alla scoperta e interviene sul territorio per creare una connessione più

profonda, una conoscenza autentica e un legame diretto con la comunità locale. Luoghi Parlanti® è Geniale perché invita le comunità territoriali a costruire il proprio universo narrativi coinvolgendo i locals nel racconto della propria essenza e della propria identità. Restituisce la meraviglia del viaggio, l’incanto che sorprende nell’hic et nunc di chi si muove alla scoperta di una località. Contribuisce al recupero del Genius Loci dei luoghi, di quello spirito del luogo che contiene le fondamenta della cultura, delle tradizioni e della storia che hanno plasmato nel tempo i territori. Grazie alla sua versatilità, Luoghi Parlanti® risponde alle esigenze del viaggiatore in modo duplice: • da casa grazie al sito www.luoghiparlanti.com che consente di costruire il proprio itinerario di viaggio su misura, in base ai propri gusti ed esigenze, prima ancora della partenza collegando punti di interesse; • in loco con un semplice tap sul proprio device per essere guidato alla scoperta del territorio nella sua vera essenza. Avere più canali di fruizione significa aumentare le possibilità di visibilità per il territorio a livello locale, nazionale e internazionale. Per maggiori informazioni www.luoghiparlanti.com

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l Movimento Life Beyond Tourism Travel to Dialogue srl è una società benefit. Nasce e si sviluppa seguendo i princìpi di Life Beyond Tourism®, ideati dalla Fondazione Romualdo Del Bianco al fine di promuovere e comunicare il patrimonio naturale e culturale dei vari territori insieme alle espressioni culturali, il loro saper fare e le conoscenze tradizionali che custodiscono. Offre progetti e soluzioni di visibilità e rafforzamento delle identità locali dei vari luoghi, crea eventi basati sul dialogo tra il territorio e i suoi visitatori grazie a una rete di relazioni internazionali di alto prestigio.

Per info: + 39 055 290730 [email protected] www.lifebeyondtourism.org

MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE

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Innovazione tecnologica e sostenibilità

Bike Alike

Il dispositivo semplice, sostenibile e green che rivoluziona il futuro della bicicletta di Aldo Fittante

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emplice, sostenibile, green: queste le parole chiave per descrivere Bike Alike, una rivoluzionaria invenzione costituita da un dispositivo applicabile a biciclette che consente di trasformare una normale bicicletta di qualsiasi età, taglia e forma, in una bicicletta elettrica. Bike Alike nasce a Firenze, città simbolo dell’innovazione e del Made in Italy, in un contesto in cui la mobilità sostenibile è diventata un tema sempre più centrale per quanto riguarda il trasporto sia in città italiane che estere. Nello scenario che va delineandosi, infatti, quello della sostenibilità dei trasporti rappresenta uno dei settori fondamentali per innescare un processo di riconversione ecologica dell’economia, che ormai appare sempre più urgente; basti pensare che, solo in Italia, il settore dei trasporti è responsabile del 49% delle emissioni inquinanti, e la maggior parte delle polveri disperse nell’atmosfera derivano proprio dal traffico stradale. Per questo e per altre

In questa e nelle altre foto il dispositivo Bike Alike

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BIKE ALIKE

ottime ragioni, l’adozione di un sistema di mobilità a basso impatto ambientale, specie in ambito urbano, è considerata una priorità per il miglioramento della qualità della vita dei cittadini e per la salvaguardia del pianeta. Bike Alike sfrutta al meglio questa necessità con un oggetto leggerissimo e molto pratico che permette di rendere di nuovo moderna qualunque bicicletta dimenticata in garage. Il dispositivo, infatti, dispone di un attacco rapido e universale, che ne consente l’installazione e la rimozione in pochi attimi. In questo modo ogniqualvolta si toglie il dispositivo dal veicolo, si toglie l’intero dispositivo completo di tutte le sue funzioni, lasciando soltanto una parte dell’attacco rapido e scongiurando così i furti, purtroppo molto frequenti quando si tratta di biciclette. Il funzionamento, poi, non implica chissà quali conoscenze meccaniche o tecnologiche, ed è perfetto per tutte le età: si monta sulla ruota anteriore, il motore si attiva e disattiva gra-

zie a un piccolo telecomando wireless per accelerazione e frenata assistita da montare sul manubrio e le dimensioni e il peso consentono di metterlo nello zaino o in borsa e portarlo con sé in ufficio o a casa. Oltre a questo, un’autonomia fino a 15 km e una batteria in dotazione a ricarica veloce, che permette al dispositivo di ricaricarsi sia da spento ed in posizione di inerzia sia in movimento, mediante un piccolo pannello fotovoltaico da applicare alla bicicletta o allo zaino previsto in dotazione. Insomma, Bike Alike promette di rivoluzionare il mondo delle bici, trasformando qualunque due ruote “vecchio stile” in una e-bike a pedalata assistita. Il tutto a prezzi piuttosto contenuti, in maniera facilmente reversibile e cogliendo tutti i vantaggi derivanti dall’adozione di forme di mobilità alternative a quelle tradizionali, rilevanti da tutti i punti di vista: economico, sociale ed ecologico.

Il marchio Bike Alike è presente nel portfolio brevetti della Società Columbus Innovation Technology S. r. l., con sede a Firenze in via Michele di Lando, 6. Per informazioni: + 39 055 2337710

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vvocato, docente di Diritto della Proprietà Industriale all’Università degli Studi di Firenze e giornalista pubblicista iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, Aldo Fittante è promotore di molti convegni e autore di numerose pubblicazioni scientifiche, articoli in riviste prestigiose, saggi e monografie in materia di Diritto Industriale, d’Autore e Diritto dell’Innovazione.

www.studiolegalefittante.it

BIKE ALIKE

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Occhio critico A cura di Daniela Pronestì

Maarika Maury Dal caos della realtà interiore un ordine nuovo attraverso il colore di Daniela Pronestì

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ella pittura astratta la mancanza di elementi riconducibili alla realtà oggettiva espone l’artista ad un azzardo e gli offre però allo stesso tempo una possibilità. Un azzardo perché la mente vaga in un vuoto senza appigli nel quale può essere facile perdere l’orientamento. Un’opportunità perché superare la soglia del visibile significa affrancarsi dalle limitazioni della forma per immergersi in una dimensione in cui il “sentire” conta più del “vedere”. In questo passaggio dalla materialità del mondo fuori all’immaterialità del mondo dentro alcune certezze si perdono, i punti fermi del già conosciuto vacillano, e nuovi scenari si aprono allo sguardo che scruta se stesso dall’interno. L’astrazione cromatica di Maarika Maury trasforma questo salto oltre il contingente in un incontro con il mistero, con tutto ciò che, essendo privo di corpo e sostanza, pone l’artista di fronte alla difficoltà di traslare l’invisibile nella sfera del visibile. A questa sfida la pittrice finlandese

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MAARIKA MAURY

risponde elaborando un linguaggio in cui il colore compensa la mancanza di un referente concreto diventando a sua volta “carne” e “sangue”, materia che palpita, respira e vive nello spazio bianco della tela, procedendo dal caos atemporale della realtà interiore ad un ordine nuovo scandito dal tempo. Sensazioni, memorie, energie s’incarnano nel colore, invadono la superficie, confliggono l’una con l’altra oppure si accordano in raffinate armonie, con un’unica voce a guidarle, una forza trainante e irresistibile: la passione amorosa. Di questo sentimento si nutre l’approccio di Maarika Maury alla pittura, che coniuga il bisogno di avere una relazione quasi fisica con il colore – il quale in effetti non viene steso ma applicato sulla tela procedendo per strati e densità – al rapimento estatico di un amore che se da un lato “esplode” incontrollato, dall’altro esalta e riscatta lo spirito da ogni vincolo materiale. Quella che ad una prima valutazione potrebbe sembrare una gestua-

lità del tutto istintiva e affidata al caso nasconde invece un preciso criterio compositivo nel modo di applicare il colore, con movimenti dal basso verso l’alto e viceversa, tinte sature, contrappunti di toni caldi e toni freddi, colature, macchie, sfrangiature. L’osservatore ha così l’impressione di poter penetrare all’interno della pittura, di calarsi negli impasti cromatici e qui riconoscere, tra gli azzurri, i viola e i rossi, quel che resta di un paesaggio marino, di un frammento di cielo, di un tramonto, della natura vista e decantata nella sintesi astratta del colore. In certi quadri la presenza dell’oro pare proprio voler sublimare questa tensione verso l’immateriale, l’aniconico, lo spirituale, verso la capacità della pittura di rendere percettibile ciò che in se stesso è vago, indeterminato, incorporeo. Ecco allora che amore, passione e gioia – parole ricorrenti nei titoli di queste opere – non sono più soltanto astrazioni ma presenze che abitano concretamente lo spazio del dipinto, aprendo così un varco nella realtà e nel tempo.

Eventi in Toscana

Effimero

Al Centro Espositivo Culturale San Sebastiano una mostra a quattro mani per denunciare il disagio giovanile di Annamaria Isola

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ffimero è il titolo della mostra i cui protagonisti, il pittore Marco Campostrini e la giornalista Alessandra Bruscagli, hanno lavorato a quattro mani per affrontare un tema tanto inusitato quanto attuale. Sia i dipinti di Campostrini che le liriche della Bruscagli che li accompagnano, raccontano infatti il disagio giovanile caratteristico del nostro tempo. Abbiamo chiesto ai due autori il perché di questa scelta: «È una passerella dedicata ai giovani apparentemente vestiti di gioia e di colori, ma esitanti e fragili nei sentimenti che il più delle volte non sanno esprimere, non riescono a condividere. Abbiamo voluto mettere l’accento su questo momento storico così difficile per tutti ma per i nostri ragazzi in particolare solo per far riflettere educatori, famiglie e amici su queste problematiche. Il nostro intento è quello di sottolineare dei fatti, non vogliamo insegnare niente a nessuno perché non ne saremmo in grado e non è nostro compito». I dipinti di Marco Campostrini mettono allegria: volti sorridenti, tanti colori, vestiti sgargianti, giochi e gioventù. Ciononostante è facile avvertire in queste figure un timore che serpeggia nel profondo delle loro anime, una malinconia la-

tente. Le liriche di Alessandra Bruscagli, quasi tutte scritte in prima persona, non dimenticano di dare un senso di cambiamento, di miglioramento, di fiducia nel futuro. «Abbiamo intitolato l’iniziativa Effimero – proseguono i due autori – perché tutto è effimero, anche la vita, e quindi temporaneo, transitorio, persino i momenti difficili che, col tempo, si rivelano anch’essi provvisori e fugaci. Occorre coltivare la speranza, la voglia di cambiare, di dare una svolta alla propria esistenza e chiedere aiuto senza esitazioni. È questo che noi vogliamo dire con forza: il sole sorge ogni giorno e ci illumina! Aggiungiamo inoltre che Effimero è una mostra che non si può raccontare a parole, va vista da vicino, bisogna soffermarsi quadro dopo quadro e leggere la poesia corrispondente». L’evento si terrà il prossimo 10 settembre e fino al 25 dello stesso mese presso il Centro Espositivo Culturale San Sebastiano a Sesto Fiorentino, in piazza della Chiesa, a due passi dall’antica pieve di San Martino. Per l’inaugurazione è prevista la lettura di alcune liriche interpretate dall’attore Alessandro Calonaci. Orari di visita: sabato ore 10/12 e 16.30/19; domenica ore 10/12; dal lunedì al venerdì ore 16,30/19.

