Marzo Documentazione IMC. a cura della Direzione Generale. 2016: Anno Giubilare della Misericordia

Marzo 2016 Documentazione IMC a cura della Direzione Generale 2016: Anno Giubilare della Misericordia SOMMARIO MANSUETUDINE E MISERICORDIA�������

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Marzo 2016

Documentazione IMC a cura della Direzione Generale

2016: Anno Giubilare della Misericordia

SOMMARIO MANSUETUDINE E MISERICORDIA��������������������������������������������������������������������������� 3 THE YEAR OF MERCY - PASTORAL REFLECTIONS�������������������������������������������������� 8 FRANCESCO MISSIONARIO DI MISERICORDIA E DI PACE�������������������������������� 21 LA MISERCORDIA Y LA MISION IMC EN AMERICA LATINA������������������������������� 34 LA MISERICORDIA MANIFESTADA EN EL BEATO JOSÉ ALLAMANO��������������� 47

Documentazione IMC 1/2016 Istituto Missioni Consolata Redazione: Segretariato Generale per la Missione Viale delle Mura Aurelie, 11-13 - 00165 ROMA Tel. 06/393821 www.consolata.org - Email: [email protected]

MANSUETUDINE E MISERICORDIA P. Stefano Camerlengo, IMC «L’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia. Tutto della sua azione pastorale dovrebbe essere avvolto dalla tenerezza con cui si indirizza ai credenti; nulla del suo annuncio e della sua testimonianza verso il mondo può essere privo di misericordia» (Papa FRANCESCO, Misericordiae Vultus, n. 10). Carissimi missionari, ecco a voi un altro numero della nostra Rivista interna “Documentazioni”. Il tema di questo numero è speciale come è speciale il tempo che stiamo vivendo: Il Giubileo della misericordia. Il nostro Fondatore non usa la parola misericordia ma “mansuetudine”. In questa piccola introduzione cerco di mostrarne alcuni contenuti. Ma, le pagine più importanti sono quelle che seguono e che sono frutto di missionari della Consolata, vedi il testo interessante di padre Ssimbwa Lawrence sulla misericordia nel messaggio e nella vita del nostro Fondatore, il Beato Giuseppe Allamano; oppure la profonda e ampia riflessione di padre Antonio Gabrieli sulla misericordia e la missione del nostro Istituto in America Latina. Infine siamo andati ad attingere dal nostro amico e fratello vescovo Monsignor Rodrigo Mejia S.J. vescovo di Soddo, di origine colombiane ma vescovo in Etiopia, che ci offre una riflessione ecclesiale-pastorale intensa sulla misericordia illuminato dall’Enciclica “Misericordiae Vultus”. “Dal giorno in cui papa Francesco ha spalancato la porta della cattedrale di Bangui (Repubblica Centroafricana), il 29 novembre scorso, con tutta la chiesa siamo entrati nel cammino dell’«Anno santo della Misericordia», anno di grazia che deve avvolgere la nostra vita quotidiana e tutta la nostra attività missionaria. Gesù ci dice: “Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso” (Lc 6,36). Prima di essere un comando, queste parole di Gesù sono la rivelazione di una possibilità: esse attestano la possibilità per l’uomo di partecipare alla misericordia di Dio, ovvero di dare vita, di mostrare tenerezza e amore, di fare Documentazione IMC - 1/2016

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grazia, di con-soffrire con chi soffre, di sentire l’unicità dell’altro e di essergli vicino, di perdonare, di sopportare l’altro e di pazientare con le sue lentezze e le sue inadeguatezze. Gesù di Nazaret ha dato un volto d’uomo alla misericordia e compassione e l’ha narrata nella sua vita (cf. Mc 1, 41 ; 6, 34; Lc 7,13) e, dietro a lui, per la fede in lui e l’amore per lui, anche il discepolo del Signore può vivere la misericordia. Nella Bibbia la misericordia non è semplicemente un’emozione, un fremito delle viscere di fronte al soffrire altrui: essa nasce come acuta risonanza in me del soffrire altrui, ma diventa poi etica, prassi, virtù. Così avviene per il samaritano della parabola, che fa tutto ciò che è in suo potere per alleviare concretamente le sofferenze dell’uomo lasciato moribondo ai lati della strada (cf. Lc 10,29-37). La misericordia, secondo il linguaggio biblico, la si fa (cf. Gen 19,19; 2 1 ,23; 24, I 2; 40,14; Es 20,6; Dt 5,10; Rt 1,8); “Va’ e anche tu fa’ lo stesso” (Lc 10,37), dice Gesù al dottore della Legge a cui ha narrato la parabola del samaritano. Di Gesù che opera guarigioni si dice: “Ha fatto bene ogni cosa” (Mc 7,37; cf. At 10,38). “Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi” (Gv 15,9). Questo amore non può che essere concreto e visibile, effettivo, operativo e non solo intimo e inespresso. La Prima lettera di Giovanni lo ricorda a più riprese: “Non amiamo a parole, né con la lingua, ma con i fatti e nella verità (in opere et veritate)” Gv 3,18); “Se uno ha ricchezze di questo mondo e, vedendo il suo fratello in necessità, gli chiude il proprio cuore, come rimane in lui l’amore di Dio?” (1 Gv 3,17); “Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1 Gv 4,20). Immersi, allora, da questa atmosfera giubilare della misericordia che si fa concreta, mi piace pensare al nostro beato Fondatore, di cui celebriamo i 90 anni della morte, come esempio e maestro di misericordia, sottolineando una parola a lui cara, la mansuetudine: una virtù che modella profondamente la nostra persona e trasforma il nostro rapporto con gli altri. Tra le esortazioni ai partenti per la Missione, l’Allamano raccomandava sempre la mansuetudine, unica virtù di cui Gesù dice in modo specifico di imitarlo, ritenendola indispensabile per chi annuncia il Vangelo: «Gesù non ha insegnato ad imitarlo nei miracoli, nelle cose grandi, ma nella mansuetudine e dolcezza del suo cuore». «La mansuetudine, quando sarete in missione, sarà per voi di una importanza straordinaria.... L’esperienza prova che i missionari e le missionarie in tanto fanno del bene in quanto sono miti. Non dimenticate mai quanta importanza io dia a questa virtù». Il nostro storico, padre Igino Tubaldo, usa un’immagine felice quando afferma che l’Allamano potrebbe essere considerato un esponente della «corrente calda», in quanto insegnava e praticava la misericordia e il perdono di Dio più che il giudizio o la condanna. Al Convitto ecclesiastico da lui diretto si sosteneva, infatti, che era meglio sbagliare per misericordia che per rigore. E, ricordando lo zio, san Giuseppe Cafasso: «Quando gli si diceva che la porta del Paradiso è stretta, rispondeva: “Ebbene, passeremo uno alla volta”». Questa «corrente calda» dovrebbe essere proprio l’atmosfera «normale» della nostra vita comunitaria, lo stile con cui formiamo i futuri missionari, il modo con cui avviciniamo le persone nel nostro lavoro pastorale. Cari fratelli missionari, permettetemi allora di collocare questi brevi cenni sulla misericordiamansuetudine in alcuni «luoghi» concreti della nostra vita, sui quali possiamo interrogarci e riflettere. * Le nostre comunità, tra festa e perdono - Mi è sempre piaciuta questa definizione («la comunità, luogo del perdono e della festa»): due piccole parole che esprimono, senza sotterfugi, ciò che sono e ciò che dovrebbero essere le nostre comunità. Fragili, ma con la possibilità di diventare luoghi di gioia, di accoglienza, di crescita… se saremo capaci di misericordia, perdono e umiltà. «C’è in ognuno di noi una parte che è già luminosa, convertita. E poi c’è quella parte che è ancora tenebra. Una comunità non è fatta solo di convertiti. È fatta di tutti quegli elementi che in noi hanno bisogno di essere trasformati, purificati, potati. Nelle comunità cristiane Dio sembra compiacersi

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di chiamare insieme delle persone umanamente molto diverse. Non erano forse profondamente diversi tra loro i discepoli di Gesù? Non avrebbero mai camminato insieme se il Maestro non li avesse chiamati! Non bisogna cercare la comunità ideale. Avremmo voluto forse delle persone diverse, più allegre o magari più intelligenti. Ma sono loro che Dio ci ha dato, che ha scelto per noi. È con loro che dobbiamo creare l’unità e vivere l’alleanza» (J. Vanier). * «State buoni, se potete» ovvero quando l’impossibile diventa possibile - Ho già citato questa (presunta) frase di san Filippo Neri, ma che traduco ora nella « pastorale del possibile » e che sgorga proprio dalla misericordia di Dio per noi. Davanti al lavoro non piccolo che ci sta davanti, alle sfide che incalzano, ai cambiamenti che la missione sta operando nelle persone, nei luoghi e nei metodi, alla tentazione di scoraggiamento che potrebbe prenderci… ebbene, a ognuno di noi è chiesto di fare soltanto il possibile. «La pastorale del possibile non è una pastorale minimalista, per cui ci si accontenta di fare il minimo, ma una pastorale della “totalità”, rapportata ovviamente all’età, alla salute, ai doni e alle possibilità concrete delle persone. E quando uno fa con sincerità tutto quello che può, ha dimostrato al Signore e alla Chiesa la totalità del suo amore» (Severino Poletto, vescovo emerito di Torino). Il bene, dunque, fatto bene, ma senza scoraggiamento, sensi di colpa, ansia eccessiva, perché Dio non ci chiede l’impossibile, ma è felice di ciò che possiamo dare! * Missione-tenerezza (quasi un volto della misericordia) - Diceva l’Allamano che «il missionario deve averlo il cuore» ed è con il cuore che siamo chiamati ad accostarci agli altri. La misericordia assume per noi l’impegno a non essere missionari dell’efficienza, dell’esteriorità, della durezza, dello spettacolo («dell’indifferenza che umilia, dell’abitudinarietà che anestetizza l’animo e impedisce di scoprire la novità, del cinismo che distrugge», cfr. Misericordiae Vultus, n. 15). Per questo vorrei ripetere (per qualcuno, magari, a cui potrebbe essere sfuggito) ciò che scrivevamo nel dicembre scorso, presentando come protettrice annuale la nostra suor Irene, Nyathaa, madre di misericordia): «In modo sintetico il Fondatore ribadiva ai missionari di avere “un cuore largo verso i fratelli”, un “cuore grande e generoso”, “magnanimo per ogni miseria umana”. E ci esortava ad essere Documentazione IMC - 1/2016

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“missionari della bontà”, che agiscono con tenerezza, pazienza, umiltà, mansuetudine, affabilità, “senza asprezze”, ma con “massima dolcezza”. L’Allamano prendeva l’occasione della partenza per la missione per raccomandare di fare felici le persone, perché “vogliamo portare consolazione”, per “spandere ovunque il profumo dell’amore di Dio”». Le opere di misericordia Con lo spirito di seguire il nostro padre Fondatore di vivere la misericordia in forma concreta, rivisitiamo la lista delle opere di misericordia e, confrontandoci con esse, realizziamo il loro contenuto. Opere di misericordia corporali

1. Dare da mangiare agli affamati 2. Dare da bere agli assetati 3. Vestire gli ignudi 4. Alloggiare i pellegrini 5. Visitare gli infermi 6. Visitare i carcerati 7. Seppellire i morti. Opere di misericordia spirituali

1. Consigliare i dubbiosi 2. Insegnare agli ignoranti

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3. Ammonire i peccatori 4. Consolare gli afflitti 5. Perdonare le offese 6. Sopportare pazientemente le persone moleste 7. Pregare Dio per i vivi e per i morti. Conclusione Allora, misericordia, consolazione, tenerezza… sono le parole «magiche» su cui modulare la nostra vita comunitaria e il nostro impegno missionario. Per questo, quando ci ritroveremo insieme anche quest’anno, nella cara memoria del nostro beato Fondatore, possiamo pregare così: O Dio nostro Padre, ti ringraziamo per averci dato, come padre e maestro, Giuseppe Allamano. Onorando Maria Consolata come dolce madre della consolazione,  ha fatto risplendere tra di noi la tenerezza della sua bontà. Proponendoci la strada della mansuetudine, ci incoraggia, oggi, a diventare misericordiosi come il Padre celeste, missionari capaci di tenerezza, umiltà e gioia. In questo anno santo e con la sua intercessione,  ti chiediamo, o Padre, di poter continuare a «spargere il profumo dell’amore» per onorarti nei poveri e far gustare a tutti  la ricchezza della tua sconfinata misericordia. Amen. “Vi invito a prendervi cura di questa vocazione, a prendervi cura di questi doni che Dio vi ha regalato, ma specialmente voglio invitarvi a prendervi cura e a servire la fragilità dei vostri fratelli. Non trascurateli a causa di progetti che possono apparire seducenti, ma che si disinteressano del volto di chi ti sta accanto. Noi conosciamo, siamo testimoni della «forza incomparabile» della risurrezione che «produce in ogni luogo germi di questo mondo nuovo» (Esort. ap. Evangelii gaudium). “La grandezza di un popolo, di una nazione; la grandezza di una persona si basa sempre su come serve la fragilità dei suoi fratelli. E in questo troviamo uno dei frutti di una vera umanità. Perché, cari fratelli e sorelle, “chi non vive per servire, non serve per vivere”. (Papa Francesco a Cuba) Non dimentichiamoci di pregarlo come intercessore perché Dio, «ricco di misericordia», ci conceda il miracolo che lo proclamerà santo per la Chiesa universale”. (padre Stefano Camerlengo, Roma 16 febbraio 2016, in occasione della festa del Beato Giuseppe Allamano!) Grazie, buona riflessione e soprattutto: Misericordiosi come il Padre!