Diversa prospettiva

Unʼalba che tarda

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EFFIMERO

Mostre in Toscana

Libuse Babakova Protagonista di una personale alla Galleria Lazzaro di Forte dei Marmi di Jacopo Chiostri

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cavallo di ferragosto, Libuse Babakova, artista amica e socia di Toscana Cultura, ha ricevuto una consacrazione di tutto rispetto in quella Forte dei Marmi che oggi punta nuovamente sull’attività di promozione culturale che sembrava gli fosse stata definitivamente “scippata” dalla vicina Pietrasanta, la cosiddetta “Atene d’Italia” che si è riempita di gallerie ed appuntamenti d’arte. La Babakova ha esposto nella Galleria Lazzaro in quella via Pascoli, nota anche per le famose “marguttiane”, dove i vecchi frequentatori del “Forte” ricordano, seduta la figura, anche questa storica, proprio di Walter Lazzaro, il pittore del “silenzio” che lì aveva il suo atelier. Tutto ebbe inizio, vale la pena di ricordarlo, con Carlo Carrà, che considerava Forte dei Marmi la sua seconda casa e che nel 1962 fece sentire la sua voce autorevole per ribadire che l’arte deve stare all’aperto, in mezzo alla gente. Vennero quindi le “marguttiane” e gli incontri del “Quarto Platano”; poi “Forte” perse un po’ di smalto artistico, quello che oggi si sta recuperando. Nella Galleria Lazzaro, affollata di villeggianti e appassionati, la Babakova ha esposto opere recenti e altre di più vecchia data. In ogni caso si è potuto cogliere la sua consolidata maturità artistica e la coerenza del linguaggio, evidente nel confronto tra opere di epoche diverse. È un discorso, quello della Babakova, affinatosi in una continua ricerca e sperimentazione; lei produce relativamente poco ed è forse questo che fa sì che ogni singolo pezzo abbia una sua marcata personalità e, sia pure nell’uniformità del linguaggio, il discorso appaia sempre diverso. La Babakova traduce i suoi appunti visivi in forme che compongono un alveare, ed è lì che vengono conservati (per poi produrre un dolcissimo miele) ricordi e suggestioni. La sua arte si esalta nella ricerca di un equilibrio per il suo personalissimo alfabeto col quale traspone il reale in una dimensione

265 - Frammenti (2018), acrilico su metacrilato, cm 50x50

in cui convivono incanto e nostalgia. Le soluzioni geometrico - spaziali sono state lette come uno spartito musicale, questo anche in ragione della sua cultura – la Babakova si è laureata in Storia e Musicologia all’Università Purkyne di Brno, sua città natale – e, in effetti, l’armonia e la dolcezza del “suono” che sembra sgorgare dalla tela è la prima nota che colpisce l’osservatore; un’armonia estre- Libuse Babakova allʼinaugurazione della ma, dettagliatissima ma mostra con i giornalisti Fabrizio Borghini non ossessiva, anzi diste- e Jacopo Chiostri sa e leggera. E in questo mondo per noi così inesplorato l’occhio che sa e che vuole vedere riconosce quello che è stato il primo humus dell’artista: il paesaggio toscano, l’ordinatissimo, confortante, luminoso paesaggio toscano, con le sue colline fertili, i filari degli alberi da frutto o dei cipressi, poi l’acqua, il vento, lo scorrere lento, a volte rude, del tempo e i cieli di certe notti quando ti sembra di poter allungare una mano e impadronirti di una stella. Si ha l’impressione che il lavoro della Babakova consista nel prendere in mano una matassa aggrovigliata e pazientemente sbrogliarla, distenderla, creare dal disordine un nuovo ordine possibile e a ciascun filo attribuire un ruolo, una posizione e un senso: questo in primo piano, questo a fare da sfondo, questo a guidare lo sguardo, questo a esaltare la coerenza e la simmetria coloristica oppure, all’opposto, a provocare un contraltare visivo. È inevitabile pensare che in tutto ciò vi sia uno studio che l’artista compie in primis su se stessa, per decifrare, mettendo a nudo sulla tela, filtrato con il potente setaccio dell’arte, il mistero della creazione e tentare una, forse utopica, ricostruzione dell’universo mondo.

266 - Frammenti (2018), acrilico su metacrilato, cm 50x50

LIBUSE BABAKOVA

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Vita Ervin Attila Kassai

[email protected] Arte&Pace

Ritratti d’artista

Vita Ervin Attila Kassai

Pittore intimista in dialogo con la natura di Jacopo Chiostri

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bbiamo conosciuto Vita Ervin Attila Kassai in occasione della mostra di arte contemporanea che si è tenuta a inizio luglio allo Spazio Espositivo San Marco a Firenze. In quell’occasione Kassai, pittore di origine ungherese da tempo residente in Maremma, ha presentato delle grandi tele aventi come soggetto delle marine, nessuna figura, solo una distesa di acqua a perdita d’occhio, un mare corrucciato, inquieto, con la linea dell’orizzonte netta che taglia il dipinto e appare come il confine con un oltre, di cui si intuisce la presenza, vagamente inquietante o, quantomeno, misteriosa. Pittura, questa, con grande forza evocativa. Oggi, invece, per le pagine de La Toscana Nuova, Kassai ha scelto di proporre, insieme a una di quelle marine, dei volti. L’intenzione di questa serie, spiega, è di rappresentare degli stati d’animo e, in effetti, i dipinti offrono una lettura a carattere psicologico che li caratterizza in maniera evidente e dà il senso all’opera. Va detto, in ogni caso, che non c’è grande differenza tra i soggetti, marine e volti, perché entrambi diventano, sotto il tocco sapiente di questo artista, una simbolica esplicitazione di come sia le cose della natura che gli umani impattino e reagiscano a quell’imponderabile che è il trascorrere del tempo e il suo continuo, ininterrotto mutare e richiedere attenzione. Al centro della poetica di Kassai, e della sua esistenza (giacché arte e modi di vita in lui sono un tutt’uno), c’è la fusione con la natura che, in pittura, viene espressa metaforicamente anche con il fluire inarrestabile delle onde che assumono un significato, profondo, di vita e di morte, di nascere e di finire. Vita Ervin Attila Kassai nasce a Budapest alla fine degli anni Cinquanta, nel 1965 si trasferisce in Germania; dopo aver frequentato le scuole medie, impara il mestiere di falegname e studia

architettura presso un istituto tecnico. Il passaggio successivo è stato il trasferimento in Maremma dove ora possiede un proprio atelier e si dedica alla pittura, dipingendo soprattutto en plein air. «Il mio lavoro – spiega – consiste nel creare arte». Poi aggiunge, a conferma di quanto abbiamo detto: «Dipingo stati d’animo, le espressioni dei miei volti possono raffigurare forza oppure paura, scetticismo…». È pittura, la sua, intimista, che racchiude nello spazio, tutto sommato limitato di un volto, mille pensieri, mille riflessioni e, in questo senso, è pittura che si fa essenziale, esente da qualsivoglia elemento scenico che possa apparire superfluo ed ininfluente per la narrazione. Lo scopo, come detto, è uno solo: rintracciare nell’intensità dell’espressione (intendendo per espressione sia quella del soggetto che dell’autore) un racconto completo di quelli che sono i tormenti, lo stupore, la perplessità di soggetti che diventato icone universali. Nel segno, incisivo, modulato, armonico, si concretizza il lirismo di Kassai, le linee con il deciso supporto coloristico compongono complessi arabeschi che si amalgamano con macchie di colore. Poi gli occhi, le linee, sinuose ma affatto rilassate, delle labbra, sono i dati salienti della caratterizzazione psicologica dei soggetti ritratti, le tracce dei ricordi, dei sogni infranti, delle speranze, dei progetti, delle consapevolezze che costituiscono e animano la vita di ciascuno di noi. Le pennellate di colore sembrano voler proteggere i soggetti, compongono diligentemente, con sapienza tecnica, il quadro d’assieme che pare formarsi sotto i nostri occhi. Probabilmente assolvono anche il compito di dirci che l’autore preferisce non giungere a conclusioni, non dare giudizi; in questo senso c’è da parte di Kassai una traduzione oggettiva che non è scevra del suo personale sentire, ma avverte l’obbligo di non farsi invasiva o pedante. Non conosciamo a sufficienza Kassai per affermare che sulla tela lui esorcizzi le sue inquietudini, è possibile. È invece certo che dipinge la vita, ed è questa la modalità più autentica per, di contro, dare vita alla pittura. Kassai ha al suo attivo diverse mostre in importanti gallerie in Germania; nel 2018 ha esposto a Bolgheri e a Firenze, e nel 2022, oltre che allo Spazio Espositivo San Marco, al Castello Ginori a Querceto.

VITA ERVIN ATTILA KASSAI

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Maestri del Novecento

Tamara de Lempicka

I misteri italiani della regina dellʼArt Déco di Margherita Blonska Ciardi

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amara de Lempicka è stata non solo una delle artiste più importanti delle avanguardie del Novecento ma anche una personalità carismatica capace di influenzare le tendenze della moda e dello stile nella società parigina. Questi valori, che oggi sembrano così superficiali, erano invece rivoluzionari all’epoca perché erano d’esempio a tante donne per far capire loro che nulla è impossibile e che anche una donna, se determinata, riesce a raggiungere la fama. Tamara, vera anticonformista, è stata una delle prime donne artiste che ha sfidato con successo il mondo maschile sia nel campo dell’arte che nel costume e nello stile di vita. Non è stata soltanto la precorritrice della moda parigina di ieri e un idolo al quale ispirarsi, ma ancora oggi tanti personaggi dello spettacolo prendono spunto dai suoi quadri per conquistare il pubblico. Alcu- Studio Ad-Art, Tamara de Lempicka con cappello rose Descat e abito Marcel Rochas (1935) ne sue opere come Andromeda, Ragazza con il capello e dei ritratti maschili appaiono nei video di Madonna era nata a Varsavia (all’epoca nel Principato di Varsavia e nelle campagne pubblicitarie di Dolce e Gabbana. Diver- dato che la Polonia era divisa in tre parti inglobate da Gersi costumi di scena e make-up usati sia da Madonna (la mania, Russia e Austria-Ungheria). Il secondo mistero è lequale fra altro è un’appassionata collezionista dei suoi gato al nome d’arte con il quale la conosciamo, de quadri) che da Lady Gaga sembrano usciti dalle sue tele Lempicka, che Tamara ha acquisito sposando l’unico vero più famose. I volti delle donne da lei ritratte con occhi amore della sua vita, il promettente avvocato Tadeusz grandi e devoti sono allo stesso tempo seducenti e glacia- Lempicki. Rifugiatasi a Parigi per scappare dalla rivoluzioli, angelici e demoniaci. Intorno al suo personaggio sono ne russa e mettere in salvo se stessa e la sua famiglia, nate tante leggende e sono stati raccontati diversi scanda- l’artista aggiunge al cognome del marito la particella “de” li: Tamara infatti amava far parlare di sé, lasciando tante per sottolineare la sua provenienza nobile e seguire la mocose nel dubbio e vivendo sopra le righe. Le piaceva avvol- da dei salotti francesi. Fanno sempre più scalpore recenti gere la sua vita e le sue opere in una nube di mistero, spes- scoperte legate ai viaggi di studio e di lavoro che Tamara so non rivelando tutto di se stessa. Il primo mistero è ha fatto in Italia fin dalla tenera età per trascorrere le vaquello legato al suo vero nome e alla data di nascita, visto canze con la nonna materna Clementina, grazie alla quale che Tamara in realtà si chiamava Maria Rosalia Gorska ed si è appassionata d’arte. Anche durante il suo percorso formativo prima alla scuola di Maurice Denis e poi di Andrè Lhote, veniva spesso a Firenze per approfondire gli studi di disegno. La sua prima mostra personale, con trenta dipinti e otto disegni, viene inaugurata il 28 novembre del 1925 proprio in Italia, a Milano, alla galleria Bottega di Poesia. In questa occasione conosce Gabriele D’Annunzio che fin da subito la desidera follemente. Pur essendosi già affermata a Parigi, in Italia Tamara era allora ancora sconosciuta. Abile manager di se stessa, capisce subito che eseguire un ritratto del “vate” può servirle per rendere noto il suo nome nel bel paese. Dal canto suo D’Annunzio ha avuto molte muse: le attrici Eleonora Duse e Cécile Sorel, la ballerina Ida Rubinstein, la pittriMyrto (1929), opera rubata a Parigi nel 1943 da un generale nazista

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TAMARA DE LEMPICKA

ce Romaine Brooks, la marchesa Casati. Facile quindi immaginare che anche l’affascinante giovane artista polacca di nobile provenienza abbia suscitato in lui un vivo interesse. Pur essendo allora ormai anziano e non più affascinante, il poeta si lancia così in una corte spietata. Entrambi puntano a conseguire un proprio obiettivo: Tamara la fama in Italia, D’Annunzio un’altra donna da aggiungere alla sua collezione. Per questo motivo, invita la pittrice al Vittoriale dopo averle commissionato il suo ritratto. L’arrivo di Tamara viene accompagnato da alcune cannonate a salve nel parco del Vittoriale, in omaggio a lei, alla sua arte e alla Polonia. Il poeta stesso si reca ad accoglierla all’entrata in groppa ad un cavallo bianco. Secondo la raccolta delle testimonianze della governante del poeta edite da Franco Maria Ricci in Tamara De Lempicka (Franco Maria Ricci Editore, Parma, 1977), la loro frequentazione è stata un misto di seduzione, gioco e scambio intellettuale ma anche di furibondi insulti. In seguito al rifiuto di Tamara di concedersi al celebre poeta durante il suo soggiorno al Vittoriale e la sua successiva fuga notturna, il ritratto non viene mai realizzato. A questo punto, la pittrice definisce il poeta “vecchio nano in uniforme”, mentre quest’ultimo parla di lei come della “donna d’oro”. I due fanno pace dopo alcune settimane e D’Annunzio, volendo farsi perdona-

re per le sue avance troppo esplicite, regala a Tamara un anello di topazio accompagnato da una dedica poetica. Fatto curioso è che Tamara porta ad dito questo anello per il resto della sua vita, considerandolo un talismano portafortuna. La corrispondenza tra i due personaggi continua per diversi anni grazie alla reciproca stima sul piano intellettuale. Tamara aveva conosciuto D’Annunzio grazie a Filippo Tommaso Marinetti, suo amico incontrato a Parigi e celebre fondatore del movimento futurista. I due si conoscono nel 1924 frequentando gli ambienti legati alle avanguardie artistiche dove avvenivano spesso accese discussioni sul ruolo futuro dell’arte e sulla necessità di un cambiamento. Al termine di uno di questi incontri, Tamara e Marinetti decidono di dare fuoco al Louvre. Il colpo fallisce miseramente e finiscono entrambi al commissariato, dove vanno a ritirare la macchina che Tamara aveva parcheggiato in sosta vietata. La prima personale dell’artista a Milano è organizzata proprio da Marinetti che la presenta alla galleria Bottega di Poesia. Volendo far esibire anche a Firenze la compagnia del Nuovo Teatro Futurista, Marinetti decide di coinvolgere nella preparazione della scenografia la sua amica polacca con la quale ha frequenti contatti, ma lo spettacolo non viene mai realizzato. Nella corrispondenza tra Tamara e D’Annunzio si legge: «Caro

Ritratto del marchese Sommi (1925), olio, coll. privata, Tamara Art

Ragazza in verde (1930-1931), olio su compensato, cm 61,5x45,5, Centre

Heritage, Museum Masters International, New York

Pompidou, Parigi

TAMARA DE LEMPICKA

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Nudo seduto (1925), olio: il misterioso

Particolare del volto

dipinto ritrovato in una villa fiorentina

maestro e amico, eccomi a Firenze! Perché mai qui? Per lavorare, studiare i cartoni del Pontormo, purificarmi al contatto con la grande arte italiana, respirare l’atmosfera di questa incantevole città». Si tratta quindi di una conferma del fatto che la pittrice ha soggiornato per un periodo più lungo a Firenze nel 1925. In tante sue tele si ritrovano spunti presi dalle opere di maestri del Rinascimento e del Manierismo italiano. Recentemente la televisione polacca sta realizzando un documentario dedicato alla vita di Tamara nel quale una parte importante riguarda proprio il suo legame con l’arte italiana, facendo emergere alcuni segreti e particolari dei quali finora si è parlato poco. L’equipe dei tecnici sta ripercorrendo le tappe dei tanti spostamenti dell’artista nel corso della sua vita burrascosa, a partire da Varsavia e San Pietroburgo, passando poi ai contatti con l’Italia e con Parigi e arrivando quindi negli Stati Uniti e in Messico. Senz’altro interessante è il ritrovamento, avvenuto ormai quarant’anni fa, di una tela di grandi dimensioni raffigurante un nudo di donna seduto. La

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TAMARA DE LEMPICKA

tela, rimasta arrotolata per decenni e solo successivamente aperta, è stata acquistata proprio a Firenze, insieme ad alcuni oggetti d’antiquariato, da un noto gallerista in seguito allo svuotamento di una villa fiorentina messa in vendita. Come il dipinto sia arrivato nella villa è un altro dei misteri legati alla figura di Tamara. Visto il grande formato dell’opera e il fatto che non sia ultimata mancando rifiniture e firma, si può ipotizzare che fosse un dipinto per la scenografia di Marinetti oppure di un regalo per l’ospitalità ricevuta. Sicuramente non si tratta di una copia dato che a quell’epoca Tamara non era ancora conosciuta in Italia e faceva di tutto per esserlo cercando invano di eseguire il ritratto di Gabriele D’Annunzio. Attualmente gli storici stanno raccogliendo documenti e testimonianze riguardanti questa tela che presto verranno pubblicati in occasione di una mostra dedicata agli artisti degli anni Venti del Novecento. Sarà un modo per rivelare diversi enigmi legati alla vita e alla pittura di Tamara de Lempicka, artista che ancora oggi continua a sorprenderci.

Firenze mostre

Varren

Le opere dell’autodidatta “sapiente” in mostra allo Spazio Espositivo San Marco dal 10 al 20 settembre di Mario Bizzoccoli

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onoscere Varren è una scoperta cosmica; egli proviene dalla terra, quella verso cui bisogna inchinarsi, non quella dei pastori arcadi. Inizia giovanissimo a sporcarsi le mani in tanti lavori pratici: è carpentiere, falegname, imbianchino, idraulico, elettricista, un vero factotum e, al tempo stesso, un intelligente osservatore di quanto gli passa tra le mani, soprattutto quando deve intervenire in situazioni di degrado o ripresa dell’antico. E qui, nel suo lavoro pratico, ma raffinato, scopre la decorazione d’interni. È un amore a prima vista: Varren si trasforma in restauratore filologico, pur senza avere quella che si dice una cultura accademica alle spalle. Solo pratica? No, perché – e lui ci tiene a ribadirlo – ha “solo” la quinta elementare e non ha affrontato studi superiori con diplomi che ti dichiarino “maestro d’arte” oppure “pittore”, “scultore”, “grafico”. Tuttavia, la sua fervida intelligenza e la sua altrettanto pervicace curiosità intellettuale lo portano a scoprire l’arte, prima con la visione occasionale, poi con la lettura mirata di pubblicazioni specifiche. Quindi, l’incontro con la sanità: Varren entra nel circuito ospedaliero modenese come infermiere del comparto ortopedico, nello specifico “colui che fa e mette i gessi”. Con la manualità e l’esperienza che si ritrova, definirlo abile è poco. Ma questa sua vita lavorativa lo porta a conoscere profondamente la sofferenza umana, fisica, psichica, spirituale. E la sua arte, parallela e sostegno della sua vita lavorativa, cresce con i suoi pervicaci amori. Il primo, la moglie e compagna di vita, Pina, sua ispiratrice non solo morale; poi il Dalì del sogno delirante, l’autore del Crocifisso sospeso sul mondo e dei ritratti scavati. Il terzo, la natura della grande campagna emiliana, fatta di spazi verdi e coltivati, di foglie che narrano la vita all’uomo. Il quarto, il Cristo nudo, violentato nell’atroce passione che, prima di essere dolore fisico, è coscienza di sacrificio per un’umanità pronta al tradimento fraterno e all’egoismo. Così, Varren prende il pennello e comincia a presentare grandi spazi aperti, verdi, con un orizzonte montano o cittadino schematizzato, con una coscienza sacrale che lo fa raccordare, concettualmente, a un Beato Angelico, commissariato da Klee e da Kandinsky. I suoi quadri sono, sin dall’inizio, fortemente cromatici, con la caratteristica del geometrismo strutturale. Frequen-

temente nelle opere più marcatamente geometriste compaiono strutture a travi, aperte in prospettiva esplosa, spesso sostitutive della croce classica, oppure vuoti spazi aperti che indirizzano l’attenzione dell’osservatore oltre l’orizzonte. La sua produzione inizia negli anni Settanta del secolo scorso, esposta, soprattutto, negli spazi italiani centromeridionali, nella fattispecie al Circeo, dove incontra tanti artisti e intellettuali e riceve i primi riconoscimenti. Poi, nel ventennio successivo, ad un aumento della sua produzione artistica, corrisponde una progressiva assenza dagli spazi espositivi dettata non da timori o rifiuti, ma da una ricerca non solo formale. Intanto, Varren scopre il Bauhaus, ne trova delle corrispondenze incredibili e rispunta un altro dei suoi grandi amori: il legno. Da quel momento, le sue opere si avvicinano all’installazione, al tattile, alla mediazione tra pittura, scultura, grafica, legate da un senso sempre cromatico puro, a cui si aggiunge una consapevolezza armonica. La figura umana, sempre sintetizzata, è, molte volte, fantasmatica, ripetuta quasi ossessivamente in situazioni di pericolo e tristezza; le tematiche del migrante scacciato dalla sua terra e condannato a morire in mare o nei deserti, dello sfruttato che soccombe sotto il peso di un lavoro inumano, diventano costanti. Accanto al geometrismo tattile, ecco comparire le sue farfalle, veri simboli di vita, filosoficamente trasformate, ma sempre splendidamente descritte con colori decisi e simbologie. La sua volontà creativa lo fa tornare, frequentemente, al Cristo, ora non solo crocifisso, ma resuscitato, vivente, espresso non in maniera figurativa con voli di foglie verdi che ne formano la sagoma. Varren, l’autodidatta, comunica, con umiltà e decisione, con una visione artistica che ha un vero nome: solidarietà. Le opere di Varren saranno esposte in personale allo Spazio Espositivo San Marco in via San Zanobi 45 rosso a Firenze dal 10 al 20 settembre 2022.

VARREN

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Occhio critico A cura di Daniela Pronestì

Antje Petershagen

La natura vista con gli occhi della fantasia di Daniela Pronestì

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issare sul foglio le impressioni di un viaggio in un luogo lontano: la bellezza rigogliosa del paesaggio naturale, l’aspetto curioso di alcune specie animali, i volti simili a maschere di antiche divinità. Da questi elementi poi trarre nuovi ulteriori spunti, facendoli entrare nel proprio immaginario artistico e rielaborandoli di volta in volta in chiave fantastica. È così che Antje Petershagen – illustratrice e pittrice tedesca – ha vissuto il proprio viaggio in India, come un’esperienza talmente intensa e affascinante da segnare una svolta nel suo lavoro. Non è stata la novità di quest’incontro a colpire la sua immaginazione, quanto invece l’aver ritrovato nella natura e nella spiritualità di quella parte del mondo qualcosa che già le apparteneva, uno stesso modo di

considerare gli aspetti sacri della vita e di credere nelle misteriose energie all’origine dell’universo. Partita con il desiderio di conoscere un posto nuovo, Antje Petershagen è tornata a casa conoscendo meglio qualcosa di se stessa. Questo viaggio, insieme ad altri compiuti negli anni, le ha permesso di arricchire il proprio bagaglio espressivo di nuovi simboli, forme e significati, che insieme convivono all’interno di complesse raffigurazioni eseguite quasi esclusivamente ad acquerello.