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THE YEAR OF MERCY PASTORAL REFLECTIONS Mons. Rodrigo Mejía Saldarriaga, s.j. Introduction Pope Francis has not yet produced any document specifically addressed to the priests and religious on the theme of pastoral ministry. However, from his main documents, The Joy of the Gospel and more recently Misericordiae Vultus we can extract some suggestions that invite all those who are full time oriented to pastoral care to reflection, prayer and evangelical discernment. First, the Pope addresses the priests not so much as presiders of the Eucharist celebration but mostly as pastors and guides of the people of God. In other terms, the Pope stresses more the presbyteral function rather than the priestly function as a liturgical function as such, following in this point the more recent theological trends. Having recently opened the extraordinary Jubilee Year on Mercy for the universal Church, I think it is normal that the profile of the apostle today, as a merciful pastor, is stressed. This is why I want to reflect on this theological theme as a central theme for us during this year of Mercy. I will be guided in these reflections by the excellent book of Cardinal emeritus Walter Kasper untitled “Mercy” of which the Pope said in the cover jacket : “This book has done me so much good”. More recently, the same Cardinal Kasper has published another small book on Pope Francis and his “Revolution of Tenderness” whom he calls a “Pope of surprises”. Why a Year of Mercy? The response may be found in an interview to Pope Francis by the known magazine “America” only six months after his election as Pope, he said: “Mercy to heal wounds, to warm the hearts of the faithful. The service of mercy is central in the Church’s mission…The Church ministers must be “ministers of mercy above all”. They have to accompany the people like the good Samaritan”. Later on in his Apostolic Exhortation “The Joy of the Gospel”, he wrote: “The Church must be a place of mercy freely given, where everyone can feel welcomed, loved, forgiven and encouraged to live the good life of the Gospel”.

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The concern for mercy is not new in the Church. Already Pope St. John XXIII in his address at the opening of the Second Vatican Council said: “Now the Bride of Christ wishes to use the medicine off mercy rather than taking up arms of severity…”. Blessed Pope Paul VI spoke in a similar way at the closing of the same Council: “We prefer to point out how charity has been the principal religious feature of this Council…the old story of the Good Samaritan has been the model of the spirituality of the Council”. But one greatest pastoral contribution towards the issue of mercy wasthe Encyclical Letter of Pope Saint John Paul II, “Dives in Misericordia” (1980), a teaching that deserves to be taken up once again during this Holy Year. This letter was written in the background of Pope’s St. John-Paul experience of the horror of the Second World War, the Shoa, the Nazi era, and the communist oppression in Poland. Later on, he took up the suggestions expressed in the writings of Saint Faustina Kowalska and made the Sunday after Easter “Mercy Sunday”. In the Jubilee Year 2000, he canonized Sister Faustina as the first saint of the new millennium. In that Jubilee, among other things Saint John-Paul II wrote, “The Church lives an authentic life when she professes and proclaims mercy – the most stupendous attribute of the Creator and of the Redeemer – and when she brings people close to the sources of the Saviour’s mercy, of which she is trustee and dispenser”. Benedict XVI in his homily during the Mass at the beginning of the conclave (18th April 2005), commenting the Gospel reading, stressed, “Jesus Christ is mercy in person. To encounter Christ is to encounter the mercy of God. Christ’s commission has become our commission through priestly anointing. We are charged with proclaiming “the Year of the Lord’s Mercy” (Lk 4:19) not only with words but also with our lives and with the effective signs of the sacraments”. Consequently, Pope Benedict made of love the main theme of his first Encyclical letter in 2006, “Deus Caritas est”. Later on, in the following encyclical “Caritas in Veritate” (2009) he made of love, not of justice, the basic principle of Catholic Social teaching. This convergence of the four successive Popes of the XX century on the issue of mercy is confirmed by Pope Francis who, since the beginning of his pontificate, chose as his heraldic motto for his episcopal coat of arms: “miserando atque eligendo” (by looking at me with mercy, he chose me). Documentazione IMC - 1/2016

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For Pope Francis, the message of mercy stands at the heart of the message of the Gospel. We can affirm that the topic of mercy has become now the key word of his pontificate. He insistently repeats that God’s mercy is infinite. We may get tired of seeking his mercy but God will never get tired of forgiving us. Pope Francis, in his first Apostolic Exhortation “The Joy of the Gospel”, stresses that mercy “is the greatest of all the virtues and quotes Saint Thomas Aquinas in order to explain the reason: “In itself mercy is the greatest of the virtues, since all others revolve around it, and more than this, it makes up for their deficiencies. This is particular of the superior virtue, and as such it is proper to God to have mercy, through which his omnipotence is manifested to the greatest degree”. No wonder that the Pope, in this background, has proclaimed the Holy Year on Mercy. We have neglected the issue of Mercy However important, Cardinal W. Kasper affirms that theology has neglected the theme of mercy: “ It is all the more surprising that Scholastic theology has neglected this topic and turned it into a mere subordinate theme of justice. Scholastic Theology thereby was tangled up in great difficulties. For when one makes justice the higher criterion, the question arises how a just God, who must punish evil and reward good, can be merciful and grant pardon. Isn’t’ that unfair to those who have striven in an upright manner to live a good life?” There are some reasons for this negligence. Let us see some of them: 1 - In Theodicy, the main attributes of God derive all from his metaphysical essence as a “Subsistent Being”: its being simple, infinite, eternal, omnipotent and perfect. However, in this view, there is no room for mercy because it derives, not from the metaphysical essence of God but from the revelation of God consigned in the Bible. 2 – The absolute perfection of God, according to the traditional metaphysics, entails the inability of God to suffer because suffering must be understood as a deficiency proper to creatures. However, this approach makes very difficult of a “compassionate God”. Can a God, conceived so apathetically, be sympathetic with our human suffering? On the other hand, if God is insensitive to our human suffering how can he be “rich in mercy”? (Eph 3:2) 3 – There is an apparent ontological conflict between mercy and justice. Justice, according to the traditional philosophical definition of “unicuiquesuum” is “iustitiacommutativa”, “iustitiadistributiva” “iustitiaretributiva”. According to this approach to justice, God rewards the just and punishes the wicked. If God, in his mercy, does not punish the sinner, how can that be compatible with the notion of divine justice? And if we respond that God punishes only those who do not repent, then we are making of repentance and forgiveness an exchange of retributive justice, more important than mercy! Due to this philosophical background, the traditional catechesis has stressed the image of an “avenging God” that has thrown many Christians into a state of fear and anxiety about their eternal salvation. The case of Luther is a notorious case in history until he came to understand the real meaning of divine justice in the Bible as we will see later on. Mercy under Suspicion of being an Ideology The issue of the mercy of God is not only a theological problem. It raises a social problem. This was a problem proposed in the past century by Karl Marx and the Marxism. For Marx, Religion is

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the foundation for “consolation and justification” of the distress suffered by people by promising them reward of eternal happiness through unsolved suffering. He describes religion as “opium of the people”. Though his primary intention might not have been to go against religion (opium, in his time, was popularly used as a very efficacious medicine in order to relieve unbearable pain), it becomes not a real response to the meaning of suffering in human life but just a temporary relief for the oppressed victims. A social medicine that would calm the oppressed classes of society so that they do not claim for their rights. In this way, the hope for divine mercy becomes a way of silence the earthly need for justice. We must confess that such an ideological misuse of divine mercy existed and perhaps continues to exist even today. The influence of a social application of Darwinist evolutionism has also contributed to a misconception of mercy. According to Darwin evolution theory, only the strongest species of living beings can survive. The weak all perish. It is the law of the “survival of the strongest and the fittest”. If we apply this principle to the human society, it justifies the strength of the powerful and the promotion of one’s strength, not of mercy. This is what exactly what happens in a competitive and globalized economy in which the dictatorship of the “free market” ends up with the exclusion of the small enterprises: they cannot resist the competition of powerful and multinational corporations. Economy today, is far from being inspired by mercy but rather by competition. In this context, whoever holds firm to the ethical values of the Beatitudes is perceived to be naïve and out of the world.

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The Current situation of the World is crying for Mercy There is also a historical reason for a year of mercy. Due to the widespread terrorism, violence and wars, there is need for empathy and compassion perceived by many people today. The world, according to Pope Francis, has to get rid of a “globalization of indifference”. The Church cannot contribute to build up a different society, if it remains indifferent in the face of dramatically suffering situations today. Compassion is not a merely sentimental pity or diplomatically condolence. The very word compassion implies empathy, “suffering with”, solidarity and “passionately” being committed to redress the unjust social structures that are at the root of injustice. It is here that the call for mercy surpasses the cry for justice. Mercy is applicable even in situations in which complete justice cannot be achieved. Mercy does not undercut justice but goes beyond it especially in hopeless situations of unmerited natural catastrophes. But, then, we, as pastors, are challenged by several pastoral questions: if God is rich in mercy, how to explain that he allows underserved suffering in the world? What would be the deep meaning of the Beatitude “Happy are the merciful”? (Mt 5:7). How can we reconcile mercy and divine justice? What would be the practical consequences if we apply mercy as a fundamental criterion for pastoral action and sacraments in the Church? Such questions constitute a main motivation for priests, pastors, to reflect on the Theology of Mercy in order in order to gain a sound understanding of it. I - The Message of Divine Mercy in the Old Testament: The terms of the Bible to express Mercy The important issue at this point is to go beyond the understanding of mercy as a natural human feeling of compassion and deepen in the message of the Bible about a God that is merciful. There is a common popular opinion that the God of the Old Testament is an angry and revengeful God in contrast with the God revealed by Jesus Christ in the New Testament as a merciful Father. There are some passages of the Old Testament that may sustain this opinion. However, we have to take into consideration the following aspects: a) The progressive process through which the Bible, and particularly the Old Testament reveals the concept of God and his plan of salvation. b) The internal development of the Old Testament in the direction of the New Testament c) The different terms used to indicate the different aspects of mercy in the Old Testament. Characteristically, the Old Testament uses the radical raham that means “womb” or “intestines” and the derivations that indicate compassion and mercy localized in this part of the body. We have also to understand “mercy” when we include the concept of “heart” because this is the core human person, the seat of human feelings, of judgment and of decisions, which is also applied to God in a figurative sense. d) In the Bible compassion is not regarded as a weakness, something unworthy of a strong hero (See for example the psalms of lament, the Laments of Jeremiah, David’s sorrowful complaint at the death of his son Absalom (2 Sam 19). This will appear more clearly in the life and reaction of Jesus in the New Testament. e) The Old Testament goes further in order to speak theologically of God’s heart (Gen 6:6; 1 Sam

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13:14; Jere 3:15; Ps 78:72). The apex is found in prophet Hosea 11:1-11. f ) The most important expression for understanding the notion of mercy in the Old Testament is hesed which means unmerited loving kindness. It is quite frequently together with the term “fidelity” of God. It is an unmerited and unexpected grace from God transcending every relationship of reciprocal fidelity.

The Divine Response to the Chaos and Catastrophe of Sin The reality of God’s mercy does not appear in the Old Testament only in the use of the terms we have proposed but mostly in the events from God in the history of salvation. From the beginning God created everything gratuitously, unmerited and good (Cf. Gen 1:4, 10, 12, 18, 20,25 31) and in a special way the human being in his image (Gen 1:27-30; 2:15). But the human being brought the catastrophe by wanting to be like God (Gen 3:5) and also by jealousy between brothers leading to murder (Gen 4). However, God is merciful and does not want people to run headlong into disaster. Although the term “mercy” may not appear in the early chapters of the Genesis, God’s mercy is factually visible and effective (promise of a Redeemer in Gen 3:15) and even protection to Cain so that nobody may kill him (Gen 8:23; 9: 1-5 ff). In Gen 6:6, before the flood, it is written that God regretted making human beings. But nowhere in the Old Testament it is written that He regretted having had mercy of his people. Again in another sinful crisis, the project of the tower of Babylon, after the chaos of the confusion of languages God makes a new start and gives a new opportunity with the calling of Abraham (Gen 12:1-3) which is the actual beginning of our history of salvation. The love, graciousness and faithfulness of God is manifest in the whole story of Abraham (Cfr. Gen 24:12, 14, 27 32:11). It is through his mercy that God overpowers evil.

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The Revelation of God’s Name as Revelation of God’s Mercy The revelation of the mercy of God is bound to the fundamental revelation of God to Moses in the process of liberation and exodus from the oppression in Egypt. God identifies himself as in continuity with Abraham, Isaac, Jacob and he “has seen the misery of the people in Egypt and has heard their cries (Ex 3:7-9). The mercy of God in liberating his people becomes like the fundamental statement of faith in the Old Testament: “The God, Yahweh who has brought us out of Egypt”. In the episode of the Mount Sinai, after the idolatry of the people to the golden calf that the mercy of God is better disclosed after Moses “reminds” God of his promises and asks for his mercy towards the unfaithful people: “ I will be gracious (hen) and will show mercy (rahamim) on whom I will show mercy”. (Ex 33:19). Then, God commands Moses to prepare a “second edition” of the tablets of the Law (Ex 34). Finally, there is another description of God in Ex 34:6: “ The Lord, The Lord, a God merciful (rahum) and gracious (henun) slow to anger and abounding in steadfast love (hesed) and faithfulness (emet)”. This revelation of God’s nature appears repeatedly in the Old Testament, especially in the psalms, as another “credo” summary of the people of Israel (Cf. Ps 86:5). However, the high point of the revelation of God’s mercy in the Old Testament is found in prophet Hosea. The drama of his message corresponds to the drama of the situation of the people of Israel at that time (722-721 BC).The people had broken the Covenant and God had “decided” to show no more mercy to them (Hos 1:6; 11:18) But God is not a human being and to be merciful is his divine essence. This is one of the radical difference between humans and God. Only the one who stands above and not depending on the demands of only legal justice can forgive and pardon. The books of Jonas and of Job are a revelation of the mercy of God. The same can be said of the book of Tobit. Mercy, Holiness, Justice and the Fidelity of God A brief analysis of the texts of the Old Testament reveals that mercy permeates and integrates all the other attributes of God and this is why that it cannot be treated apart independently of them. We could see the integration of mercy and justice, for example, in the text of Exodus 34:6 and also in the texts of Hosea quoted above. Let us analyse a bit more deeply this interaction of the attributes of God who is perfectly one. a- Mercy and Holiness: Holy, etymologically, means “set apart”, (it is said of a place o of a person). God is not just part of creation, not a being belonging to the universe. His being holy means being completely other, radically different from everything that is created. The mercy of God, therefore, cannot be understood as a sort of “compromise with the evil” produced by human beings. He is not just “allowing our mistakes and malice letting run wild in us. God does not “close his eyes” to evil for the sake of maintaining “diplomatic relations”, as we humans usually do. His mercy is not caused by his ingenuity or naivety. As Paul clearly wrote “God does not let be mocked” (Gal 6:7). b- Mercy and Divine Justice: The Old Testament mentions more than once the “wrath of God”. We cannot interpret this according our human categories as an emotional surge of uncontrolled rage but as an external expression of the interior total opposition of God to sin and to injustice. God’s mercy conforms to his justice. A purely human interpretation attributes the wrath of God to his justice, a justice whose function is to punish the wicked and to reward the righteous already in this earthly life. However, this conception enters into a crisis in the case of the unmerited suffering of the faithful in contrast with the success of the sinner in this life. This is expressed several times in