La scelta di questa tecnica l’accompagna fin dalla prima giovinezza, quando le fu regalata, a soli quattordici anni, la prima scatola di colori. È stato allora che ha iniziato a scoprire le diverse reazioni di ciascun pigmento a contatto con l’acqua, a capire come dosare in maniera opportuna velature e trasparenze, a trasformare l’imprevisto spesso inevitabile – una sbavatura di colore ad esempio – in una valida opportunità espressiva. La perizia tecnica maturata negli anni le consente oggi di utilizzare l’acquerello per ottenere effetti non lontani da quelli della pittura ad acrilico, alla quale pure si dedica da qualche anno con risultati altrettanto significativi. L’attività di illustratrice le ha permesso poi di affinare la propria cifra stilistica, che oggi si connota per un’esecuzione scrupolosa dei dettagli e per un modo a dir poco particolare di legare tra loro forme vegetali e figure fino a farle diventare un tutt’uno. In alcune opere, infatti, l’elemento floreale si trasforma in una figura umana e quest’ultima, a sua volta, genera altre forme naturali, in un processo simbiotico e insieme metamorfico che suscita attenzione e curiosità nell’osservatore. In altri lavori, fiori, foglie e arbusti riempiono la scena, con particolari osservati da vicino come in un primo piano fotografico. L’idea di fondo, in entrambi i casi, è una profonda fascinazione per le bellezze di madre natura, per la varietà dei colori e delle specie vegetali, per gli antichi racconti che vogliono il paesaggio popolato di folletti, figure del mito e divinità. Quella rappresentata da Antje Petershagen è in effetti una natura “magica”, densa di simboli da decifrare, luogo di accadimenti straordinari che soltanto una fervida fantasia può immaginare. La fantasia di un’artista capace di sognare ad occhi aperti e di consegnare questi suoi sogni alla sensibilità di chi vorrà accoglierli.

ANTJE PETERSHAGEN

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ALMA ALMA SHEIK SHEIK www.almasheik.com www.almasheik.com VENICE-AQVART AQVART EXHIBITION EXHIBITION VENICEPalaceScuola ScuolaGrande GrandeSan SanTeodoro Teodoro Palace

3°-12°of ofSeptember September 2022 2022 3°-12°

Itinerari del gusto A cura di Filippo Cianfanelli

Harry’s Bar The Garden Nella splendida cornice dell’Hotel Sina Villa Medici la seconda sede a Firenze di uno dei locali più famosi al mondo Testo e foto di Filippo Cianfanelli

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ra il lontano 1931 quando, a Venezia, Giuseppe Cipriani fondò l’Harry’s Bar, un nuovo concetto di locale che diverrà famoso in tutto il mondo. Il nome trae origine da quello di un giovane studente statunitense alcolizzato che venne aiutato da Cipriani, allora semplice barman, a curarsi e rientrare nel suo paese. Due anni dopo Harry Pickering – questo il suo nome – tornò a Venezia restituendo a Cipriani la cifra prestatagli, oltre a 30000 lire, per aprire un locale tutto suo. Da questo inizio da favola comincia la storia di uno dei locali più famosi al mondo, dove Cipriani ha saputo abilmente mixare il concetto del pub anglosassone con quello del ristorante, creando un luogo di incontri, un punto di aggregazione e di dialogo fra i clienti e il barman dietro al suo bancone. Un modello che ha avuto il suo massimo successo dopo la seconda guerra mondiale, tanto da essere riproposto anche a Firenze nel 1953. È stato lo stesso Cipriani a consigliare Enrico Mariotti e Raffaello Sabatini su come trapiantare a Firenze la cultura dell’american bar, invitandoli a ricreare sulle rive dell’Arno un locale che ricordasse l’Harry’s Bar veneziano, partendo dagli arredi fino ai piatti più caratteristici e soprattutto i tipici cocktail, fra cui il Bellini da lui ideato. Il locale del Lungarno Vespucci è diventato così un luogo di incontro per stranieri e fiorentini, molto amato soprattutto dalle signore. Non c’è stato divo hollywoodiano che, soggiornando a Firenze, non abbia frequentato il locale, peraltro molto vicino al più prestigioso hotel cittadino. Nel 2021 i proprietari dell’Harry’s Bar fiorentino, Antonio e Francesco Bechi, hanno ottenuto la gestione del food and beverage dell’Hotel Sina Villa Medici e, in occasione delle sfilate di Pitti Immagine Uomo, hanno creato il nuovo Harry’s Bar The Garden, con ingresso autonomo, nei giardini dell’hotel, a lato della piscina.

L’ingresso dell’Harry’s Bar all’Hotel Sina Villa Medici

Questo luogo mantiene in tutto lo stile iniziale del locale, dai modelli dei tavoli e delle poltroncine fino alle forme di piatti e bicchieri; al timone uno dei migliori professionisti del settore, il barman Thomas Martini. Un locale ottimo anche per un semplice aperitivo glamour, magari accompagnato dal classico cocktail di gamberi in salsa Marie Rose o dal carpaccio, un semplice piatto di sottili fettine di manzo crudo artisticamente decorate con una salsa, inventato proprio all’Harry’s Bar di Venezia nel 1950. Fra i primi piatti, accanto ai tortellini al ragù di manzo e agli spaghetti al pomodoro e basilico, non potevano mancare i classici taglierini gratinati alla Harry’s con parmigiano e prosciutto, un piatto che, servito caldissimo, rappresenta il must del locale e può essere benissimo un piatto unico. Per quanto riguarda i secondi, la scelta spazia dalla bistecca alla fiorentina al filetto di pescato. Ma non possono certo mancare piatti come il vitello tonnato, in cui la carne viene servita avvolta intorno alla salsa che guarnisce l’intero piatto. Oppure la tartare, preparata estemporaneamente dal cameriere davanti al tavolo del cliente. Il piatto più evocativo degli anni Cinquanta è sicuramente il curry con riso pilaf e mango chutney, servito, a scelta, con code di gamberi o pollo oppure con solo verdure per i vegetariani. Le pietanze sono accompagnate da pane e grissini fatti in casa e la carta dei vini vede prestigiose etichette italiane ed internazionali. Al momento del dessert, accanto al gelato Buontalenti e agli ottimi sorbetti, un altro piatto storico del locale: le crepes flambè alla Harry’s, preparate scenograficamente al tavolo con fiammate di Grand Marnier che attirano sempre l’attenzione di tutti i commensali. www.harrysbarfirenze.it

Vitello tonnato

Cocktail a lato piscina

HARRY’S BAR THE GARDEN

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Ritratti d’artista

Mariella Tissone

Un duello fra passione e controllo vissuto per mezzo del colore di Jacopo Chiostri

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ariella Tissone, concreta pittrice ligure (nata a Vado, abita con la famiglia, figlio e marito, a Savona), è tornata a occuparsi di arte – teatro, poesia, pittura – dopo aver concluso la propria vita lavorativa di bancaria, un impiego che definisce «un po’ arido». Era il 2010 e la Tissone racconta di aver sentito risvegliarsi la vena creativa che, evidentemente, negli anni era rimasta sopita sotto le ceneri ma non si era mai spenta. Così è iniziato un intenso “recupero” del tempo che i meccanismi della vita le aveva in una qualche misura sottratto, e in breve l’artista ha messo assieme un impressionante chorus line di partecipazioni a mostre, impreziosito da premi importanti. Sulle tele di Mariella Tissone si riversa il colore; è pittura che correttamente dobbiamo ricondurre nell’alveo dell’informale, nella quale però, quando occorre, compaiono accenni figurativi, forme essenziali che denotano la capacità di esprimersi con un linguaggio di assoluta chiarezza comunicativa, fatto di transfert emozionali e di sollecitazioni per la nostra sfera esperienziale. Nei lavori della Tissone si avverte un duello profondo e vissuto con passione tra l’esigenza di dare libero sfogo al dettato creativo che si traduce in una pennellata sapiente, ad ampio respiro, e il controllo dell’armonia complessiva, fatta invece di una pennellata meticolosa e ordinata. Il risultato sono composizioni che impattano nella retina con un’organizzazione dove pesi e contrappesi sono disposti in modo tale da comporre un racconto che scorre melodioso e accompagna la sensibilità e l’occhio dello spettatore. Alla proporzione generale

contribuisce in maniera determinante l’equilibrio cromatico, frutto, lo si avverte, di uno studio attento, a volte certosino, e curato nei minimi particolari; del resto il motto, ma anche l’imperativo che anima il lavoro della Tissone è, come racconta lei stessa, «una vita a colori fino all’ultimo minuto». Ovunque c’è luce. Luce calda, mediterranea, ma non invasiva che più che grandi sprazzi luminosi e, per contro delle ombre, produce energia e carezza la tela. La Tissone, nella sua multiforme attività artistica, ha dato alle stampe un piccolo prezioso libro di poesie, e la vis poetica che anima questa sua modalità espressiva si ritrova puntuale nei suoi quadri perché, evidentemente, non c’è per lei distinzione tra parola scritta e parola dipinta. Molte le personali a cui ha partecipato, a Savona e a Roma con l’importante mostra alla Galleria Medina che è stata l’occasione per iniziare una collaborazione con la stilista Fabiana Gabellini che si è ispirata alle opere della Tissone per creare capi di alta sartoria in seta; quindi a Firenze (Casa di Dante, su invito) e poi la selezione per partecipare a rassegne come Arte Genova (dal 2017 al 2020), al Castello Estense a Ferrara, a Lido di Camaiore, Pietrasanta, Gualdo Tadino, Venezia, Oporto, Torino, la presenza in Bulgaria e in Russia. Poi i premi: il Premio Internazionale Arte Milano e il Premio Eccellenza Europea delle Arti; con l’Associazione TASA (The Artist Style in Art), grazie alle foto del viareggino Fabrizio Gatta, le opere della Tissone sono sbarcate a New York, quindi in California e a Zamosc (Polonia). Nel 2018 la partecipazione a Parigi al Carousel de Louvre, quindi la mostra a Savona dedicata a Carlo Rambaldi, la presenza al Museo Artepozzo dedicato a Milo Parodi e le due esposizioni con Toscana Cultura, dal 10 a 20 luglio di quest’anno, allo Spazio Espositivo San Marco, e recentissima, dal 3 all’11 settembre la mostra di arte contemporanea al Chiostro della Santissima Annunziata. In ultimo, come detto all’inizio, non c’è solo pittura nell’attività artistica della Tissone: come presidente della compagnia amatoriale Boccascena è attiva anche in campo teatrale. [email protected] [email protected]

Trame oro (2019), tecnica mista su tela, cm 70x50

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MARIELLA TISSONE

Nebulosa nera (2021), tecnica mista su tela, cm 70x50

Mostre in Toscana

A Fiesole la collettiva promossa dall’associazione Napoli Nostra Testo e foto di Maria Grazia Dainelli

CON IL PATROCINIO DI

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al 30 luglio al 7 agosto la Sala del Basolato, spazio espositivo nel palazzo del Comune di Fiesole, ha ospitato la collettiva di pittura, scultura e fotografia intitolata L’Arte illumina la mente promossa dall’associazione Napoli Mostra collettiva di inseriti pittura, Nostra. Gli artisti coinvolti nell’iniziativa saranno in un scultura, grafica e fotografia testo di storia dell’arte che sarà poi archiviato nella biblioteca Thomas J. Watson del Metropolitan Museum di New York per una ricerca sull’arte moderna e contemporanea in ventiquattro paesi del mondo, tra i quali anche l’Italia rappresentata dall’associazione Napoli Nostra. L’inaugurazione della mostra NAPOLI NOSTRA ASSOCIAZIONE ha visto la partecipazione dell’ingegnere Gennaro Corduas, direttore artistico di Napoli Nostra che ha presentato gli artisti, della sindaca del Comune di Fiesole Anna Ravoni e del giornalista Fabrizio Borghini, che ha realizzato un servizio televisivo L’inaugurazione della mostra: da sinistra, l’ingegnere Gennaro Corduas, direttore artistiper la rubrica Arte Incontri in onda su Italia 7. co di Napoli Nostra, il giornalista Fabrizio Borghini e la sindaca di Fiesole Anna Ravoni

"L’Arte illumina la mente”

presso "Sala Del Basolato” - Piazza Mino, 26 - FIESOLE dal 30 luglio al 7 agosto 2022

CON IL PATROCINIO DI

Mostra collettiva di pittura, scultura, grafica e fotografia INIZIATIVA IDEATA E REALIZZATA DALL’ ASSOCIAZIONE CULTURALE NAPOLI NOSTRA

"L’Arte illumina la mente” L’INAUGURAZIONE CON DRINK AVVERRÀ SABATO 30 LUGLIO ALLE ORE 17.00

ASSOCIAZIONE NAPOLI NOSTRA

PRESENTAZIONE DELLA MOSTRA A CURA DI: DOTT. FABRIZIO BORGHINI CRITICO D’ARTE E GIORNALISTA ING. GENNARO CORDUAS DIRETTORE ARTISTICO

presso "Sala Del Basolato” - Piazza Mino, 26 - FIESOLE ASSOCIAZIONE CULTURALE NAPOLI NOSTRA Vico Berio, 4 - 80132 Napoli - Tel. 081 4249786 cell. 339 3218464 - Telefax 081 415123 [email protected] - www.napolinostra.com www.facebook.com/napolinostra

dal 30 luglio al 7 agosto 2022

ARTISTI PARTECIPANTI ABBRUZZESE PAOLA ALTOBELLI CRISTINA ARDIRI FILIPPO ARMATO VINCENZO BAFILE MARIA ANTONIETTA BALLJANA CARLO BARZON NICOLETTA BEDIN FABIO BIANCHINI SALVATORE BIANCO LINO BINI FEDERICA BOSCARO ALDA BRESCIANINI GIUSY BUBBA ANNA CALCINAI CHIARA VALENTINA CANDIDO CARMELA CANEPA LUIGI FRANCESCO CARLETTI FRANCO CAVANNA ELENA CESARINI NADIA CHERUBINI GIOVANNI CINTELLI MOLTENI ERMELLA CIOGLIA BRASIL CASSETTI DORALUCIA COPPI MARIA BEATRICE

CASTELLANA GROTTE (BA) FRANCAVILLA AL MARE (CH) ARGENTA (FE) MAZARA DEL VALLO (TP) SULMONA (AQ) SERNAGLIA DELLA BATTAGLIA (TV) CAMPONOGARA (VE) PIOVE DI SACCO (PD) ROMA (RM) SASSUOLO (MO) LIDO DI CAMAIORE (LU) MONTEBELLUNA (TV) PERTICA ALTA (BS) CAMPI BISENZIO (FI) MILANO (MI) MOLFETTA (BA) ALBISSOLA MARINA (SV) SIENA (SI) GOSSOLENGO (PC) LADISPOLI (RM) VITERBO (VT) PRATO (PO) BELO HORIZONTE BRASIL (MG) FIRENZE (FI)

DE DEMO LINA CALALZO DI CADORE (BL) DE PASQUALE MARIA BARI (BA) DI SECLI’ ANTONIETTA MILANO (MI) DONKOVIC MARIJA ROZZANO (MI) FABIAN MASSIMO LATINA (LT) FERRUZZI CARUSO DEBORA FIRENZE (FI) FUSARI GIULIANA MADDALENA VERONA (VR) FUSI MARIA GRAZIA EMPOLI (FI) GALATI MARIA VENEZIA (VE) GANZAROLI MAURIZIO FERRARA (FE) GASBARRO VALENTINA CASAMASSIMA (BA) GIANELLA RENZO CAMPONOGARA (VE) GHIONE DANIELA NOVARA (NO) INSERRA GIUSEPPE “ICONARTE” MARIANOPOLI (CL) LAGANA’ ANTONELLA LIVORNO (LI) LANCIA AMADIO RIETI (RI) MAIORELLI FABRIZIO BARBERINO DI MUGELLO (FI) MARCHIARO PAOLA MERCENASCO (TO) MARCZYK TERESA GUBBIO (PG) MERIK PORTOGRUARO (VE) MILANO MIMMO GIOIA DEL COLLE (BA) MONTALTO SEBASTIANO JAN FERLA (SR) NAZER FAUSTO VANESCA (CN) ORSATO LORIA VALDAGNO (VI)

PEDDITZI OTTAVIO PESCI FABRIZIO PROCIDA FRANCESCO PROCOPIO GREGORIO REISSER GISELE REMOTTI RENZO RICCIO STEFANIA RUGGERI ANNAMARIA RUSSO ANGELA SACCHI FRANCA SANDRELLI FRANCESCO SATTA MARIA CATERINA SITZIA INES STICCO ANNA TERRACCIANO PASQUALE TERRENI LORENZO TOSI BRUNO VACCARO MAURIZIO VALENTE ITALO VERONESE SABRINA VERSETTI GIORGIO ZANCANO RICCARDO ZANETTI ENZO ZANETTI MARIAGRAZIA

INIZIATIVA IDEATA E REALIZZATA DALL’ ASSOCIAZIONE CULTURALE NAPOLI NOSTRA

L’INAUGURAZIONE CON DRINK AVVERRÀ SABATO 30 LUGLIO ALLE ORE 17.00 PRESENTAZIONE DELLA MOSTRA A CURA DI: DOTT. FABRIZIO BORGHINI CRITICO D’ARTE E GIORNALISTA ING. GENNARO CORDUAS DIRETTORE ARTISTICO

ASSOCIAZIONE CULTURALE NAPOLI NOSTRA

MANCIANO (GR) NOCETO (PR) VIETRI SUL MARE (SA) REGGIO DI CALABRIA (RC) SAN VINCENZO (LI) ASTI (AT) POTENZA (PZ) OMEGNA (VB) TERMINI IMERESE (PA) MILANO (MI) CAMUCIA-CORTONA (AR) TRINITA’ D’AGULTU E VIGNOLA (OT) SANT’ANTIOCO (SU) SOVICILLE (SI) BRUSCIANO (NA) BIENTINA (PI) MILANO (MI) FRANCAVILLA DI SICILIA (ME) MARANO DI NAPOLI (NA) SCANDIANO (RE) CARAVAGGIO (BG) TRIESTE (TS) MANTOVA (MN) NOVARA (NO)

Centro Espositivo Culturale San Sebastiano

Centro Espositivo Culturale San Sebastiano

Sala San Sebastiano Centro Espositivo Culturale

Omaggio alla Rocca Numeri da record per la collettiva del Centro Espositivo Culturale San Sebastiano in Val d’Orcia di Fabrizio Borghini

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rande affluenza di visitatori ha registrato la mostra organizzata dal Centro Espositivo Culturale San Sebastiano di Sesto Fiorentino nel territorio molto suggestivo della Val d’Orcia senese. Dall’11 luglio al 29 agosto, i cinque artisti partecipanti – Danella Fabbrini di Abbadia San Salvatore, Fabrizio Finetti (Finaù) di Sesto Fiorentino, Felice Giannelli di Sesto Fiorentino, Luciano Manara di Prato e Valter Figoni di Sesto Fiorentino – hanno presentato i propri lavori nel caratteristico borgo di Rocca d’Orcia, presso Castiglione d’Orcia, nella prestigiosa e

Valter Figoni con unʼopera

Felice Giannelli

di Luciano Manara

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suggestiva Rocca di Tentennano da poco restaurata. L’evento espositivo, dal titolo Omaggio alla Rocca, ha registrato un’affluenza di oltre 2.500 visitatori

CENTRO ESPOSITIVO CULTURALE SAN SEBASTIANO

Uno scorcio della mostra

Centro Espositivo Culturale San Sebastiano

Marta Ricci di Val d’Orcia Tour, Fabrizio Finetti e il sindaco di Castiglione

Valter Figoni e Luciano Manara

D’Orcia Claudio Galletti

provenienti da tutte le parti del mondo. Alcune opere in esposizione hanno suscitato interesse e sono state recapitate in diversi luoghi della nostra penisola. Tutto questo si è reso possibile con l’interessamento dell’associazione Val d’Orcia Tour, più precisamente nelle persone di: Marta Ricci, Irene Sbrilli e Valentina Pierguidi. Fondamentale è stato anche il supporto degli operai comunali per gli allestimenti e del primo cittadino, il sindaco Claudio Galletti, che ha dato il via alla cerimonia di inaugurazione.

Valentina Pierguidi di Val d’Orcia Tour e Fabrizio Finetti

I tre artisti Valter Figoni, Felice Giannelli e Fabrizio Finetti

del Centro Espositivo Culturale San Sebastiano

CENTRO ESPOSITIVO CULTURALE SAN SEBASTIANO

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Erika Castelli Il volto dell’innocenza

La piccola Chanel, olio su tela, cm 40x50

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I libri del mese

Serena Raggi L’orrore della seconda guerra mondiale raccontato attraverso gli occhi di un bambino di Erika Bresci

«P

erché il Ciclope tedesco stregato dalla Maga della guerra calpesta la vita d’un fanciullo?» si – e ci – domanda Serena Raggi introducendo il lettore in questa storia familiare resa universale dalla tragicità degli eventi, storia di mondo sovvertito dagli orrori della guerra e dei sogni cavalcati di speranza di chi allora era solo un bambino di sette anni. Siamo nel 1944. Un intero paese del fiorentino, San Godenzo, poco distante dalla famigerata Linea Gotica, vive il dramma silenzioso dello sfollamento. Gli alleati avanzano, San Godenzo è fatto saltare in aria dai tedeschi. Tutto, casa su casa, ad eccezione dell’antica abbazia. Non c’è tempo per pensare, restare indietro, ancorare le proprie radici alle pietre antiche del paese. Esercitare il diritto alla libertà significa anche questo: lasciare tutto e andare avanti, incontro al buio, al frastuono dei colpi di mitragliatrice, agli aerei sulla testa, agli occhi della madre colti un attimo prima di vederli chiusi per sempre nel sonno dei giusti. «Eppure non doveva arrendersi», sottolinea Serena Raggi in uno dei momenti più intensi del racconto, lo strappo dal corpo della madre, la favola vera, immonda da raccontare al padre. La mamma, forse, è morta. Pelago, altro comune nell’hinterland fiorentino, accoglierà lʼintensa storia di Maurizio e della sua famiglia, la mescolerà con le tante altre piccole, profonde storie degli abitanti del luogo fino a plasmarla nella storia per tutti, memoria capace di custodire nel suo scrigno di testimonianza verace, fatta di parole e immagini, ciò che è stato e che mai più avrebbe dovuto essere. Da qui il “gioco di coraggio”, che è la vita, muove i passi del piccolo Maurizio – padre dell’autrice – verso un domani che ha il sapore del riscatto. Tenero germoglio nato su terra fertile di lacrime, alzerà ben presto un tronco dritto e forte che lo farà pianta robusta, coriacea, esposta alle intemperie ma anche al canto degli uccelli. Finita la guerra, la vita riprenderà a scorrere; quella vita sempre amata, da amare ogni secondo, da costruire e inventare fino alla fine, fino all’ultimo respiro, lasciando in eredità alla figlia il compito di un gioco nuovo, il “gio-

co del ricordo”. Quel gioco serio, imprescindibile per una società civile che voglia fondati sui valori della pace, del rispetto reciproco, della tolleranza, della solidarietà tra popoli il proprio futuro. Un messaggio quanto mai attuale in questo tempo di rinnovati, sinistri bagliori. Da gridare a voce alta, con coraggio, perché nessun bambino – di ogni tempo, di ogni luogo – dovrebbe mai, neppure per un istante, temere di aver perduto il proprio, naturale diritto a giocare.