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the psalms and it constitutes the crucial question of the book of Job. In this context, the “anawim”, the victims who cannot expect real justice on earth put their hope in the divine justice that will have the last word, the eschatological hope for “a new heaven and a new earth in which justice dwells”. This hope is directed towards the coming of the Messiah which will bring the irruption of mercy in a corrupted society. The justice of God is successful, not when the sinner is punished but when the sinner converts and lives. It is not a merely “punitive” justice but a grace for conversion, a justice whose purpose is not to condemn but to justify, that is, to give the humans another opportunity for justification. God never gets tired of giving new opportunities of conversion (Cf. Is 54:7-8,10). c- Mercy and the firm Fidelity of God. The mercy of God is not motivated from outside but from inside, that is from his own merciful nature. When God is merciful, he is faithful, first of all, to himself and also faithful to his promises. This is what Paul will teach later: “If we are unfaithful, He remains faithful because He cannot deny himself ” (2 Tim 1:13). The faithfulness of God is solid and firm like the foundational roc (aman). Our liturgical formula “amen” does not mean first of all an intellectual assent to the truth but an expression of hope and confidence in the solidity of the promises of God: “If you do not stand firm in faith, you will not stand at all” ( Cf. Is 7:9) . Inspired on St. Anselm off Canterbury, S. Thomas Aquinas recognized that God is not bound to follow our rules of human justice. God is sovereign; he is just, not in reference to any law that is not controlled by Him but in reference to Himself, who is Love (1 John 4:8, 16). Because God is Love and, therefore, is faithful to himself, he is also merciful. Mercy is the aspect of God’s nature “ad extra”, in His relations to humankind. By being merciful, God, who is Love, is faithful to himself and his mercy is the expression of his absolute sovereignty in love. Love is the supreme Law of divine Justice and divine mercy is faithfulness to Love. That is what the elder son of the parable of the prodigal son could not understand (Cf. Lk 15:28-32). Documentazione IMC - 1/2016

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d- God’s option for Life and for the Poor in the Old Testament: The Old Testament message about the mercy of God is not restricted to the pure spiritual realm of the forgiveness of sins. God has not only mercy of our souls but of our entire human being made of body and soul, therefore, it has concrete physical and social dimensions. God is the God of life, not the God of death. He does not like that the sinner dies but that he repents and continues to live (Cf. Ez 18:23; 33:11). This already goes in a opposite direction to our human idea of justice according to which, we may think that when the capital death makes the evildoer disappear from the world of the living, then “justice is done”. On the contrary, mercy is God’s option for life, (Cf. Ps 27; 36:10; Wis 11:26). To suppress the life of the unjust has never produced more justice nor suppressed the problem of injustice and evil in society. e- The Poor in the Old Testament (the oppressed, the marginalized, the weak, the forgotten, etc.) area a constant reality in Israel. The whole people were “poor” in the servitude years in Egypt ( Ex 22:20; Dt 10:19; 24:22). Mercy towards the victims appear in the command of God of not exploiting the widows and the orphans as well as the aliens (Cf. Ex 22:24-26; Lev 19: 11-18; 25). This mercy appears in the canticle of Hanna, which prefigures the Magnificat of Mary in the New Testament (See 1 Sam 2:8). The institution of the Sabbath was a moment of mercy providing a day with no manual work, especially for slaves and foreign workers, allowing them to catch their breath and have a rest (Cf. Ex 20:9 ff; 23:12; Dt 5:12-15). The institution of the Sabbatical year (Ex 23:10; Dt 1-18) and especially the year of the jubilee were animated by the same spirit of mercy towards those who were victims of the excessive inequalities in society. This merciful concern of God for the poor is a theme that appears constantly in the Prophets, bound to the denunciation of injustice. The texts of Amos are well known denouncing exploitation and social oppression (Cf. Amos 2:6-8; 4:1, 7-12; 8:4-7). Burning offerings cannot please God more than justice and mercy (Amos 5:21-25). Similar words are found din Isaiah (Is 1:11-17; 14:32; 254; 41:17; 49:13; 58: 5-7). According to the third Isaiah, the Messiah will come especially to the poor, the little ones in order to bring them good news and hope for mercy (Is 61:1). The prophets praise often God for his mercy (Is 54:7; 57:16-19; 63:7- 64:11; Jer 31:20). f- Praise to the merciful God in the Psalms: In many places, the psalms sing the mercy of God. Here are the main references: Psalms of praise for God’s mercy: 25:10; 36:5; 103:8, 13; 106:1; 107:1; 116:5; 145:8. Psalms that show the mercy received by the Poor from God: 9:10,19; 10: 14, 17; 22:25; 113:4-8. Of a special value is Psalm 51 (penitential psalm) and Psalm 86:15. Conclusion: We cannot say that the profile of God according to the Old Testament is the one of an angry and revengeful God, a severe and insensitive judge. Even when he punishes his people, the punishment is not the one of a “punitive justice” but rather the pedagogical and medicinal punishment aiming at the correction and rehabilitation of the persons. We rightly can call it a “medicinal punishment”.

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II – Jesus’ Message of God’s Mercy 1 – In the Infancy Narratives: Leaving aside the question about the nature and origin of these narratives, we approach them as real Revelation and go directly to see how the revelation of a merciful God is to be found in them. The very names of “Emmanuel” (God is with us) (Mt 1:23) and Jesus ( Saviour) (Lk 1:31) are already a program of mercy on the side of God. The central message of these narratives is the mystery of incarnation, which is an initiative of mercy for the sake of our salvation in order to fulfil his promises “from generation to generation” (Lk 1:50,54). The canticles of the Benedictus and the Magnificatmake the explicit link with the mercy of God revealed in the Old Testament. However, there is a fundamental progress: the mercy of God is now revealed as embracing all the nations , as it was promised to Abraham, and is no longer confined to Israel as a chosen people. The short canticle of Simeon affirms this universality in a very explicit way (Lk 2:30-32). In these infancy narratives the humanity of God and its closeness to our human situation is underlined. There is no manifestation of power or majesty. God wants to share our human condition. His kenosis is a visible sign of his compassion for us as it is explained in the Letter to the Hebrews (Cfr. Heb 2:14-18). 2 – Jesus through his Mercy reveals the Mercy of God the Father In the Gospel of Mark, the signs that the Kingdom of God is near is the activity of Jesus moved by compassion towards the sick, the possessed and the healing of everything that harms human life. In Luke, the message of mercy appears in a more clearly manner. The messianic mission of Jesus is described in the light of Isaiah as a mission of mercy towards the blind, the lame, the sick, the captives and the poor in general and also in the way of a “Year of mercy” of the Lord, as it had been described in the book of Leviticus (Cf. Lk 4: 18-19. See Is 61: and Lev 25. The same statements appear substantially in Matthew 11:5 and ff; Lk 7.22). What the three Synoptic gospels say is expressed in the first beatitude: “Blessed are the poor in spirit” (Mt 5:3. Cfr. Lk 6:20): the poor in spirit (anawim) are not only those who are economically and socially poor but all those who have broken hearts, who are discouraged or despairing, all those who stand before God as beggars. Jesus proclaims the message of mercy not only with his teaching but especially with his life. The attitude of Jesus is the one of compassion and mercy: “Come Documentazione IMC - 1/2016

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to me all you who are carrying a heavy burden and I will give you rest” (Mt: 11:28). The examples of healing and liberation of possessed are well known, the blind, the lepers, the hungry and even the mourning widow of Naim touch his heart. What is new in the revelation of the mercy of Jesus and distinguishes it from the message of mercy in the Old Testament is that his merciful attitude is addressed to all, good and bad, not only to the righteous but also to the sinners like the tax collectors, the prostitutes, etc. Jesus explains why: “I have come to call not the righteous but the sinners to repentance (Lk 5:32; Lk 18: 9-14 and Lk 19:1-10). In his merciful attitude Jesus reveals the mercy of his Father because who sees Jesus sees the Father ( Cf. Jn 14:7,9) However, the mercy of God as Father occupies the centre of Jesus’ message. The “Abba” became a characteristic of Jesus, a way of referring to God unusual to the Old Testament. Hence the centrality of the prayer of “Our Father” not only as the prayer par excellence but as a revelation for us of the right understanding of God as a merciful Father who is Father of all humans, “who makes his sun shine on the bad and the good and let the rain fall on the just and the unjust”. (Mt 5:45) The mercy of the Father appears in a special explicit way in the parables of the Good Samaritan (Lk 10:25 -37) and of the so-called “prodigal Son” (Lk 15: 11-32). In the Good Samaritan - Pope Francis comments – appears the current phenomenon of a “globalization of indifference”, that is, a lack of sensitivity and compassion for the millions of people suffering in the world. The Priest and the Levite, precisely two men supposed to be closely attached to their religious office, pass by the victim without being affected (Cf. Kasper pp 69-70). In the Parable of the prodigal son the father’s mercy appears as the highest form of justice: divine mercy leads “human beings to a return to the truth of themselves. God’s mercy does not humiliate the person; it respects the dignity of the human being”. Conclusion: Not only the quoted texts but the whole life of Jesus shows that he is oriented to serve others. Even if Jesus has opponents who criticize his healings in a Sabbath day (Cfr. Mk 3:6; Mt 12:14; Lk 6:11) and for daring to forgive sins (Mk 2:6; Mt 9:2ff; Lk 5:20-22). It is true that Jesus responds to them with stern words of judgment. We cannot ignore his angry reaction towards the exchangers and sellers in the temple. But even in those cases, the purpose of his reactions is not to condemn. We have to understand them as “prophetic actions” (frequent in the prophets of the Old Testament) in order to warn the people and to urge them to conversion, offering them by the same token a chance for forgiveness.

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III – Ecclesial Praxis and the Culture of Mercy Leaving aside other important consideration on Mercy from the Systematic Theology point of view, we are going to consider some of the main pastoral consequences for the Church in the light of mercy. Today, more than ever, the Church is judged by people more by its deeds than by its words and it is important that there is a certain coherence between both for the credibility of evangelization. As an instrument and a sacrament of the Kingdom of God the Church must be before all an instrument and a sacrament of the mercy of God as Pope Francis teaches: “The Church must be a place of mercy freely given, where everyone can feel welcomed, loved, forgiven and encouraged to live the good life of the Gospel”. The Catechism of the Catholic Church teaches that the Church promotes the mercy of God especially through the sacrament of reconciliation . This is a call specifically addressed to all the priests: “I will never tire of insisting that confessors be authentic signs of the Father’s mercy. We do not become good confessors automatically. We become good confessors when, above all, we allow ourselves to be penitents in search of his mercy. Let us never forget that to be confessors means to participate in the very mission of Jesus to be a concrete sign of the constancy of divine love that pardons and saves. We priests have received the gift of the Holy Spirit for the forgiveness of sins, and we are responsible for this. None of us wields power over this Sacrament; rather, we are faithful servants of God’s mercy through it. Every confessor must accept the faithful as the father in the parable of the prodigal son: a father who runs out to meet his son despite the fact that he has squandered away his inheritance. Confessors are called to embrace the repentant son who comes back home and to express the joy of having him back again. Let us never tire of also going out to the other son who stands outside, incapable of rejoicing, in order to explain to him that his judgement is severe and unjust and meaningless in light of the father’s boundless mercy”. May confessors not ask useless questions, but like the father in the parable, interrupt the speech prepared ahead of time by the prodigal son, so that confessors will learn to accept the plea for help and mercy pouring from the heart of every penitent. In short, confessors are called to be a sign of the primacy of mercy always, everywhere, and in every situation, no matter what”. There is a great challenge to the merciful attitude in general as Pope Francis explains, quoting a paragraph from his predecessor Saint John Paul II: “Let us not forget the great teaching offered by Saint John Paul II in his second Encyclical, Dives in Misericordia, which, at the time came unexpectedly, its theme catching many by surprise. There are two passages in particular to which I would like to draw attention. First, Saint John Paul II highlighted the fact that we had forgotten the theme of mercy in today’s cultural milieu: “The present-day mentality, more perhaps than that of people in the past, seems opposed to a God of mercy, and in fact tends to exclude from life and to remove from the human heart the very idea of mercy. The word and the concept of ‘mercy’ seem to cause uneasiness in man, who, thanks to the enormous development of science and technology, never before known in history, has become the master of the earth and has subdued and dominated it (cf. Gen 1:28). This dominion over the earth, sometimes understood in a one-sided and superficial way, seems to have no room for mercy… And this is why, in the situation of the Church and the world today, many individuals and groups guided by a lively sense of faith are turning, I would say almost spontaneously, to the mercy of God”. However, the mercy of the Church is not confined only to the sacrament of reconciliation but it pervades all its pastoral activity, as Pope Francis teaches in his Bull of Indiction “Misericordiae Vultus”: “Mercy is the very foundation of the Church’s life. All of her pastoral activity should be caught up in the tenderness she makes present to believers; nothing in her preaching and in her Documentazione IMC - 1/2016

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witness to the world can be lacking in mercy. The Church’s very credibility is seen in how she shows merciful and compassionate love. The Church “has an endless desire to show mercy”. One of the most important pastoral consequences of mercy is the orientation of the Church towards those most in need in the human society. For Pope Francis, this means today the poor, the displaced, the refugees, the marginalized and the powerless. Hence the duty of the pastors of reminding all the Christians of the practice of the “works of mercy”: “It is my burning desire that, during this Jubilee, the Christian people may reflect on the corporal and spiritual works of mercy. It will be a way to reawaken our conscience, too often grown dull in the face of poverty. And let us enter more deeply into the heart of the Gospel where the poor have a special experience of God’s mercy. Jesus introduces us to these works of mercy in his preaching so that we can know whether we are living as his disciples. Let us rediscover these corporal works of mercy: to feed the hungry, give drink to the thirsty, clothe the naked, welcome the stranger, heal the sick, visit the imprisoned, and bury the dead. And let us not forget the spiritual works of mercy: to counsel the doubtful, instruct the ignorant, admonish sinners, comfort the afflicted, forgive offences, bear patiently those who do us ill, and pray for the living and the dead. We cannot escape the Lord’s words to us, and they will serve as the criteria upon which we will be judged: whether we have fed the hungry and given drink to the thirsty, welcomed the stranger and clothed the naked, or spent time with the sick and those in prison (cf. Mt 25:31-45)”. Conclusion: The year of mercy is not to be conceived as a year of relaxing our concern for justice. Mercy and justice are not opposed nor contradictory. If there is such a great need for mercy today, it is precisely towards the millions of victims of social injustice. The growing gap between the rich and the poor, consequence of a wild neoliberal capitalism, is one of the main root causes of the exclusion of the poor in society. Therefore, he promotion of justice remains a main concern for the pastoral activity of the Church. To make the affluent upper classes aware of the unjust economic structures in which they live and whose practice they justify in the name of a “free market”, an uncontrolled market, is a great service not only to the victims but for the rich themselves. The greatest beneficiary of the visit to Jesus to the rich tax collector Zacchaeus was Zacchaeus himself who felt liberated from the chain of the social debt of his conscience. The mercy of Jesus produced justice. (Cf. Lk 19:1- 10).