SERENA RAGGI

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Ritratti d’artista

Giulia Marcucci

La ricerca dell’oltre nel cuore dell’enigma di Jacopo Chiostri

I

n questa nostra epoca in cui, per i molti disastri che abbiamo intorno, è quanto mai urgente quello che il buon Vasari chiamerebbe “un rinnovellamento”, incontrare artisti capaci di proporsi con modalità ancora inedite, autorizza noi – convinti che il pensiero dell’artista non possa mancare in questo processo – a credere che esistano strade che non conosciamo e che possiamo ancora esplorare. È il caso di Giulia Marcucci, giovanissima artista fiorentina, che propone con questa mostra un suo personalissimo linguaggio fatto di allegorie, incastonate in un discorso complesso per quanto molto razionalmente organizzato, col quale racconta il suo mondo e nel quale fiaba, sogno, cruda realtà, critica sociale e personaggi, fatti di pensiero ed emozione piuttosto che di materia, simbolicamente, molto simbolicamente, traducono in immagini di forte impatto le sue intenzioni e provano a fare chiarezza nella sua (e nella nostra) esistenza giacché, come sappiamo, è con le opere d’arte che possiamo esplorare la nostra anima. Il codice utilizzato da Giulia Marcucci si ag-

giunge ai tanti con cui l’arte ha sempre parlato e che risultano ben più numerosi di quelli normalmente conosciuti. La ricchezza creativa di questa giovane artista risiede nella potenza del suo inconscio che oltrepassa la realtà contingente e ne genera un’altra ancora, sconosciuta e di uguale se non di maggiore intensità. Un’operazione nella quale si avverte una frenesia controllata e consapevole, e si riconosce il suo essere, in fondo, un’anticonformista, giacché non c’è appiattimento verso quella pittura informale che, per molti versi, potrebbe essere il suo approdo naturale. Marcucci è fieramente aggrappata alla figura, o meglio, alla rappresentazione ideale della figura dove, come un “Arcimboldo” che indaga umani modi di essere, compone figurazioni memorabili che richiedono a noi spettatori un’attenzione e uno studio certosini per cogliere la forza e la ricchezza antropomorfa del dettaglio. Sono dipinti, questi, riconducibili al “surreale”, intendendo però per surreale non quello di bretoniana memoria, ma la scoperta di una realtà che va oltre quanto conosciamo e

Demoni (2021)

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GIULIA MARCUCCI

Diva è donna (2020)

La signora (2020)

che esisteva fin qui a nostra insaputa. In questo senso la pittrice ottempera a quanto, negli anni Venti del secolo scorso, quell’immenso pittore che è stato Paul Klee diceva essere compito della pittura: non riprodurre quello che è visibile, ma rendere visibile quello che non lo è, sogni, ossessioni, riflessioni. Nelle opere di Marcucci – su cartone e con dimensioni in genere di cm 50x70 – non si rintracciano gli spazi metafisici di de Chirico, che pure avrebbero un loro perché. Lo spazio attorno ai soggetti, quando è lasciato libero, ci ricorda il nulla, che spesso è la condizione esistenziale dell’uomo, e, semmai, da un punto di vista pittorico si ottiene ancora maggior risalto alla rappresentazione, e scriviamo “ancora” perché la forza impattante delle figurazioni certo è una cifra peculiare dell’artista. Non c’è ricerca di verità, non può esserci; l’artista non deve convincere nessuno, la sua arte si propone libera anni luce dal giogo di dover essere verità e, in quanto artista, non cerca soluzioni, bensì propone enigmi. D’altra parte, come ha lasciato scritto proprio de Chirico: «Un’opera d’arte deve superare i limiti dell’umano senza preoccuparsi né del buon senso né della logica». Da un punto di vista pittorico, il segno in queste opere appare netto, autorevole, sovente sensuale; la composizione non è solo armoniosa ma appare dotata di un grande equilibrio che l’abile e maturo gioco di pesi e contrappesi fa apparire impulsivo e primitivo. Nelle

sue divinità pagane assistiamo all’incontro tra figure, forme e colori che prima s’ignoravano. Ciascuna trae la propria significazione dallo stretto contatto con le altre, ciascuna con un suo ruolo definito che assolve come richiesto. La colorazione completa la veemenza delle opere, sa essere eufonica o di contro stridente giacché l’utilizzo che l’artista ne fa è di esaltare, nel bene o all’opposto, gli stati d’animo che rappresenta; e forse è proprio con questa giovane artista che finiremo per capire che in particolari stati di grazia non è più l’arte che imita la vita, ma esattamente avviene il contrario.

Borghesi inquietanti (2021)

GIULIA MARCUCCI

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Margherita Biondi Il canto della natura

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Toscana a tavola A cura di Franco Tozzi

Lasagne del pastore, una gioia per il palato di Franco Tozzi

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a parola “pastore” fa pensare subito al formaggio, in particolare al pecorino. Un’altra particolarità dei pastori, forse meno nota, era cibarsi di funghi come ripiego in tempi di carestia. Addirittura un medico del Cinquecento, tal Pietro da Bairo, scrive di come in inverno, al caldo del gregge, ne praticassero già la coltivazione, mischiando cortecce di alberi morti con lo stallatico. Quella che qui proponiamo è l’elaborazione di una ricetta

amiatino-grossetana che sarebbe andata bene per pastori ricchi, un ammodernamento, diciamo, per la gioia del palato; quella antica infatti è assai più frugale (ad esempio c’è il sugo finto, quello senza carne, per intendersi) anche se la base è la stessa. Evitiamo di riportare le ricette del sugo di carne e della besciamella e andiamo subito agli ingredienti necessari a preparare una lasagna del pastore per otto persone.

La ricetta: lasagne del pastore Ingredienti: - ½ kg di lasagne - 300 gr. di funghi porcini - 120 gr. di galletti o chiodini - 300 gr. di pecorino fresco - 200 gr. di pecorino stagionato

- 200 gr. di ricotta di pecora - 50 gr. di burro - 1 litro (minimo) di besciamella - ½ kg di sugo

- 3 spicchi di aglio - prezzemolo - sale q. b. - pangrattato

Grattugiare il pecorino stagionato, poi a parte creare dei “riccioli” con quello fresco. Una volta pronta la besciamella, farla raffreddare e con la frusta aggiungere lentamente la ricotta, in modo che venga una crema densa. Mettere il sugo sul fuoco e, mentre si scalda, tagliare a pezzi non troppo piccoli i funghi, metterli a rosolare insieme all’aglio e al prezzemolo (gambi compresi) e far ritirare tutta l’acqua che i funghi butteranno fuori. Nel frattempo lessare le lasagne; una volta pronte, stenderle su un panno; imburrare una grande teglia, cospargerla di pangrattato e infine capovolgerla per far cadere l’eccedenza. Si comincia disponendo nella teglia uno strato di pasta, poi la crema di ricotta e besciamella, quindi il sugo, una spolverata di pecorino grattugiato, qualche abbondante ciuffo di quello fresco, poi ancora pasta, crema, sugo, grattugiato e ciuffo, e così via. La chiusura sarà fatta con uno strato di besciamella e con tutti i formaggi rimasti. Infornare a 180° per almeno quaranta minuti; appena cotta, far raffreddare la lasagna e servirla tiepida. Per i più golosi: completare con una nevicata di parmigiano non stagionato.

Accademia del Coccio Lungarno Buozzi, 53 Ponte a Signa 50055 Lastra a Signa (FI) + 39 334 380 22 29 www.accademiadelcoccio.it [email protected]

LASAGNE DEL PASTORE

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Giovanna Comandè

Ritratto di donna, acrilico su tela, cm 50x65

Bellezza senza tempo

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Polvere di stelle A cura di Giuseppe Fricelli

Sarah Ferrati

Un mito irripetibile del teatro italiano di Giuseppe Fricelli

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ella sua arte era facile apprezzare la perfetta interpretazione di tutti i personaggi cui dava vita in scena. L’atmosfera magica che l’attrice creava è qualcosa che ci incanta ancora oggi ascoltandola in vecchie registrazioni. Sarah Ferrati, con il suo intenso sguardo ed i suoi meravigliosi occhi espressivi, direi parlanti, sapeva far trasparire e cogliere i sentimenti più veri e profondi. Quando entrava in scena era come se si mettesse in contatto con l’autore che stava interpretando e captava tutta l’attenzione dello spettatore. La sua esile figura riempiva il palcoscenico e tutto il pubblico la seguiva rapito dall’inconfondibile personalità. Le vibranti ed infinite sonorità vocali che l’esecutrice possedeva erano tali da poter realizzare qualsiasi timbro di voce che necessitava al momento. Quanta Sarah Ferrati nel 1954 (ph. Paolo Monti) musicalità nel fraseggio vocale utilizzato dall’interprete! Le pause erano sempre giuste, ma- grave ed intensa, da sembrare un filo di nebbia mattutina giche, irripetibili. I fiati ed i respiri che realizzava in scena o l’ultimo raggio di sole serale, divenendo poi all’improvvierano degni di uno straordinario cantante. Il messaggio in- so, con un cambiamento vocale, una vera furia travolgente, timo, profondo, vivo, il rigore tecnico che questa eccellente come una tempesta. Termino il mio scritto dedicato a queattrice ci ha donato rimarranno come una pagina indelebile sta grande interprete dicendo che è stata per me una gioia nell’arte della recitazione. Il teatro vive di libertà espressiva immensa averla potuta ascoltare più volte, averla conosciuma rispettosa del testo scritto: tutto questo Sarah Ferrati lo ta personalmente, averle parlato ed aver appreso da lei, imisapeva bene. Leopardi diceva che la chiarezza è il primo de- tandola nella mia professione di pianista, alcuni respiri e siderio dello scrittore: «Non ho mai lodato l’avarizia dei se- pause magiche. Sarah Ferrati è stata dunque un’attrice mogni e vedo che spesse volte una virgola ben messa, dà luce derna, un mito irripetibile del teatro italiano. a tutto un periodo». Lo stesso Claude Debussy, che era un perfezionista della dinamica musicale, riteneva che il compositore dovesse coadiuvare l’esecutore con l’invito scritto dalla “punteggiatura espressiva” nel brano composto. I timbri di voce di Sarah Ferrati mi ricordano l’infinita varietà di colori contenuti in una tavolozza utilizzata dai grandi pitwww.florenceartgallery.com tori impressionisti. A volte utilizzava una voce sospirata,

N

ato nel 1948, Giuseppe Fricelli si è formato al Conservatorio “Luigi Cherubini” di Firenze diplomandosi in Pianoforte con il massimo dei voti. Ha tenuto 2000 concerti come solista e camerista in Italia, Europa, Giappone, Australia, Africa e Medio Oriente. Ha composto musiche di scena per varie commedie e recital di prosa.È stato docente di pianoforte per 44 anni presso i conservatori di Bolzano, Verona, Bologna e Firenze.

SARAH FERRATI

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A tavola con... A cura di Elena Maria Petrini

Andrea Muzzi

Il “gusto” della comicità nell’intervista ad un brillante interprete di commedie a teatro e al cinema di Elena Maria Petrini / foto Momy Manetti e Damiano Stizza

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n questo appuntamento dedicato al cibo della memoria intervistiamo Andrea Muzzi, attore toscano, comico, cabarettista, ma anche scrittore, sceneggiatore e regista. Nella sua lunga carriera teatrale e cinematografica ha ricoperto principalmente ruoli nei generi comici e nella commedia. I suoi personaggi hanno tutti una spiccata comicità naturale, sempre garbata e un po’ surreale, incisiva e al contempo misurata, mai sopra le righe. Si è diplomato a Firenze alla Scuola Laboratorio Internazionale dell’attore Paolo Coccheri e sempre a Firenze ha fondato la Scuola Nazionale di Comicità Massimo Troisi. Ha esordito in alcuni autentici film cult come Benvenuti in casa Gori, Ritorno a casa Gori e Zitti e Mosca, tutti diretti da Alessandro Benvenuti, e Andrea Muzzi Ti amo in tutte le lingue del mondo per la regia di Leonardo Pieraccioni, ma anche Un’estate al mare di Carlo Vanzina e, nel 2009, assieme a Bruno Andrea Savelli, ha diretto e interpretato Piove sul bagnato. In TV ha ricoperto il ruolo di don Gianni nel film Pezzi unici di Cinzia TH Torrini. Ha collaborato anche come coautore con Ugo Chiti. Lo scorso anno ha firmato la sceneggiatura e la regia cinematografica della commedia All’alba perderò. Per il teatro brillante è autore e regista di pieces come Amami senza trucco, L’amore è geco, Meglio lasciar perdere e Chiedo asilo nido. È anche coautore, assieme a Bruno Santini, del libro Si stava meglio quando si stava peggio? Traumi del passato e del presente: dal fotoromanzo al selfie!, una beffarda rilettura in chiave comico-satirica e un po’ nostalgica del passato in contrasto con il presente. Sono ventisette i premi che Andrea Muzzi ha ricevuto per il suo film All’alba perderò; l’ultimo in ordine di tempo gli è stato assegnato dalla critica all’Ariano International Film Festival, ad Ariano Irpino, per il miglior film comico giudicato di rottura in quanto scritto con un linguaggio nuovo e sperimentale. Il prossimo 17 settembre, a Paestum, al Cilento Film Festival, riceverà un premio, il ventottesimo, sempre per il film All’alba perderò in quanto miglior commedia italiana. Com’è nata la sua passione per il cinema? È nata inconsapevolmente quando ero bambino. In TV rimanevo incollato a vedere le comiche di Stanlio e Ollio. Non ridevo, guardavo ammutolito ed ammirato. Insomma, in modo involontario, il seme della comicità me lo hanno trasmesso i