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FRANCESCO MISSIONARIO DI MISERICORDIA E DI PACE (LETTURA DI UNA VISITA) “ANNUNCERANNO LA MIA GLORIA ALLE GENTI” (IS.66,19)

“La gloria di Dio è la vita dell’uomo: così diceva sant’Ireneo nel II secolo, espressione che continua a risuonare nel cuore della Chiesa. La gloria del Padre è la vita dei suoi figli. Non c’è gloria più grande per un padre che vedere la realizzazione dei suoi; non c’è soddisfazione maggiore che vederli andare avanti, vederli crescere e svilupparsi…” 1. La missione nella testa e nel cuore • “È motivo di gioia poter calcare questa terra messicana che occupa un posto speciale nel cuore delle Americhe. Oggi vengo come missionario di misericordia e di pace, ma anche come un figlio che vuole rendere omaggio a sua madre, la Vergine di Guadalupe e lasciarsi guardare da lei... Mi dispongo a visitare questo grande e bel Paese come missionario e pellegrino...” 2. Silenzio nel “coretto” (Allamano) e per la via • Il mio desiderio più intimo è fermarmi davanti alla Madonna di Guadalupe...”(Venerdì, 12 febbraio 2016, durante il volo, Roma la Habana) • Dopo essere stato ricevuto nel Palazzo Nazionale di città del Messico e avere ricevuto le chiavi come cittadino onorario, Papa Francesco è entrato nella Cattedrale per la porta del giubileo e si è recato, in silenzio, di fronte al Cristo Negro, molto amato nel paese. • Al Santuario il papa è rimasto in silenzio davanti alla Morenita, ponendosi con la stessa disposizione d’animo di Juan Diego, chiamato dalla Guadalupana il più piccolo dei miei figli. Le sue parole hanno condensato perfettamente il momento: “guardarti semplicemente Madre, lasciando aperti solo gli occhi; guardarti tutta e senza dire nulla dirti tutto, silenzioso e riverente”. 3. Spirito di famiglia “Il nostro Padre è il Padre di una grande famiglia, è Padre nostro. Sa avere un amore, ma non sa generare e creare “figli unici” tra di noi. E’ un Dio che sa di famiglia, di fraternità, di pane spezzato Documentazione IMC - 1/2016

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e condiviso”. (Centro studi di Ecatepec, Domenica, 14 febbraio 2016). “Certo, vivere in famiglia non sempre è facile, spesso è doloroso e faticoso, ma… preferisco una famiglia ferita che ogni giorno cerca di coniugare l’amore, a una famiglia e una società malata per la chiusura o la comodità della paura di amare… narcisistica e ossessionata dal lusso e dalle comodità… “Padre, in una famiglia perfetta non ci sono mai discussioni”. Non è vero: è bene che ogni tanto si discuta, e che voli qualche piatto, va bene, non abbiate paura. L’unico consiglio è di non finire la giornata senza fare la pace, perché se finite la giornata in guerra arrivate al mattino in “guerra fredda”...” 4. Primato della santità: “la scuola della preghiera è la scuola della vita e la scuola della vita è il luogo in cui facciamo scuola di preghiera. a). Gesù introdurre i suoi nel mistero della Vita, nel mistero della Sua vita. • Mostrò loro mangiando, dormendo, sanando, predicando, pregando che cosa significa essere Figlio di Dio. • Li invitò a condividere la sua vita, la sua intimità e, mentre stavano con Lui, fece loro toccare nella sua carne la vita del Padre. • Fa loro sperimentare nel suo sguardo, nel suo camminare, la forza, la novità di dire: “Padre nostro”. b). Ci invita a fare lo stesso: • Fare esperienza di questo amore misericordioso del Padre nella nostra vita, nella nostra storia…, imparare a dire “Padre nostro”, a dire “Abbà”. • Partecipare alla Sua vita, alla vita divina, testimoni di quello che abbiamo visto e udito. Non siamo né vogliamo essere dei funzionari del divino, non siamo né desideriamo mai essere impiegati di Dio.

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• Pregare tutti i giorni questo Padre nostro: non lasciarci cadere in tentazione. Gesù stesso pregò perché noi suoi discepoli – di ieri e di oggi – non cadessimo in tentazione. Quale può essere una delle tentazioni che ci potrebbe assalire? Credo che la rassegnazione può riassumere tutte. Una rassegnazione che ci paralizza e ci impedisce non solo di camminare, ma anche di fare la strada; una rassegnazione che non soltanto ci spaventa, ma che ci trincera nelle nostre “sacrestie” e apparenti sicurezze; una rassegnazione che non soltanto ci impedisce di annunciare, ma che ci impedisce di lodare. Una rassegnazione che non solo ci impedisce di progettare, ma che ci impedisce di rischiare e di trasformare le cose. Per questo, Padre Nostro, non lasciarci cadere nella tentazione. c) Sorseggiare del proprio pozzo: “Che bene ci fa fare appello alla nostra memoria nei momenti della tentazione! Quanto ci aiuta osservare il “legno” con cui siamo stati fatti… in questo fare memoria non possiamo tralasciare il primo Vescovo di Michoacán, Vasco Vásquez de Quiroga, conosciuto anche come “Tata Vasco”, come “lo spagnolo che si fece indio”, che in lingua purépechas significa: papà. I nostri testimoni: Giuseppe Allamano: “padre e formatore di missionari”; Irene Stefani: “donna tutta misericordia”; Giuseppe Cafasso: “prete della forca”; ecc. d). Gesù ci invita a pregare al Padre di non lasciarci cadere nella tentazione: •

della rassegnazione,



della perdita della memoria,

• di dimenticarci dei nostri predecessori che ci hanno insegnato con la loro vita a dire: Padre Nostro . 5. Maria come modello e guida “Sono contento di stare con voi, qui nelle vicinanze del “Monte del Tepeyac”, come agli albori dell’evangelizzazione di questo Continente e vi chiedo per favore di permettermi che tutto quanto vi dirò possa dirlo partendo dalla Guadalupana. Come vorrei che fosse Lei stessa a recarvi, fino al profondo delle vostre anime di Pastori e, per mezzo di voi, a ciascuna delle vostre Chiese particolari presenti in questo vasto Messico. • Anzitutto, la Vergine Morenita ci insegna che l’unica forza capace di conquistare il cuore degli uomini è la tenerezza di Dio… a Guadalupe non si chiede l’abbondanza dei raccolti o la fertilità della terra, bensì si cerca un grembo in cui gli uomini, sempre orfani e diseredati, vanno cercando una protezione, una casa. • Vi invito a partire nuovamente da questa necessità di un grembo che promana dall’anima del vostro popolo. Il grembo della fede cristiana è capace di riconciliare il passato spesso segnato da solitudine, isolamento ed emarginazione, con il futuro continuamente relegato ad un domani che sfugge. • Chinatevi, con delicatezza e rispetto, sull’anima profonda della vostra gente, scendete con attenzione e decifrate il suo misterioso volto. Il presente, spesso dissolto in dispersione e festa, non è propedeutico a Dio che è l’unico e pieno presente? La familiarità con il dolore e la morte non sono forme di coraggio e vie verso la speranza? La percezione che il mondo sia sempre e solamente da redimere non è antidoto all’autosufficienza prepotente di quanti credono di poter prescindere da Dio? • Siate pertanto Vescovi di sguardo limpido, di anima trasparente, di volto luminoso. Non abbiate paura della trasparenza. La Chiesa non ha bisogno dell’oscurità per lavorare. Vigilate Documentazione IMC - 1/2016

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affinché i vostri sguardi non si coprano con le penombre della nebbia della mondanità; non lasciatevi corrompere dal volgare materialismo né dalle illusioni seduttrici degli accordi sottobanco; non riponete la vostra fiducia nei “carri e cavalli” dei faraoni attuali, perché la nostra forza è la “colonna di fuoco” che rompe dividendole in due le acque del mare, senza fare grande rumore (cfr Es 14,2425). • Non perdete, dunque, tempo ed energie nelle cose secondarie, nelle chiacchiere e negli intrighi, nei vani progetti di carriera, nei vuoti piani di egemonia, negli sterili club di interessi o di consorterie. Non lasciatevi fermare dalle mormorazioni e dalle maldicenze. Introducete i vostri sacerdoti in questa comprensione del ministero sacro. • Penso alla necessità di offrire un grembo materno ai giovani. Che i vostri sguardi siano capaci di incrociarsi con i loro sguardi, di amarli e di cogliere ciò che essi cercano con quella forza con cui molti come loro hanno lasciato barche e reti sull’altra riva del mare (cfr Mc 1,17-18), hanno abbandonato banchi delle imposte pur di seguire il Signore della vera ricchezza (cfr Mt 9,9). • Vi prego di non sottovalutare la sfida etica e anti-civica che il narcotraffico rappresenta per l’intera società messicana, compresa la Chiesa. Le proporzioni del fenomeno, la complessità delle sue cause, l’immensità della sua estensione come metastasi che divora, la gravità della violenza che disgrega e delle sue sconvolte connessioni, non permettono a noi, Pastori della Chiesa, di rifugiarci in condanne generiche, bensì esigono un coraggio profetico e un serio e qualificato progetto pastorale per contribuire, gradualmente, a tessere quella delicata rete umana, senza la quale tutti saremmo fin dall’inizio distrutti da tale insidiosa minaccia. • Nel manto dell’anima messicana Dio ha tessuto, con il filo delle impronte meticce della sua gente, il volto della sua manifestazione nella “Morenita”. Dio non ha bisogno di colori spenti per disegnare il suo volto… Siate, pertanto, Vescovi capaci di imitare questa libertà di Dio scegliendo ciò che è umile per manifestare la maestà del suo volto, e di imitare questa pazienza divina nel tessere, col filo sottile dell’umanità che incontrate, quell’uomo nuovo che il vostro paese attende. • Uno sguardo di singolare delicatezza vi chiedo per i popoli indigeni e le loro affascinanti culture, non di rado massacrate. Il Messico ha bisogno delle sue radici amerinde per non rimanere in un enigma irrisolto. Gli indigeni del Messico aspettano ancora che venga loro riconosciuta effettivamente la ricchezza del loro contributo e la fecondità della loro presenza per ereditare quella identità che vi fa diventare una Nazione unica e non solamente una tra le altre. Si è parlato molte volte del presunto destino incompiuto di questa Nazione, del “labirinto della solitudine” nel quale sarebbe imprigionata, della geografia come destino che la intrappola. Per alcuni, tutto questo sarebbe ostacolo per il disegno di un volto unitario, di una identità adulta, di una posizione singolare nel concerto delle nazioni e di una missione condivisa. • Che i vostri sguardi, riposati sempre e solamente in Cristo, siano capaci di contribuire all’unità del vostro Popolo; di favorire la riconciliazione delle sue differenze e l’integrazione delle sue diversità; di promuovere la soluzione dei suoi problemi endogeni; di ricordare la misura alta che il Messico può raggiungere se impara ad appartenere a sé stesso prima che ad altri; di aiutare a trovare soluzioni condivise e sostenibili alle sue miserie; di motivare l’intera Nazione a non accontentarsi di meno di quanto si attende dal modo messicano di abitare il mondo. • Vi invito a faticare senza paura nel compito di evangelizzare e di approfondire la fede, mediante una catechesi mistagogica che sappia far tesoro della religiosità popolare della vostra gente... •

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Vi supplico di custodire nel vostro cuore il volto dei vostri sacerdoti. Non lasciateli esposti Documentazione IMC - 1/2016

alla solitudine e all’abbandono, preda della mondanità che divora il cuore. Siate attenti e imparate a leggere i loro sguardi per gioire con loro quando si sentono felici di raccontare ciò che “hanno fatto e insegnato” (cfr Mc 6,30), e anche per non tirarsi indietro quando si sentono un po’ umiliati e non possono far altro che piangere perché “hanno rinnegato il Signore” (cfr Lc 22,61-62), e anche per sostenerli, in comunione con Cristo, quando qualcuno, abbattuto, uscirà con Giuda “nella notte” (cfr Gv 13,30). • Nostra Signora di Guadalupe chiese solamente una “casetta sacra”. I nostri popoli latinoamericani capiscono bene il linguaggio diminutivo e molto volentieri lo usano. Forse hanno bisogno del diminutivo perché altrimenti si sentirebbero perduti. Si sono adattati a sentirsi sminuiti e si sono abituati a vivere nella modestia. La Chiesa, quando si raduna in una maestosa Cattedrale, non potrà fare a meno di comprendersi come una “piccola casa”, in cui i suoi figli possono sentirsi a proprio agio... “Casetta” familiare e al tempo stesso “sacra”... L’Episcopato messicano (possiamo leggere IMC nelle Americhe) ha compiuto passi notevoli in questi anni conciliari... Mentre ci rallegriamo per il cammino di questi anni, vi chiedo: • di non lasciarvi scoraggiare dalle difficoltà e di non risparmiare ogni possibile sforzo per promuovere... lo zelo missionario... • di curare specialmente la formazione e la preparazione dei laici, superando ogni forma di clericalismo e coinvolgendoli attivamente nella missione della Chiesa... • che la Pontificia Università del Messico fosse sempre più al centro degli sforzi ecclesiali per assicurare quello sguardo di universalità senza il quale la ragione, rassegnata a modelli parziali, rinuncia alla sua più alta aspirazione di ricerca della verità. •

vi esorto a conservare la comunione e l’unità tra di voi...

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6. Opzioni o scelte missionarie comuni 6.1. Missione nella diaspora: nelle frontiere e al di là. Sono milioni i figli della Chiesa che oggi vivono nella diaspora o in transito peregrinando verso il nord in cerca di nuove opportunità. Molti di loro lasciano alle spalle le proprie radici per avventurarsi, anche nella clandestinità che implica ogni tipo di rischio, alla ricerca della “luce verde” che considerano come loro speranza. Tante famiglie si dividono; e non sempre l’integrazione nella presunta “terra promessa” è così facile come si pensa. Fratelli, i vostri cuori siano capaci di seguirli e raggiungerli al di là delle frontiere. Rafforzate la comunione con i vostri fratelli dell’episcopato statunitense affinché la presenza materna della Chiesa mantenga vive le radici della loro fede, le ragioni della loro speranza e la forza della loro carità. Non succeda che appendendo le loro cetre, ammutolisca la loro gioia, dimenticandosi di Gerusalemme e trasformandosi in “esiliati di sé stessi” (cfr Sal 136/137). Testimoniate uniti che la Chiesa è custode di una visione unitaria dell’uomo e non può accettare che sia ridotto a mera “risorsa umana”. Non sarà vana la premura delle vostre diocesi nel versare il poco balsamo che possiedono sui piedi feriti di quanti attraversano i loro territori e di spendere per loro il denaro duramente raccolto; il Samaritano divino alla fine arricchirà chi non è passato indifferente davanti a Lui quando stava per terra lungo la strada (cfr Lc 10,25-37). Una sola famiglia nelle Americhe: “… desidero anche salutare da qui i nostri cari fratelli e sorelle che ci accompagnano simultaneamente dall’altra parte della frontiera. Specialmente quelli che si sono radunati nello stadio dell’Università di El Paso, conosciuto come il “Sun Bowl”, sotto la guida del loro Vescovo, Mons. Mark Seitz. Grazie all’aiuto della tecnologia, possiamo pregare, cantare e celebrare insieme l’amore misericordioso che il Signore ci dà, e che nessuna frontiera potrà impedirci di condividere. Grazie, fratelli e sorelle di El Paso, perché ci fate sentire una sola famiglia e una stessa comunità cristiana .

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Riflessione personale: La missione tra, con, per e attraverso i migranti Una realtà vecchia come l’umanità, la migrazione è presente da poco nella comprensione missionaria della Chiesa Cattolica. Nell’enciclica Redemptoris missio, del 1990, Giovanni Paolo II l’inserisce nell’ambito della missione ad gentes (n. 37 e 38) e l’ultimo documento sulla pastorale dei migranti, l’Istruzione Erga migrantes caritas Christi la qualifica come un “segno dei tempi” molto sfidante, “un capitolo sostanzialmente inedito e fondamentale del compito missionario: quello di esercitarlo nelle terre di antica tradizione cristiana”. Noi missionari, migranti volontari, stranieri legali, comunque ospiti accolti in insieme con i migranti italiani della prima meta del secolo scorso, più specificamente in Brasile, Argentina, Canada e Stati Uniti, abbiamo individuato la migrazione come “luogo missionario ad gentes” e scelto i migranti come una “opzione comune” della nostra attività missionaria. Oggi, cambiata la nostra fisionomia umana e culturale, come Istituto, cambiati anche i volti dei migranti, siamo sfidati a vivere, pensare e fare la missione ad gentes “trasformando sempre più l’esperienza migratoria in veicolo di dialogo e di annuncio del messaggio cristiano”, consapevoli che la missione ad gentes precede la chiesa. Come una Istituzione internazionale e interculturale, presente nei luoghi di origine, di passaggio e di arrivo dei migranti, possiamo, meglio dobbiamo, partecipare alla missione del straniero Gesù oggi, nelle frontiere delle società, delle nazioni, anche delle culture e della legalità: • essere con le perssone, i popoli e le sue culture, al territorio originale, non per spingere l’uscita ma per aiutare a creare condizioni degne per la permanenza. •

accompagnare il cammino del deserto o del mare di quelli obbligati a emigrare,



soggiornare accanto loro nelle fragile tende delle frontiere,



ricostruire con loro la vita e l’identità interculturale in terra strana.

Proposta: una sola famiglia missionaria della Consolata al continente, attraverso e con i migranti: “Nessuna frontiera potrà impedirci di condividere” tra il Canada, Estati Uniti e il Messico. 6.2. Missione tra e con gli indigeni L’Esodo e il Popol Vuh: “Li smantal Kajvaltike toj lek - La legge del Signore è perfetta, rinfranca l’anima” (Sal 19/18,8). Questa è la legge che il Popolo d’Israele aveva ricevuto per mano di Mosè... Un Popolo che aveva sperimentato la schiavitù e il dispotismo del Faraone, che aveva sperimentato la sofferenza e i maltrattamenti, finché Dio disse “basta!”, finché Dio disse: “non più!”. Ho visto l’afflizione, ho udito il grido, ho conosciuto la sua angoscia (cfr Es 3,9)… Esperienza, realtà che trova eco in quella espressione che nasce dalla sapienza allevata in queste terre fin dai tempi lontani e che così recita nel Popol Vuh: “L’alba sopraggiunse sopra le tribù riunite. La faccia della terra fu subito risanata dal sole” (33). L’alba sopraggiunse per i popoli che più volte hanno camminato nelle diverse tenebre della storia. In molti modi e in molte forme si è voluto far tacere e cancellare questo anelito, in molti modi hanno cercato di anestetizzarci l’anima, in molte forme hanno preteso di mandare in letargo e addormentare la vita dei nostri bambini e giovani con l’insinuazione che niente può cambiare o che sono sogni impossibili. Davanti a queste forme, anche il creato sa alzare la sua voce: “Questa sorella protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a

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saccheggiarla. La violenza che c’è nel cuore umano ferito dal peccato si manifesta anche nei sintomi di malattia che avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi. Per questo, fra i poveri più abbandonati e maltrattati, c’è la nostra oppressa e devastata terra, che “geme e soffre le doglie del parto” (Rm 8,22)” (Enc. Laudato si’, 2). La sfida ambientale che viviamo e le sue radici umane ci toccano tutti (cfr ibid., 4) e ci interpella. Non possiamo più far finta di niente di fronte a una delle maggiori crisi ambientali della storia. In questo voi avete molto da insegnarci, da insegnare all’umanità. I vostri popoli, come hanno riconosciuto i Vescovi dell’America Latina, sanno relazionarsi armonicamente con la natura, che rispettano come “fonte di nutrimento, casa comune e altare del condividere umano” (Documento di Aparecida, 472). Tuttavia, molte volte, in modo sistematico e strutturale, i vostri popoli sono stati incompresi ed esclusi dalla società. Alcuni hanno considerato inferiori i loro valori, la loro cultura, le loro tradizioni. Altri, ammaliati dal potere, dal denaro e dalle leggi del mercato, lo hanno spogliati delle loro terre o hanno realizzato opere che le inquinavano. Che tristezza! Quanto farebbe bene a tutti noi fare un esame di coscienza e imparare a dire: perdono! Perdono, fratelli! Il mondo di oggi, spogliato dalla cultura dello scarto, ha bisogno di voi! Riflessione personale: La missione tra, con, per e attraverso i popoli indigeni: Come Missionari della Consolata siamo sempre stato sensibili ai lontani. Cosi ci hanno percepito nelle diverse chiese locali, perciò, sovente ci hanno offerto luoghi dove altri non vogliono o no possono andare e noi siamo andati volentieri. Oggi continuano a farlo, anche se con un po’ più di fatica, sia perché la riflessone teologica non relaziona più la missione ad gentes con la geografia, sia perché le sfide e l’offerte urbane sono più attraenti. Comunque rimane ancora evidente che la componente geografica esiste e continua a richiamarci. Noi Missionari della Consolata man mano che ci siamo approssimati ai popoli o comunità etniche, ci siamo sentiti più identificati col nostro carisma e collegati con nostra tradizione. Nei diversi contesti americani abbiamo assorbito della la prima radice identitaria, originaria ed originale, e abbiamo visualizzato anche le altre due, quella “afro-discendente” e quella europea. Possiamo dire che siamo arrivati alle radici originari della Amerindia, anche se ancora ci richiamano in Stati Uniti, il Messico, la Bolivia, ecc. Rimangono tuttavia aperte la domanda e la sfida: “come far giungere loro e attraverso loro al mondo, il messaggio evangelico? Una cosa è chiara: l’incontro con l’Amerindia ci a messo in interattività con un Indio non soltanto naturale, ma anche culturale e d’allora il Paraclito ci viene coinvolgendo in una missione che non si preoccupa solo di popoli autoctoni isolati, ma connessi, in “rete” pan-amazzonica e congolese, dal Canada all’Argentina. Missione con visione e articolazione globale ma a “casa”: spazio di culto (religione: relazione col trascendente), coltivo (lavoro: relazione con creato) e coccolo (affetto: relazione socio-politiche), cioè cultura, intesa come “maniera particolare in cui gli individui e i popoli coltivano la loro relazione con la natura e i loro fratelli, con se stessi e con Dio, al fine di giungere ad una esistenza pienamente umana”, stile di vita pertanto che caratterizza e differenzia un determinato popolo...” . Il mandato del Signore Gesù, “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura” (Mc 16, 15), ci esige sentire ogni creatura di maniera differenziata, “ascoltare, anche, il grido profondo e sofferente del creato che Dio ci ha donato, della casa che egli ha affidato a noi ma anche a le future generazioni” . Documentazione IMC - 1/2016

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La missione cosi pensata e vissuta divenne umana ma cosmica, plurale ma collegata, cattolica ma contestuale, cristiana ma dialogale, inculculturata ma inte-culturale, operata da noi nella e con Chiesa Cattolica, a partire delle Chiese Particolari, ma inter-ecclesiale, ecumenica e intereligiosa, sempre guidata dallo Spirito del Crocifisso Risorto. Questa missione, la stessa di ieri ma odierna, ci richiama a collegarci, ad essere-con, a lavorare in “rete”, a partecipare con altri, a dialogare col diverso, ad imparare più che insegnare. I popoli originari, grazie alla saggezza dei secoli e alla eroica resistenza degli ultimi cinquecento e più anni, anno molto da insegnarci, molta consolazione da condividere con l’umanità: invece del “vivere meglio”, che suppone un’etica del progresso illimitato e ci istiga alla competizione a scapito dei più deboli, loro propongono il “buen vivir”, “vivere bene” o anche “convivere bene”. Sapranno gli altri (noi) ascoltare, riconoscere, imparare ed implementare le loro proposte? Proposte: La Rete Ecclesiale Pan Amazzonica (Repam), collegata anche con il Congo. Noi siamo presenti al Brasile (Regione Amazzonia), Colombia – Equatore – Perù (missione tri-frontierza) – Venezuela (Delta del Orinoco) e al Congo (Isiro). Collegata con la Repam, troviamo, per molti aspetti, le opzioni per i Popoli indigeni e le comunità Afro-discendenti. Come Famiglia della Consolata (IMC – MC – LMC) accompagniamo gli indigeni amazzonici nella Diocesi di Roraima - Brasile (Yanomami, Macuxi, Wapixana, Ingarico, ecc); nel Vicariato Apostolico di San Miguel de Sucumbios – Equatore (Kichwa, Shuar, Secoya, Cofán y Siona); nel Vicariato Apostolico de Puerto Leguizamo – Solano, Colombia (Coreguajes, Ingas, Kichwa, ecc.); nella Diocesi di Oran – Argentina, nella frontiera con la Bolivia (Guaraní, Wichí ed altri); nel Vicariato Apostolico di Tucupita – Venezuela (Warau). Abbiamo parlato a lungo della missione con indigeni in Estati Unito, la Bolivia, Guatemala e anche al Canada. Anche le Missionarie della Consolata lavorano presso popoli indigeni, indipendenti dei Missionari, alla Bolivia, Stati Uniti e il Brasile. Allo stesso tempo siamo presente nel mondo andino con i Popoli Nasa o Pàez e Chami, in Colombia. Loro, i popoli indigeni, hanno una organizzazione a livello locale, nazionale e continentale. Cosi sono diventati più forti, fino a divenire in un nuovo soggetto sociale e politico, lungo l’Amerindia.