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ANDREA MUZZI

più grandi: Chaplin, Laurel e Hardy e Keaton ai quali chiedo tardivamente scusa. Il mio primo spettacolo fu organizzato dalle suore del mio paese. Per Natale cercavano un neonato con i riccioli biondi che interpretasse Gesù Bambino. Fui scelto io perché tra i maremmani ero l’unico con quelle caratteristiche. Mai fidarsi delle apparenze: siccome la paglia dove era seduto mi pizzicava, scappai con le suore che mi rincorrevano per il palco. Insomma, finale a sorpresa! Il suo esordio? Tutto è partito da una “porta sbagliata” che mi ha portato a collaborare molti anni con Alessandro Benvenuti, dal 1990 al 2003; facevamo circa 180-200 date ogni anno, e credo di essere l’unico comico ad aver passato più anni con lui, anche più di Athina Cenci e Francesco Nuti. Ho conosciuto Alessandro quando venne a fare Benvenuti in casa Gori nel teatro del paese dove sono nato, a Roccastrada. Era la prima volta che andavo a teatro; uscendo dal loggione, sbagliai strada e mi ritrovai nel suo camerino mentre si stava cambiando. Era quasi in mutande, rimanemmo entrambi immobili e zitti, mi guardò stupito e mi disse: «Bellino, tu dovresti fare il comico...». Da qui nacque una bella collaborazione: mi invitò a studiare mimo e da lì a poco mi chiamò a fare Benvenuti in casa Gori e poi Zitti e Mosca, dove ha debuttato Leonardo Pieraccioni e dove c’erano anche Massimo Ceccherini ed Alessandro Paci. Poi è arrivato Benvenuti in casa Gori. Con lui ho fatto anche teatro. Tra gli ultimi spettacoli c’è Gino detto Smith e la pan-

china sensibile prodotto da Benvenuti e organizzato da Essevuteatro dei fratelli Barbara e Giovanni Vernassa. Prima di iniziare a dedicarmi al cinema, ho fatto anche qualche pubblicità per prodotti come il caffè e la birra. Un aneddoto particolare legato a qualche suo spettacolo? Nonostante sia stonato, il regista Angelo Savelli mi volle nel musical Pinocchio cia cia cià per interpretare il personaggio di Pinocchio, con altri attori come Aringa, Verdurini e Cannavacciuolo. Pensava potessi imparare a cantare invece non sempre s’impara. Infatti il mio ingresso in scena era segnato da una canzone di Rascel, ma io non entravo mai a tempo, per questo l’orchestra decise di suonare e di urlarmi “ora”. Con questo espediente entravo sempre in tempo ma continuavo comunque ad essere stonato. Scrive personalmente le sceneggiature dei suoi film/spettacoli? Trova ispirazione in qualcosa o qualcuno? Sì, sono io a scrivere le mie sceneggiature. La comicità è un abito su misura e per questo ho capito di essere il mio miglior sarto. Adoro scrivere anche per altri, ho diversi testi in giro nei teatri italiani. L’ispirazione la cerco ovunque: giornali, libri ma soprattutto nella gente. Ascolto e immagazzino il più possibile. Sono come un frigorifero, dentro la mia testa ci trovi storie di ogni tipo. Ho avuto anche la fortuna e l’onore di collaborare come coautore con Ugo Chiti, che reputo il più grande sceneggiatore italiano, pluripremiato con ben cinque David di Donatello, due Nastri d’Argento, un Globo d’oro e un Premio Flaiano; con lui ho scritto anche due film. Nel 2019 avrei dovuto realizzare un film insieme a lui, ma alla fine, per divergenze con la produzione, che lo volevano far girare a Malta, cosa che per me avrebbe voluto dire sciuparlo, decisi di uscire dal film anche se non avevo un’alternativa. Nel viaggio di ritorno in treno mi addormentai e sognai di essere premiato alla notte degli Oscar nella categoria “fallito dell’anno”, mi consegnavano una lampadina nera. Quando mi svegliai avevo già in mente la trama del film All’alba perderò. Infatti questo mio film è nato prima come spettacolo teatrale per poi diventare un piccolo cult della comicità; l’ho ripetuto per ben ventitré vol-

te al Teatro Puccini a Firenze talmente ha avuto successo. Da solo ho scritto anche altri film, durante il periodo del lockdown, come Il tempo delle mele cotte, in cui interpreto un personaggio, e Mal comune, le cui riprese partiranno nel 2023 a Torino. Ho vinto già ventisette premi, l’ultimo l’ho ritirato il 5 agosto scorso, all’Ariano International Film Festival; il prossimo lo ritirerò il 17 settembre La locandina di uno degli spettacoli di Alessanal Cilento Film Festival. dro Benvenuti al quale Muzzi ha partecipato Quello che mi riempie di orgoglio è l’aver dimostrato che la commedia, ritenuta di serie b rispetto ai film d’autore, non è un genere minore. Si può far ridere usando leggerezza e semplicità per raccontare tematiche profonde o spinose, per far riflettere il pubblico. Il 23 settembre prossimo, al Caorle Indipendent Film Festival, sarò ospite in una serata interamente dedicata a me perché nel 2021 ho vinto tutte le categorie dei premi presenti. Ho scritto anche un monologo comico ed emotivo al femminile Amarti m’affatica che parla di una donna colpita da narcisismo patologico che riesce a liberarsi da questo burattinaio che le manipola la mente grazie all’autoironia. Interprete è la comica romana Federica Cifola, che ha lavorato per la Rai, con Lillo & Greg e con Serena Dandini; è un’attrice di talento. Sto preparando inoltre uno spettacolo che debutterà al teatro di Cagliari a febbraio 2023; nel cast ci sarà anche Ninni Bruschetta per affrontare una tematica che mi sta a cuore: l’odio. Il suo rapporto con il cibo? Le piace cucinare? Cucino, ma è meglio se non lo faccio. Non ho un palato sensibile e tendo a fare piatti dal sapore deciso, a volte anche troppo deciso. Il mio piatto preferito è il pinzimonio. Se volete farmi contento: olio buono, sedano, finocchio e pomodori crudi. Mi accontento di poco. Oppure le aragoste. Non ho mezze misure. Ha un “cibo della memoria”? Sono figlio di un fornaio. Sono cresciuto tra il profumo di pane e schiacciate. Il mio cibo della memoria legato all’infanzia è perciò il pane appena sfornato. Un odore unico. Un ricordo divertente legato ad un piatto in particolare? Da bambino le torte di compleanno me le faceva mio cugino, apprendista pasticcere. Sperimentava con me la sua arte ed infatti le mie prime torte sono tutte storte, pendenti, sembrano tante torri di Pisa al cioccolato.

Con Pupo

ANDREA MUZZI

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Mauro Mari Maris Le radici dell’anima

www.mauromaris.it [email protected] + 39 320 1750001

Ritratti d’artista

Cristina Visibelli Pittrice con una lunga esperienza anche all’estero, è titolare della galleria CI Vù a Viareggio Testo e foto di Jacopo Chiostri

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Viareggio incontriamo Cristina Visibelli, pittrice e titolare della galleria CI Vù. Oltre ad essere le iniziali del suo nome, CI Vù è anche la sigla con cui firma i suoi quadri: in altre parole, un nome d’arte. La galleria si trova nella centrale via Cavallotti, a pochi metri si aprono i viali a mare. Alla CI Vù, la Visibelli ospita personali – di recente Marco Campostrini – e collettive – l’ultima ad agosto – poi, spesso, sue personali. E questo non perché manchino le richieste – Viareggio continua a essere una meta appetita – o per egocentrismo, bensì per una ragione diversa, più intima. Cristina Visibelli ha un rapporto totalizzante con la sua arte che da sempre è sua compagna di vita e ancor più lo è dopo la scomparsa del marito. Nei suoi dipinti riversa, oltre ad emozioni, la propria visione del mondo e con la galleria offre un porto sicuro per resistere a quel decadimento culturale che denuncia e che, ai suoi occhi, appare ancor più evidente avendo vissuto molti anni all’estero. Insomma, esporre spesso la propria arte risponde per la Visibelli all’esigenza che non devono esserci pause in quel discorso artistico - culturale intrapreso con la città di Viareggio, con la Versilia, terra di grandi fiammate ma anche di disinganni, e con il suo pubblico. La storia della Visibelli, artista e non solo, ha un attacco singolare. Racconta, infatti, di aver iniziato a interessarsi alla pittura a soli sei anni, ad Antignano, in casa di Dino Visibelli, nonno di quello che poi diventerà suo marito. In casa di Visibelli nonno capitava spesso Renato Natali «pittore che all’estero è portato in palmo di mano – afferma l’artista – mentre qui da noi rischia di finire nel dimenticatoio». La questione di come gli artisti italiani siano stimati e quotati all’estero è una riflessione ricorrente per la Visibelli che non sa capacitarsi di come in Italia si sia così autolesionisti; la stessa cosa vale per la Toscana: «Quando vivevo in Austria – dice – a nominare la Toscana vedevi che alla gente s’illuminava il volto». Molte cose sono cambiate in peggio: «Ricordiamoci cosa erano le “marguttiane” a Forte dei Marmi e cosa è ora, con le gallerie che hanno, quasi tutte, tirato

Cristina Visibelli

giù il bandone». La pittura della Visibelli è un informale molto sui generis. Elemento ricorrente è l’acqua. I quadri spesso sono marine animate da vele spinte dal vento; vele che non sono tenute su dall’albero. Le sue imbarcazioni non lo hanno, e la simbologia è evidente: la vela è la libertà assoluta, il farsi portare dal vento, senza appigli, senza ostacoli, senza appoggi; così anche l’acqua con il suo continuo mutare, che è lo scorre del tempo. Altra figura frequente sono i cipressi: le sentinelle dei nostri bei paesaggi toscani. Le tecniche con cui la Visibelli dipinge sono alquanto sofisticate. Per esempio per i ritratti – che spesso esegue su commissione – si parte dal disegno, questo viene poi fotografato e infine completato disegnando direttamente sulla carta fotografica. Poi l’utilizzo del gesso che stende sul colore per simulare, per esempio, la schiuma delle onde, oppure la cera che conferisce una particolare matericità e lucidità al dipinto. Nessun limite dunque alla tecnica purché al servizio della creatività, fino all’esposizione sui bei muri bianchi di quello scrigno che è la CI Vù, galleria a Viareggio, dove una donna, probabilmente con alcune cicatrici, porta avanti con coraggio una personale sfida che sa bene non riporterà a quelli che furono i fasti di neppure tanto tempo addietro, ma che comunque vale la pena di vivere.