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Altrettanto possiamo dire riguardo ai Afroamericani. Durante il XIII Incontro Continentale della Pastorale Afroamericana (Haiti, 20-27 luglio 2015), P. Venanzio Mwangi Munyri IMC è stato scelto e nominato come Coordinatore di questa pastorale a livello continentale. Tutti questi percorsi di “identità” etniche (popoli, comunità e nazioni) ed ecclesiali (Chiese Particolari), collegati sotto il principio della “comunione e partecipazione” a livello locale, nazionale e continentale, possono ispirare ed spingere nostro Progetto di rivitalizzazione e ristrutturazione. Ci fa metterci in comunione con la Chiesa e con i Popoli, contribuendo con il nostro carisma, la spiritualità, l’esperienza e le nostre risorse ed imparando di loro. 6.3. Missione tra, con e per i Giovani “Voi siete la ricchezza del Messico e la ricchezza della Chiesa e non vi sto prendendo in giro o adulando … Attenzione: non ho detto la speranza, ho detto: la ricchezza... Siete ricchezza che occorre trasformare in speranza, come la materia prima da lavorare. Ma non c’è speranza se non c’è stima di sé, se c’è chi ti svaluta, ti mette in disparte, ti fa sentire di seconda o quarta categoria - cosa che annienta e uccide - o, ancora peggio, ti fa credere che vali solo perché sei ricco... • La speranza che vi dà Gesù Cristo: “...è Lui che trasforma la ricchezza in speranza, che “risveglia l’incanto di sognare”… abbracciatevi a Lui quando tutto sembra pesante e il mondo pare che ci cada addosso” e soprattutto, non staccatevi dalla sua mano e se cadete, lasciatevi rialzare, perché come si dice in un canto di montagna: “nell’arte di ascendere, il trionfo non è nel non cadere ma nel non rimanere a terra”. Mai dunque rimanere “caduti” e ricordate che solo Gesù Cristo vi dà una mano. E se è un amico a cadere stategli accanto e con “l’ascolto-terapia” dategli forza, in nome di Cristo. • La ricchezza che Dio ha dato a voi. Capisco che è difficile sentirsi ricchezza per la nazione quando non ci sono opportunità di lavoro degne, quando i diritti sono negati. Ma ve lo ripeto, è così, perché come voi credo in Gesù Cristo …”. • La dignità che vi dà il non lasciarvi “lisciare il pelo”, ed essere merce per il borsellino di altri. “Siate furbi come serpenti e umili come colombe”. Oggi il Signore continua a chiamarvi, continua a convocarvi, come fece con l’indio Juan Diego. Vi invita a costruire un santuario. Un santuario che non è un luogo fisico, bensì una comunità, un santuario chiamato parrocchia, un santuario chiamato Nazione . Riflessione personale: la missione presso i giovani Sappiamo bene cosa vuol dire “giovani” al plurale in nostra Amerindia-afro-europea (latina): diversità. Una è la gioventù indigena e ben altra la afrodiscendente, come diversa è la rurale dell’urbana o

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l’universitaria della operaia. Fra le diverse gioventù troviamo le risorse dell’Istituto, la Chiesa, le nazioni e la stessa umanità, ma allo stesso tempo e proprio fra loro che si configurano nuovi e sfidanti “luoghi di missione ad gentes”, con quella sfumatura specifica della Consolata. Noi lavoriamo dappertutto con e per i giovani. Loro sono anche la ricchezza dell’Istituto. Abbiamo bisogno di loro e il nostro “carisma” può essere una bellissima risposta alle loro domande di senso e direzione. Doviamo accompagnarli bene, affinché divengono vera speranza per la nostra Famiglia e la sua missione, più che mai attuale e urgente. Quale formazione iniziale e continua per rispondere meglio alla missione oggi? Proposta: fare delle nostre comunità e delle nostre strutture veri “grembi materni”, luoghi di consolazioni, per la vita felice e la crescita integrale di tutti, specialmente dei giovani. Conclusione aperta Papa Francesco fa visibile l’opzione di una “chiesa povera e per i poveri” ogni giorno e particolarmente durante le sue visite missionarie. La visita in Messico non è stata una eccezione. La scelta o “opzione preferenziale”, certamente collegata a quella emersa profeticamente durante il Vaticano II, specificamente nel Patto delle catacombe (16 novembre 1965), dove eravamo anche noi della Consolata nella persona di Mons. Angelo Cuniberti, Vicario Apostolico de Florencia- Caquetà Colombia . In questa opzione “ad pauperes”, che non è un principio astratto, ma “un’esigenza etica fondamentale” per l’effettiva implementazione del Regno di Dio, si fondamentano le altre nostre scelte: ad extra, ad vita e ad gentes. L’espressione “scelte missionarie”, oppure “opzioni” viene usata anche nel Documento del XII Capitolo Generale IMC, quando ci “invita a lavorare alla stesura di un Progetto missionario contestualizzato nel continente” (n. 40), a partire delle scelte comuni tra le circoscrizioni. Compito del Primo Consiglio continentale (Toronto, 3-8 settembre 2012) è stato l’individuare le “scelte missionarie ad gentes” comuni, a partire dei documenti delle Conferenze Regionali. Il discernimento ci ha portato a definire: a. Opzioni al servizio della missione •

Missione nelle periferie e nuove povertà urbane



Missione nel mondo etnico: Indigeni - Afro-discendenti



Missione amazzonica: cura del creato e suoi abitanti, difesa del territorio.

• Giovani b. Opzioni al servizio della Chiesa e della Società •

AMV - altri



Giustizia e pace (migrazioni, perdono e riconciliazione…)



Eduzione formale

c. Opzioni al servizio dell’Istituto

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Proposta e accompagnamento vocazionale specifico



Formazione – studio IMC Documentazione IMC - 1/2016



Amministrazione IMC



Spiritualità Missionaria della Consolata

La missione di Dio e più specificatamente la missione ad gentes, abbarca tante e diverse realtà che, per non diluirci nel tutto e nel nulla, siamo costretti a fare delle scelte specifiche e specializzarci nelle risposte. Solo cosi riusciremo a fortificare l’identità, rispondere al carisma e mantenere calda la comunione. Una attenta lettura della recente visita di Papa Francesco al Messico - suoi gesti, le sue parole, i luoghi e i percorsi - può illuminare nostra visione, aiutarci a concretizzare nostro Progetto missionario, impegno comune in questo tempo pre-capitolare e anche a contestualizzare nostra spiritualità e pratica missionaria. Il missionario della misericordia e della pace, come lui si ha presentato, ci incoraggia, con parresia, nella missione di condividere la vera Consolazione, Gesù Cristo con le vecchie e le nuove comunità umane e culturali, sotto la guida della “nostra cara Consolata”, riconosciuta al Continente come la “morenita” e proposta alla cattolicità come “esempio di evangelizzazione perfettamente inculturata”. Viene Spirito Consolatore, fa la tua opera in ogni missionario, costruisce con noi la fraternità locale e universale, lavora presso i popoli della terra perché venga il “Regno” del Padre Nostro.

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LA MISERCORDIA Y LA MISION IMC EN AMERICA LATINA P. Antonio Gabrieli, IMC

Uno de los temas más recurrentes en las reflexiones del papa Francisco es el de la misericordia. El Papa no se cansa de recordarnos que el ser humano debe mirarse en el rostro de Cristo y descubrir en sus ojos misericordiosos que es amado por Dios Padre más allá de sus debilidades. La bula Vultus Misericordiae que convoca el jubileo de la Misericordia, ahonda en la necesidad de ser misericordiosos como el Padre, a través del perdón y la acogida de los hijos pródigos, hasta el punto de proponer a la iglesia que tenga los brazos abiertos a delincuentes, violentos y corruptos para que cambien de vida. Expresa con mucha fuerza la capacidad del amor de Dios de perdonar no solo los pecados perdonables sino también los imperdonables. En este contexto providencial estamos invitados a valorar y poner al centro de nuestra vida y misión el don de la misericordia de Dios. Todos necesitamos redescubrir que el Dios que la Iglesia anuncia es un Dios cuyo nombre es “misericordia”. Esperamos que los frutos de esta Año santo de la misericordia alcancen también a nuestro continente americano que tanto necesita de la misericordia. Nosotros los Misioneros de la Consolata que trabajamos en este continente tenemos que aprovechar este tiempo para revisar nuestra presencia misionera, nuestras opciones y nuestro estilo de vida a la luz de la misericordia. Para nosotros hablar de misericordia significa hablar de nuestra presencia entre los más humildes y pobres, de los indígenas y afro-descendientes, de los que viven en las periferias, de las situaciones en las que nadie quiere comprometerse. La misericordia, en nuestro lenguaje se llama consolación y liberación, es el corazón del Evangelio y de la misión; es el corazón de nuestro carisma, de nuestra espiritualidad y de nuestro método misionero. A la luz del año de la misericordia entonces tomamos la ocasión para repensar y reflexionar nuestra vivencia de la misión en este Continente américa a partir del “principio misericordia”. El amor abarcador de Dios La misericordia en la Sagrada Escritura es la palabra clave para indicar el actuar de Dios hacia nosotros. La misericordia es el primer atributo de Dios. Es el nombre de Dios. Él no se limita a decirnos su amor, sino que lo hace visible y tangible. Dios se siente responsable, es decir desea

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nuestro bien y quiere vernos felices, colmados de vida. Es sobre esta misma amplitud de onda que se debe orientar la misericordia de los cristianos. Como ama el Padre así aman los hijos. Como Él es misericordioso así estamos nosotros llamados a ser misericordiosos los unos con los otros (cfr. MV 9) La misericordia de Dios se reviste de un rostro concreto en la persona de Jesús. Los Evangelios nos revelan que Jesús tiene entrañas de misericordia. Recurren a esta expresión cuando muestran a Jesús en presencia de la multitud que lo sigue y no tienen que comer, cuando están enfermos, cuando los ve como ovejas sin pastor, cuando se encuentra con los ciegos, con los leprosos o con la viuda que llora la muerte de su hijo. Ante el sufrimiento de las personas Jesús reacciona siempre con conmoción que se entiende como misericordia. Los evangelistas destacan de una manera especial el tema de la misericordia cuando relatan que Jesús se sentaba a la mesa junto con los pecadores y comía con ellos. Todos los cobradores de impuestos y pecadores se acercaban a Jesús y Él los recibía y comía con ellos. Este hecho de sentarse a la mesa con esta clase de personas rechazadas por toda la sociedad y en especial por los mas religiosos no podía menos que provocar sorpresa y críticas por parte de los fariseos y los maestros de la ley. Jesús respondió a los que lo cuestionaban relatando las tres parábolas de la misericordia: la oveja perdida, la moneda perdida, y el hijo pedido. Porque la misión de Jesús es la de “buscar y salvar lo que estaba perdido”. La parábola del buen samaritano (Lc. 10,25-37) representa otro momento importante de la enseñanza de Jesús. Mientras el sacerdote y el levita pasan de largo solo el samaritano se “movió a compasión”. La misericordia del samaritano se expresa en acciones concretas de amor. Y Jesús lo pone como ejemplo de misericordia, como modelo de amor al prójimo. Ver y actuar como el buen samaritano se vuelve modelo para todos los que quieren seguir a Jesús. Jesús muestra sin ninguna duda el rostro misericordioso de Dios que quiere reconciliar a todos los hombres con Él y los invita a formar parte de su familia. Todos deben ser llamados y reunidos para que se encuentren con el Padre, experimenten su amor y de esta forma se vaya formando el nuevo pueblo de Dios. Todos sin excluir a nadie. La misericordia del Padre debe llegar a todos. Jesús es el modelo al cual se inspira nuestra vida misionera. El misionero de manera especial debe amar y simpatizar, tener una autentica compasión en el corazón. No puede cerrar sus entrañas ante los hermanos que se encuentran en la necesidad. Esta ternura misericordiosa es la que nos lleva a hacernos próximos al miserable que encontramos en el camino a ejemplo del buen samaritano (Lc. 10,30-37) y que nos llena de compasión (Ef 4, 32; 1Pt 3,8). Este es el presupuesto que nos lleva a consagrar la vida al servicio de la Buena Noticia hasta el último rincón del mundo. Oración de un misionero “Jesús misionero, no te cansabas de recorrer los caminos y las calles de tu tierra. Enviaste a tus discípulos a la misión y derramaste  el Espíritu Santo para que llegaran con tu Palabra hasta los confines de la tierra. Te doy gracias por el carisma misionero que alegra mi vida.  Adoro tu presencia a mi lado, caminando conmigo, y adoro al Espíritu Santo,  que me impulsa y me alienta. Te pido, Señor, que hagas crecer mi fervor,  para que te anuncie lleno de confianza,  Documentazione IMC - 1/2016

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para que supere la vergüenza y la comodidad,  los temores y el egoísmo,  y sea capaz de llevar esa Palabra que los demás necesitan escuchar. Entra conmigo en cada hogar que visite,  y reaviva en ellos la sed de ti.  Dame la capacidad de escuchar con atención y amabilidad,  y de hablar con respeto y prudencia,  para que en mi presencia puedan reconocer tu amor y tu comprensión. Muéstrame íntimamente el mensaje que ellos más necesiten,  inspírame los gestos más adecuados.  Actúa en sus corazones para que deseen conocerte y crecer en tu amistad. Que en tu Evangelio encuentren alivio, fortaleza y esperanza,  y que reconozcan mi visita como un signo de la Iglesia maternal y cercana. Gracias, Señor, por la alegría de ser misionero. Amén”.

La misericordia: desafío misionero En el Documento de Aparecida se ha hablado mucho de la “conversión pastoral” como el gran desafío de la Iglesia en América Latina. Este desafío lo propuso el papa Francisco a toda la Iglesia en su Encíclica Evangelii Gaudium. La conversión pastoral significa poner a toda la Iglesia, en todas sus dimensiones, en función de lo único que da razón de ser a su existencia: la misión. Y la misión no tiene otro origen y fuente que la misericordia. Este año todos estamos llamados a redescubrir y vivir la misericordia; a remarcar esta clave de nuestra existencia cristiana. Me parece importante entonces poner de relieve algunos elementos de la espiritualidad que debería caracterizarnos, más aun como misioneros. Primeramente la apertura: ver y escuchar el clamor, el dolor, el sufrimiento de la humanidad. Sensibilizarnos frente a ello derribando muros, allanando fosos y tendiendo puentes, saliendo de nuestro aislamiento, comodidad y “zona de confort”. En segundo lugar comprometernos en la liberación de los oprimidos por cualquier forma de esclavitud y/o dependencia: física, social,

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moral… Jesús lo dijo claro cuando anunció su programa en la sinagoga de Nazaret (Lc 4, 18-19). Y el programa de Jesús es el programa de la Iglesia. La espiritualidad de la misericordia es una espiritualidad esencialmente misionera, que lleva a las fronteras de la exclusión, la marginalidad, a las periferias geográficas, sociales y/o existenciales, como diría el papa Francisco. Mirando al contexto de la misión de la Iglesia en América Latina es imposible eludir la realidad del sufrimiento. Ya casi nos hemos endurecido de tanto escuchar estadísticas sobre los niveles de pobreza, de enfermedad, de malnutrición, de desempleo y subempleo, de analfabetismo, de niños de la calle, de jubilados que suicidan, de violencia familiar, de muertos por violencia política, policial... El sufrimiento es algo muy visible en nuestros ambientes. Si caminamos por las calles de nuestras ciudades sentimos el olor hediondo de la pobreza, el olor a cloaca, a suciedad, a basurales a medio quemar. Aun los que van por autopistas, difícilmente podrán evitar la visión de techos de lata, de hacinamiento, de basura revuelta, de los flacos caballos de los cartoneros. Imposible no escuchar las voces de los que piden una ayudita, o los jóvenes armados que la exigen. Indudablemente gran parte del sufrimiento de nuestra gente tiene raíces económicas, pues lo sabemos que el sistema económico mundial es usurero e injusto y crea más empobrecidos. Funcionarios corruptos empeoran aún más la situación de los más débiles. Cuando Aparecida hace el análisis de la situación sociopolítica, destaca un fuerte crecimiento de la corrupción que alcanza a todos los poderes e instituciones públicas. Esta situación y las promesas incumplidas de un populismo barato aumentan en los jóvenes el desencanto por la política y la democracia. La convivencia y el tejido social se deterioran y aumenta la violencia (78) y el narco negocio (81) y el hacinamiento en las villas miserias. Duele mucho la indiferencia, el desprecio, la marginación presente en nuestra sociedad. Y no me detengo aquí a describir la situación en la que viven los pueblos indígenas y los afroamericanos. La contradicción de las sociedades latinoamericanas es de todos conocida; en palabras de Juan Pablo II, “la creciente riqueza de unos pocos va paralela a la creciente miseria de las masas... ricos cada vez más ricos a costa de pobres cada vez más pobres” (Discurso de apertura de la Asamblea del CELAM, Puebla 1979, III, 4). El escándalo radica en que las grandes mayorías son al mismo tiempo cristianas y pobres. Los ricos dicen: “¡Señor, Señor!”, pero no hacen la voluntad de Dios (cfr. Mt 7, 21), que es la vida del hombre. Como perfectamente lo enseña la Gaudium et spes, “el divorcio existente en muchos entre fe y vida cotidiana debe ser considerado como uno de los más graves errores de nuestro tiempo” (GS, n° 43). Esto es particularmente aplicable a los cristianos latinoamericanos, que han recibido una evangelización insuficiente con respecto a la responsabilidad social y política de la fe (Puebla, n° El listado de la realidad en la que hay que llevar consuelo, liberación y misericordia sería interminable. ¿Qué hacemos nosotros los Misioneros de la Consolata en este Continente? ¿Cómo estamos viviendo la misión de consolación liberación misericordia? Me parece importante realizar una profunda revisión a la luz del “principio misericordia”. El documento de la Dirección General en preparación al XIII Capitulo General habla de revitalización y reestructuración. Revitalizar “significa recuperar en todos los misioneros la fidelidad al carisma, el amor y la cualificación de la misión ad gentes, la tensión hacia la santidad de cada uno de los Documentazione IMC - 1/2016

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misioneros y la donación en el servicio a la misión ad gentes de la iglesia…”. Quiero aclarar antes que nada que hablar de revitalización no quiere ser un juicio sobre la forma de vivir la misión en el pasado. Al contrario debemos reconocerla cargada de méritos y de misioneros heroicos que han entrega toda la vida con amor y sirviendo a los más necesitados. Tenemos mucho que aprender de la historia de nuestra familia misionera. Pero los tiempos han cambiado y también nuestra manera de vivir la misión debe adecuarse. En estos últimos años en el Continente hemos dado pasos significativos en la construcción del Proyecto Misionero Continental. Tenemos mucho camino por hacer todavía. Teniendo en cuenta nuestra historia, la búsqueda y las presencias actuales, los cambios socio- culturales– eclesiales, un nuevo modelo de misión y carisma misionero, hemos hecho algunas opciones en las que nos identificamos y que son la expresión de nuestro carisma y solidaridad con las angustias y esperanzas del hombre y mujer del Continente: periferias urbanas, mundo indígena, amazónico, afro-descendiente… Son los lugares o situaciones misioneros que a nuestro parecer necesitan de una presencia misionera de consolación -liberación -misericordia. En este camino reconozco por sobre todo la necesidad de conversión/revitalización, de un nuevo espíritu, de renovar el espíritu que el Fundador nos ha dejado como legado. P. Stefano, superior general, en su carta en ocasión de la fiesta del Fundador escribe y lo vuelve a proponer “… como ejemplo y maestro de misericordia, subrayando una palabra muy querida por él, la mansedumbre, una virtud que modela profundamente nuestra persona y trasforma nuestra relación con los otros”. Nos viene bien aprovechar este año santo de la misericordia para una reflexión personal y comunitaria sobre el estilo de nuestra presencia misionera, que enriquecerá nuestro Proyecto Misionero Continental. Opto para señalar antes que nada algunas actitudes y exigencias indispensables para vivir la misión como misericordia. Las relaciones comunitarias y la misericordia Es la primera tarea que tenemos como misioneros. Difícilmente podremos ser fuentes de misericordia si nosotros no la experimentamos, vivimos y celebramos en nuestras comunidades. En muchos casos será necesario “limpiar nuestra relaciones” e impregnarlas de misericordia. Será difícil poder dar testimonio de que el amor puede unir a los diferentes y hacernos hermanos, si no

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tenemos un corazón misericordioso. Esto no significa que en la vivencia de la vida comunitaria no encontremos dificultades o momentos críticos sino que se juntos usaremos todos los medios que nos ayudan a superar los desencuentros empezando por la corrección fraternal hasta el perdón. El principal enemigo de la misericordia, no tengo duda, es el individualismo. El individualismo imposibilita la misericordia. Porque la única posibilidad de sentir misericordia es identificarse de alguna manera con el otro o la otra. A veces utilizamos muchas de nuestras mejores energías en la defensa propia o en la agresión a los demás, en vez de utilizarlas para crecer, ensanchar horizontes y para generar un futuro de comunión. Es oportuno recordar la Bienaventuranza de la misericordia. Como todas las bienaventuranzas es “paradójica”: Felices los que lloran… felices los misericordiosos, feliz si tocas la “miseria”, el dolor, el pecado, la fragilidad del otro; esto quiere decir la bienaventuranza. Es cierto que la misericordia nos pone en profunda comunión con el otro. Todos somos frágiles, todos somos pecadores. Todos necesitamos que nos cuiden, nos animen, nos abracen, y nos perdonen. El amor de Dios que intentamos reflejar es así: entrega total y sin medida a empezar por las personas con las que vivimos. Si nuestro corazón está iluminado por la misericordia tendremos la misma mirada de Jesús. No pensamientos volátiles o actitudes esporádicas sino entrañas de misericordia, como algo habitual. Mansos y misericordiosos es el binomio que aparece en la espiritualidad el Fundador.

“El misionero debe tener un corazón grande, lleno de compasión para con todos”. “Hasta dar la vida.... un amor intenso y ardiente. El ardor apostólico es el carácter propio del misionero y de la misionera. No se va a las misiones por capricho, o por turismo, sino únicamente por amor a Dios, que es inseparable del amor al prójimo. Por lo tanto, no sólo como cristianos, sino también, y mucho más, como misioneros, tenemos el compromiso de buscar la gloria de Dios colaborando en la salvación de las almas. Este es el fin de nuestra vocación especial. Es necesario tener tanta caridad hasta dar la vida. Sin este amor pueden tener el nombre de apóstoles, pero no la realidad, ni la sustancia del apostolado. (Así los quiero 121). “Misión – ternura (como un rostro de la misericordia) Decía Allamano que “el misionero debe tener corazón” y con el corazón somos llamados a acercarnos a los otros. La misericordia asume Documentazione IMC - 1/2016

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para nosotros el compromiso de no ser misioneros de la eficiencia, de la exterioridad, de la dureza, del espectáculo (de la indiferencia que humilla, de la costumbre que anestesia el ánimo e impide descubrir la novedad, de cinismo que destruye” (cfr MV, 15). Es doloroso cuando también en comunidad los dolores y sufrimientos de los hermanos nos preocupan poco. A veces pareciera que cada uno se interesa solo por sus problemas, su bienestar o su seguridad personal. La apatía se va apoderando de muchos. Corremos el riesgo de hacernos cada vez más incapaces de vivir el verdadero sentido de comunidad. Recordamos que el principal enemigo de la misericordia es el individualismo. Entonces el amor, la compasión, la misericordia, la solidaridad son nuestro verdadero programa de vida, un estilo de comportamiento en nuestras relaciones comunitarias. Esto pide la conversión del corazón: que la gracia de Dios transforme nuestro corazón de piedra en un corazón de carne (cf. Ez 36,26), capaz de abrirse a los otros con auténtica solidaridad. Desde donde pensar y vivir la misión Cuando Jesús dice “ven y verás” lo hace desde la periferia de la sociedad. Nos invita a acompañarle y a entrar en el mundo de los pobres y de los miserables de la tierra. Nos invita a convertirnos en hermanos y hermanas de aquellos a los que el sistema social ha triturado y ha rechazado en la marcha de la modernidad y del progreso. Seguir a Jesús es una decisión que exige dejar nuestra posición en el centro de la sociedad para colocarnos en otro lugar muy diferente, con los marginados por la sociedad. Seguir a Jesús es la decisión libre de hacer que el mundo de los pobres sea nuestro mundo, saltando por encima de las diferencias de raza, clase social, cultura y status para vivir el evangelio con los más abandonados. El misionero decide vivir en territorio desconocido y ser en él un heraldo de la compasión de Dios. No se trata de hacer acrobacia intelectual que nos permita seguir llamándonos misioneros a la vez que mantenemos una buena distancia en relación a los pobres. Tampoco es ser misionero el hacer algún tipo de trabajo por los indigentes durante el día, y refugiarnos por la noche en otro mundo muy diferente. Ser misionero exige dar un salto radical que hace que nuestra vida sea la vida de los pobres, y no meramente un trabajo en favor de ellos. Hubo un tiempo que en el Continente se habló mucho de comunidades inserta en medios pobres. Ya no se habla mucho de ello a pesar de que en la diócesis de Buenos Aires hay por lo menos 19 sacerdotes que viven y desarrollan su pastoral en las villas miserias. Una forma muy concreta de vivir la misericordia y que no debe ser extraña a nuestra vida misionera. Corremos el riesgo de ser meros turistas en el mundo de los pobres si no asumimos en parte su estilo de vida. Entrar en el mundo de los pobres supone dejar atrás muchas de las cosas de las que disfrutamos en nuestro mundo de abundancia; supone también la elección libre de vivir dentro de las limitaciones que vive el pobre. ¿Podemos crear islas de relativa abundancia, y a la vez esperar que se nos crea cuando hablamos de estar con los pobres? Aún más: ¿qué sucede cuando un misionero rehúsa desprenderse de una vida cómoda? Si no vivimos una vida sobria diremos adiós a los pobres. Es cierto también que nunca seremos de verdad pobres como lo son los pobres. Si de verdad queremos plantar nuestra tienda entre las víctimas para ser consolación, debemos estar dispuestos a sacrificar parte de nuestras seguridades.

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Otro valor importante es la inculturación. Incluso cuando el misionero atraviesa una pequeña distancia geográfica, el moverse hacia los pobres supone un gran salto sobre los muros que separan. Se encontrará con otras realidades y otros valores muy diferentes. Puede que la lengua sea la misma o no lo sea, pero hasta las palabras tienen otro significado en el nuevo contexto. Es decir, el misionero se introduce en una cultura diferente. Nos acercamos a los pobres con nuestras propias experiencias, valores e intereses. Ser misionero quiere decir entrar en ese mundo nuevo con una actitud abierta de respeto. Se debe poner en actitud de estucha y no expresar ningún juicio hasta que uno sea capaz de entender el significado oculto en los silencios y de los modos de expresarse que tienen los pobres. La inculturación pide sensibilidad y disponibilidad a dialogar. Opción preferencial por los pobres El camino del misionero se confunde con el del pobre. El proyecto de vida del misionero se realiza en el seguimiento de Jesús misionero del Padre. Cristo proclama el amor de Dios para todos pero también la predilección para los pobres. Esta entrada de los pobres en la vida del misionero no se da de manera espontánea ni inmediata. Antes que nada deberá afinar los sentidos para ver, escuchar, sentir la presencia del pobre. A Ejemplo de Jesús busca al que está más lejos; se hace sensible a la situación de pobreza, a las formas de injusticia, a las realidades socio-políticas que provocan la pobreza. El pobre cuando entra de verdad en la vida del misionero la sacude y la cambia, les hace ver cosas nuevas y desafíos nuevos, que no veía antes y que las otros no ven y tampoco entienden. El pobre nos enseña el valor de un estilo de vida sobrio y austero, a tener estructuras sencillas, y medios apostólicos humildes. No se puede trabajar entre los pobres sin vivir la sobriedad y la austeridad.