Con il giornalista Fabrizio Borghini nella galleria CI Vù: alle pareti e in primo piano alcuni dipinti della Visibelli

CRISTINA VISIBELLI

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Giuseppe Cassandro A Palazzo Frizzoni un bassorilievo donato dallo scultore toscano per omaggiare la città di Bergamo colpita durante la pandemia

Vista della Sala Simoncini all’interno di Palazzo Frizzoni dove l’opera è stata collocata

Dal 5 novembre 2020 il bassorilievo Madonna con Bambino è esposto in permanenza a Palazzo Frizzoni, sede del Comune di Bergamo. In particolare, l’opera è stata collocata nella Sala Simoncini al primo piano, dove si prendono decisioni e iniziative importanti per la valorizzazione della città. Lo scultore Giuseppe Cassandro ha donato il bassorilievo alle istituzioni cittadine per esprimere vicinanza alla comunità bergamasca, tra le più colpite in Italia durante il primo periodo della pandemia. Dalla soglia dei suoi 83 anni, lo scultore toscano si sente molto vicino alle persone che hanno perso i propri cari, proprio perché ha vissuto sulla sua pelle le stesse sensazioni. Cassandro ringrazia quindi tutta la città, in particolar modo il sindaco Giorgio Gori e la Giunta comunale.

Giacomo Angeloni, assessore all’Innovazione del Comune di Bergamo, con il bassorilievo di Giuseppe Cassandro

Ritratti d’artista

Valter Viani

Colori uniti a materiali di recupero per sensibilizzare alla bellezza e al rispetto della natura di Jacopo Chiostri

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un certo punto del suo percorso artistico, Valter Viani ha capito che la poesia, il medium col quale, fino ad allora, aveva dato voce alle proprie emozioni e aveva raccontato il proprio mondo, si era affievolito, forse addirittura dissolto. Difficile dire se, dietro al processo emotivo-creativo che a quel punto si è messo in moto, ci fosse solo l’esaurirsi di una vena poetica oppure decisiva sia stata la spinta a sperimentare nuove forme di linguaggio. In realtà poco importa, certo è che in quel momento si è aperta per questo artista originario di Certaldo una nuova pagina, una nuova avventura, che oggi lo vede solido pittore (e riteniamo corretto aggiungere scultore) impegnato in una modalità espressiva che risulta inedita per lui, ma anche per il pubblico degli appassionati e dei critici. Alla base dei lavori di Viani c’è prima di tutto il gusto e l’esigenza di sperimentare, ed è, infatti, la sperimentazione, a 360 gradi, la cifra caratterizzante della sua poetica. La ricerca di Viani parte dalla scelta dei materiali, tutti oggetti di recupero, perfino pannelli fono assorbenti, che diventano la sua tela; li colora con mezzi insoliti, magari facendo fluire il colore dal beccuccio di una siringa, e spesso, molto spesso, li orna e li caratterizza con degli inserimenti per i quali, anche qui, usa una varietà di materiali, trucioli di ferro, residui di bigiotteria, soprattutto rame, possibilmente modellato in spirale che ne rappresenta tutta l’energia e la carica positiva. L’uso di materiali poveri, in procinto di essere smaltiti, oltre alla valenza artistica, ha un evidente significato di rispetto per l’ambiente e di monito per l’enorme questione, tuttora aperta, degli scarti prodotti dalla

Ecowhite, acrilici e multimateriali, cm 31x65

Io sono amore, acrilici e resine, cm 70x50

nostra “presunta” civiltà: questi oggetti sono restituiti ad una seconda vita e, in un certo senso, quali componenti di un’opera d’arte, anzi, sono affidati ad una propria immortalità. Abbiamo definito Valter Viani anche scultore, e questo, a nostro parere, è perfettamente legittimo laddove nelle sue opere si rintraccia, grazie appunto ai vari inserimenti, una tridimensionalità ed un’occupazione dello spazio che è propria della scultura. C’è poi il colore, e ci sono le forme, quelle che vagamente ricordano la figurazione e quelle tipiche dell’astrazione. Ed è in questa direzione che dobbiamo procedere per meglio comprendere l’arte di Viani. Sì, perché è proprio nel suo essere un astrattista ma anche un figurativo sui generis (molto sui generis), nell’essere limpido ma anche ermetico, nel suo organizzare rigidamente in termini geometrici la composizione ma anche lasciare, in altri casi, libertà al colore di non assumere una forma definita e di esplodere obbedendo solo all’istintualità del gesto, che rintracciamo i suoi perché e le ragioni intime di un linguaggio artistico che non si può ingabbiare. Viani ha frequentato il gruppo “Estrosi”, è socio di Toscana Cultura; dal 2013 ha messo assieme un curriculum importante di esposizioni collettive ma anche tre belle personali, la prima nella splendida cornice del Palazzo Comunale di Casole d’Elsa, poi nelle sale dell’Hotel Minerva di Siena, l’ultima, lo scorso luglio, nella saletta Barbano dello Spazio Espositivo San Marco a Firenze. Nel 2020 tre opere di Viani sono state inserite nel catalogo Artisti in vetrina della casa editrice Pagine di Roma e sono state presentate nel programma TV del professor Plinio Perilli. [email protected]

VALTER VIANI

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B&B Hotels Italia

B&B Hotels torna in Slovenia con una nuova struttura a Maribor, la città della "vecchia vite" di Francesca Vivaldi

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on solo nuove aperture in Italia ma anche nuove sfide internazionali per B&B Hotels che amplia la sua presenza in Slovenia con l’apertura di una seconda struttura, il B&B Hotel Maribor, situato nel cuore dell’omonima città. Dopo l’inaugurazione nel 2019 del B&B Hotel Ljubljana Park – struttura completamente green nel centro della capitale – il gruppo sceglie la suggestiva città di Maribor per aprire la sua seconda struttura in Slovenia. Situata sul fiume Drava e circondata dalle foreste verdi di Pohorje e da pittoresche colline, Maribor è particolarmente apprezzata per l’offerta vinicola; qui, infatti, si trova la più vecchia pianta di vite al mondo chiamata Stara trta (vecchia vite) che, con i suoi 500 anni, è entrata a far parte del Guiness dei primati come la vite più antica al mondo che continua a dare i suoi preziosi frutti. Non solo vino ma anche montagna: Maribor è famosa per il suo comprensorio sciistico situato alla periferia della città sui declivi del monte Pohorje. Il B&B Hotel Maribor si trova nella parte vecchia della città slovena conosciuta in italiano come Marburgo ed è prenotabile al miglior prezzo solo su hotelbb.com. L’hotel è a soli 5 minuti a piedi dalla stazione centrale, dal fiume Drava e dal centro storico con le sue più importanti attrazioni. Soggiornare in questa struttura è la scelta ideale per esplorare non solo la città ma anche le peculiarità della parte orientale della Slovenia e quelle dell’intero paese. Il B&B Hotel Maribor dispone di 102 camere non fumatori in tipologia doppia, matrimoniale, tripla, tutte dotate dei comfort necessari come bagno privato con doccia e asciugacapelli. Per un soggiorno sempre più smart sono disponibili aria condizionata, Smart TV e una connessione Wi-Fi super veloce illimitata e gratuita. Per non rinunciare al piacere di un dolce risveglio,

In questa e nella foto accanto la sala colazione

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B&B HOTEL IN SLOVENIA

L'esterno del B&B Hotel Maribor

è possibile godere di una ricca colazione a buffet con prodotti dolci e salati e con opzioni gluten-free e bio. «Siamo orgogliosi di ampliare la nostra offerta in Slovenia inaugurando una nuovissima struttura in una destinazione dalla forte vena turistica. Maribor con le sue piste da sci, i sentieri escursionistici e le piste ciclabili offre davvero un vero e proprio tesoro di esperienze» ha dichiarato Valerio Duchini, presidente e amministratore delegato di B&B Hotels Italia. «Da qui partiremo per ampliare ancora di più la nostra presenza nell’est Europa, con l’obiettivo di raggiungere un portafoglio internazionale di oltre 700 hotel entro la fine dell’anno, ovvero più di 65 mila camere». L’hotel è raggiungibile in auto, ma anche dagli aeroporti di Vienna e Zagabria con le principali compagnie low cost.

Il Gruppo B&B Hotels Acquisito dalla società d’investimento Goldman Sachs Merchant Banking nel luglio 2019, il Gruppo B&B Hotels è la catena alberghiera internazionale di segmento value for money più importante e più in rapida crescita in Europa. In Francia conta 353 hotel, in Germania 153, in Italia 58 e in Spagna 39. B&B Hotels gestisce anche 10 hotel in Polonia, 7 in Svizzera, 7 in Portogallo, 1 in Repubblica Ceca, 7 in Belgio, 2 in Slovenia, 6

in Austria, 1 in Olanda, 1 in Ungheria e 6 in Brasile. I B&B Hotels offrono ai clienti business e leisure una combinazione di comfort, design e servizi di alta qualità ad un prezzo competitivo. Il Gruppo viene regolarmente premiato in Francia, Germania e Italia per il suo concetto innovativo e la forte crescita. www.hotelbb.com

Una delle stanze matrimoniali disponibili nella struttura

Un particolare della hall

B&B HOTEL IN SLOVENIA

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Benessere e cura della persona A cura di Antonio Pieri

Il profumo del benessere

di Antonio Pieri

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a fine delle vacanze e dell’estate porta con sé sempre un po’ di malinconia. Profumi, odori e viste mozzafiato lasciano spazio alla routine quotidiana. Per alleggerire questo ritorno alla normalità abbiamo deciso di lanciare adesso la nostra nuova fragranza per ambienti: Salvia. L’idea

Dopo il lungo periodo di chiusure dovuto alla pandemia, è presente in tutti noi un grande desiderio di uscire e tornare alla normalità. L’ispirazione per questa fragranza nasce proprio da qui, dalla voglia di stare insieme e dal bisogno, ancora più marcato oggi, di pulizia, freschezza, tranquillità e libertà. In questi ultimi anni, purtroppo, il concetto di pulizia è stato sempre legato all’ambiente ospedaliero, al gel igienizzante (molto spesso aggressivo per la nostra pelle) e a tutto quello che ruota intorno alla paura del contatto umano. È proprio da questa idea che abbiamo voluto creare una nuova linea che corrispondesse in tutto e per tutto a ciò che noi avevamo nel cuore: creare negli ambienti familiari, negli uffici e nelle nostre case un benessere derivante da una sensazione di pulizia naturale, che esprimesse il calore dell’accoglienza che negli ultimi anni ci è mancato.

e pulizia grazie alla presenza di salvia, menta e rosmarino. I toni agrumati del lime infondono una dolce allegria e, uniti alla freschezza di eucalipto, pino e menta crispa, esprimono un forte sentore di libertà. La delicata presenza di petali di giglio, non a caso simbolo di Firenze, e gelsomino donano alla fragranza una nota di dolcezza molto particolare, bilanciando il cuore di questo compound olfattivo con le note balsamiche di testa. Nasce così un profumo calmante e rassicurante, che odora di equilibrio e benessere, infonde fiducia, stimola l’ispirazione e ricorda la libertà. Ottimo da posizionare in ambienti condivisi, in ufficio, in salotto, in bagno e più in generale in ambienti in cui abbiamo bisogno di una fragranza rilassante e fresca che doni equilibrio e benessere.

La fragranza  Grazie al suo naturale e deciso tono olfattivo, Salvia è per eccellenza il profumo del benessere. Calmante e rilassante, ha il potere di stimolare l’ispirazione, riequilibrare la mente infondendo fiducia e diffondendo pace e armonia. Questa fragranza rilascia negli ambienti una sensazione di freschezza

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Vieni a trovarci nel nostro punto vendita in Borgo Ognissanti 2 a Firenze per scoprire questa meravigliosa nuova fragranza.

ntonio Pieri è amministratore delegato dell’azienda il Forte srl e cofondatore di Idea Toscana, azienda produttrice di cosmetici naturali all’olio extravergine di oliva toscano IGP biologico. Svolge consulenze di marketing per primarie aziende del settore, ed è sommelier ufficale FISAR e assaggiatore di olio professionista.

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IL PROFUMO DEL BENESSERE

[email protected] Antonio Pieri

PROFUMO AMBIENTE IDEA TOSCANA fragranze naturali per la casa

IDEA TOSCANA - Borgo Ognissanti, 2 - FIRENZE | Viale Niccolò Machiavelli, 65/67 - SESTO FIORENTINO (FI) | Tel. 055.7606635 |[email protected] | www.ideatoscana.it

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