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No se trata solo de hacer algo para los pobres sino de entrar en la vida de los pobres. Donde está el pobre allí está el lugar del misionero y si estamos en medio de los pobres no nos podemos quedar indiferentes. No se trata del conocimiento del estudioso sino de la sensibilidad espiritual, que nos hace atentos, conocedores de las necesidades de los demás. No se puede eludir la pregunta: ¿desde dónde ser solidarios con los más pobres? Hay que caminar con la gente. Los problemas, las dificultades, el sufrimiento, la opresión, las injusticia se entienden mucho más estando con ellos que haciendo algo para ellos. Nuestra solidaridad misionera es repuesta a una humanidad que ofendida profundamente en sus derechos a la vida, a la paz, a la subsistencia y a un desarrollo digno, hace sentir su voz, y espera una mano misericordiosa tendida. La atención al hombre y la solidaridad con los pobres han estado siempre presentes en el proyecto misionero querido por el Allamano para el Instituto. Me parece que si defendemos demasiado nuestros espacios de privacidad y disfrute, y nos dejamos contagiar fácilmente por el consumismo individualista perderemos el contacto con aquello a los que somos enviados. Pasión misionera Jesús nos enseña a ser misericordiosos como el Padre (cf. Lc 6,36). En la parábola del buen samaritano (cf. Lc 10,29-37) denuncia la omisión de ayuda frente a la urgente necesidad de los semejantes: «lo vio y pasó de largo» (cf. Lc 6,31.32). De la misma manera, mediante este ejemplo, invita a sus oyentes, y en particular a sus discípulos, a que aprendan a detenerse ante los sufrimientos de este mundo para aliviarlos, ante las heridas de los demás para curarlas, con los medios que tengan, comenzando por el propio tiempo, a pesar de tantas ocupaciones. En efecto, la indiferencia busca a menudo pretextos: el cumplimiento de los preceptos rituales, la cantidad de cosas que hay que hacer, los antagonismos que nos alejan los unos de los otros, los prejuicios de todo tipo que nos impiden hacernos prójimo. La misericordia es el corazón de Dios. Por ello debe ser también el corazón de todo misionero; un corazón que bate fuerte allí donde la dignidad humana esté en juego. Por eso «es determinante para la Iglesia y para la credibilidad de su anuncio que ella viva y testimonie en primera persona la misericordia. Su lenguaje y sus gestos deben transmitir misericordia para penetrar en el corazón de las personas y motivarlas a reencontrar el camino de vuelta al Padre. La primera verdad de la Iglesia es el amor de Cristo. De este amor, que llega hasta el perdón y al don de sí, la Iglesia se hace sierva y mediadora ante los hombres. Por tanto, donde la Iglesia esté presente, allí debe ser evidente la misericordia del Padre. En nuestras parroquias, en las comunidades, en las asociaciones y movimientos, en fin, dondequiera que haya cristianos, cualquiera debería poder encontrar un oasis de misericordia». Aparecida: “Ser discípulos y misioneros de Jesucristo para que nuestros pueblos, en Él, tengan vida, nos lleva a asumir evangélicamente y desde la perspectiva del Reino las tareas prioritarias que contribuyen a la dignificación de todo ser humano, y a trabajar junto con los demás ciudadanos e instituciones en bien del ser humano. El amor de misericordia para con todos los que ven vulnerada su vida en cualquiera de sus dimensiones, como bien nos muestra el Señor en todos sus gestos de misericordia, requiere que socorramos las necesidades urgentes, al mismo tiempo que colaboremos con otros organismos o instituciones para organizar estructuras más justas en los ámbitos nacionales e internacionales. Urge crear estructuras que consoliden un orden social, económico y político en

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el que no haya inequidad y donde haya posibilidades para todos. Igualmente, se requieren nuevas estructuras que promuevan una auténtica convivencia humana, que impidan la prepotencia de algunos y faciliten el diálogo constructivo para los necesarios consensos sociales” (DA 384) Promoción humana “La misericordia siempre será necesaria, pero no debe contribuir a crear círculos viciosos que sean funcionales a un sistema económico inicuo. Se requiere que las obras de misericordia estén acompañas por la búsqueda de una verdadera justicia social, que vaya elevando el nivel de vida de los ciudadanos, promoviéndolos como sujetos de su propio desarrollo. En su Encíclica Deus Caritas est, el Papa Benedicto XVI ha tratado con claridad inspiradora la compleja relación entre justicia y caridad. Allí nos dice que “el orden justo de la sociedad y del Estado es una tarea principal de la política” y no de la Iglesia. Pero la Iglesia “no puede ni debe quedarse al margen en la lucha por la justicia” (215). Ella colabora purificando la razón de todos aquellos elementos que la ofuscan e impiden la realización de una liberación integral. También es tarea de la Iglesia ayudar con la predicación, la catequesis, la denuncia, y el testimonio del amor y de justicia, para que se despierten en la sociedad las fuerzas espirituales necesarias y se desarrollen los valores sociales. Sólo así las estructuras serán realmente más justas, podrán ser eficaces y sostenerse en el tiempo. Sin valores no hay futuro, y no habrá estructuras salvadoras, ya que en ellas siempre subyace la fragilidad humana” (DA 385) “La Iglesia tiene, como misión propia y específica, comunicar la vida de Jesucristo a todas las personas, anunciando la Palabra, administrando los Sacramentos y practicando la caridad “ (DA 386). Es cierto que misericordia no es sinónimo de buenísimo. Nos debe preocupar mucho el hecho de constatar la “contradicción dolorosa que el continente de mayor nuero de católicos sea también el de mayor inequidad social” (DA 527).Todo proceso evangelizador implica la promoción humana (DA 399) Por ello la opción por los pobres debe atravesar todas nuestras estructuras y prioridades pastorales (DA 396). En nuestra tradición la evangelización ha sido siempre acompañada por el compromiso por la promoción humana. Debemos seguir haciéndolo pero con un espíritu menos asistencialista y siempre más de promoción. A la ayuda no debemos olvidar lo que decía el Fundador acerca de la “elevación del ambiente”. Ayudamos pero sin crear dependencias sino mirar a lo esencial: la evangelización, la liberación del hombre de las esclavitudes, de la pobreza, de la injusticia, de la dependencia. Desde el comienzo los Misioneros de la Consolata han realizado la inspiración del Fundador con el anuncio del Evangelio y la promoción humana. “Solidarios con los hermanos como signo de la caridad de Dios, estamos especialmente atentos a la promoción humana, como componente que prepara, acompaña la evangelización y de ella brota. Nos comprometemos a colaborar con las iniciativas de promoción de la justicia. Nos convertimos en sus promotores, especialmente a favor de los más necesitados” (Constituciones, 76). La solidaridad con los marginados es un principio misionero irrenunciable. La misión de la Iglesia consiste en ayudar a salvaguardar y promover el mínimo necesario de una vida humana y justa. Conocer desde dentro sus esperanzas y desesperanzas, hacerse solidarios con ellos en sus luchas, identificarse con sus necesidades cotidianas, puede llevar a que nos acusen y digan de nosotros “este es un hombre amigo de publicanos y pecadores” (Lc 7,34). Quizás ese es el costo del seguimiento de Jesús en un contexto eclesial que no ve con “buenos ojos” la defensa de los derechos humanos y un compromiso militante con la justicia social. Documentazione IMC - 1/2016

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La misericordia y los pueblos aborígenes y afro descendientes “Muchos grupos humanos son víctimas de la discriminación, opresión y marginación a causa de su origen, cultura y religión. Olvidados por la sociedad civil y a veces incluso por las iglesias locales, por su diversidad, son un desafío para nuestro compromiso, ad gentes” (XI Cap. Gen, n.25) “ En ENDEPA, a lo largo de los años y tanto los equipos como cada integrante, podemos dar fe y tenemos conciencia de vivir la experiencia de la misericordia en la doble vertiente de ser “misericordiosos/as” y de ser “misericordiadas”, “misericordiados” por nuestros hermanos y hermanas de los Pueblos Originarios con quienes hemos tenido el privilegio de compartir la vida, sintiéndonos así “bienaventurados”, alcanzados en “Felices los compasivos porque obtendrán misericordia” (Mt. 5,7), constatando que Dios ha volcado todo su caudal de ternura en los Pueblos de la Tierra. En los inicios, en ENDEPA encontramos a los Pueblos Indígenas “al borde del camino” como le pasó al samaritano de la parábola que nos narra Lucas 16, 30-37, viendo su necesidad y sus heridas. Pueblos marginados, invisibilizados, heridos en su dignidad, discriminados, empobrecidos, saqueados por siglos….., confinados en los lugares más inhóspitos del país, sin derecho a poseer sus territorios, a exteriorizar su cultura, a practicar su religión, impedidos de expresarse en su idioma, sin libertad…, ignorados como inexistentes… En su actuar ENDEPA se pone al lado de los Pueblos Indígenas, se compromete con sus sueños y sus luchas, practicando la MISERICORDIA que según su etimología, significa corazón que siente la miseria. Con empatía y comprensión penetramos por la grieta que abre el dolor, puerta abierta a una relación en la que prima el intercambio y la libertad para generar acciones en busca de justicia y bienestar. El ponernos en el lugar del pueblo que acompañamos nos permite ver la vida desde otro lugar, descubriendo facetas nuevas de la realidad.

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Nos acercamos a las comunidades aborígenes, a los Pueblos Indígenas y nos abrieron la puerta, recibiendo así nosotros su MISERICORDIA. Podemos decir que somos del “pueblo de los blancos que tuvieron parte en el genocidio” y en vez de reproches, rechazo, rencor o resentimiento nos recibieron como hermanos y amigos, compañeros de camino y aliados. El papa Francisco, en el Mensaje para la Jornada Misionera Mundial de este año recuerda: “Hoy, la misión se enfrenta al reto de respetar la necesidad de todos los pueblos de partir de sus propias raíces y de salvaguardar los valores de las respectivas culturas. Se trata de conocer y respetar otras tradiciones y sistemas filosóficos, y reconocer a cada pueblo y cultura el derecho de hacerse ayudar por su propia tradición en la inteligencia del misterio de Dios y en la acogida del Evangelio de Jesús, que es luz para las culturas y fuerza transformadora de las mismas.” “Los indígenas y afroamericanos emergen ahora en la sociedad y en la Iglesia. Este es un kairós para profundizar el encuentro de la Iglesia con otros sectores humanos que reclaman el reconocimiento pleno de sus derechos individuales y colectivos, ser tomados en cuenta en la catolicidad con su cosmovisión, sus valores y sus identidades particulares, para vivir un nuevo Pentecostés eclesial” (DA 91) “Los indígenas y afroamericanos son, sobre todo, “otros” diferentes, que exigen respeto y reconocimiento. La sociedad tiende a menospreciarlos, desconociendo su diferencia. Su situación social está marcada por la exclusión y la pobreza. La Iglesia acompaña a los indígenas y afroamericanos en las luchas por sus legítimos derechos.” (DA 89). Tanta experiencia y vida compartida junto a los Pueblos Indígenas nos brinda múltiples riquezas y posibilidades y hace crecer en nosotros una inmensa acción de gracias porque “se nos ha manifestado la tierna misericordia de nuestro Dios….para guiar nuestros pasos por los caminos de la paz.” (cf. Lc. 1, 78.79). (ENDEPA, Experiencia de Misericordia). Pastoral urbana: Crecer en un estilo de cercanía cordial al pueblo. “La opción por las pobrezas urbanas es motivada por el surgimiento en las grandes ciudades de masas de pobres que se amontonan en los barrios periféricos. Esta opción preferencial por los pobres en su realidad de sufrimiento, de anhelo de justicia y de su camino de fe y de esperanza forma parte de nuestro carisma” XI Cap. Gen n 24). Estoy convencido que nuestra pastoral urbana debe asumir un nuevo estilo, más evangélico, que se caracterice por la cercanía a la gente. Admiramos en los Evangelios la compasión entrañable ante el dolor humano, su cercanía a los pobres y a los pequeños de Jesús. Repetidamente en el documento de Aparecida se contempla ese testimonio de cercanía para dejarse interpelar por el estilo del Maestro. Vale la pena leer tres párrafos: “Jesús, el buen pastor, quiere comunicarnos su vida y ponerse al servicio de la vida. Lo vemos cuando se acerca al ciego del camino (Cf. Mc 10, 46-52), cuando dignifica a la samaritana (Cf. Jn 4, 7-26), cuando sana a los enfermos (Cf. Mt 11, 2-6), cuando alimenta al pueblo hambriento (Cf. Mc 6, 30-44), cuando libera a los endemoniados (Cf. Mc 5, 1-20). En su Reino de vida Jesús incluye a todos: come y bebe con los pecadores (Cf. Mc 2, 16),; toca leprosos (Cf. Lc 5, 13), deja que una mujer prostituta unja sus pies (Cf. Lc 7, 36-50) y de noche recibe a Nicodemo (DA 353). “La respuesta a su llamada exige entrar en la dinámica del buen samaritano (Cf. Lc 10, 29-37), que nos da el imperativo de hacernos prójimos, especialmente con el que sufre, y generar una sociedad sin excluidos siguiendo la práctica de Jesús come con publícanos y pecadores (Cf. Lc 5, 29-32) que Documentazione IMC - 1/2016

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acoge a los pequeños y a los niños (Cf. Mc 10, 13-16), que sana a los leprosos (Cf. Mc 1, 40-45) que perdona y libera a la mujer pecadora (Cf. Lc 7, 36-49; Jn 8, 1-11), que habla con la samaritana (Cf. Jn 4, 1-26)” (DA 135). “Invocamos al Espíritu Santo para poder dar un testimonio de proximidad que entraña cercanía afectuosa, escucha, humildad, solidaridad, compasión, diálogo, reconciliación, compromiso con la justicia social y capacidad de compartir, como Jesús lo hizo” (DA 363). Para la pastoral urbana se piden “estrategias tales como las visitas a las casas, el uso de los nuevos medios de comunicación social, y la constante cercanía a lo que constituye para cada persona su cotidianidad” (DA 517). Y la fidelidad en la imitación del Maestro, siempre cercano, accesible, disponible para todos” (DA 372). La pastoral urbana asume el proceso misionero, movilizador, centrifugo, mueve a ir a todos. La misión evangelizadora lleva a la Iglesia a ser una madre che sale al encuentro de todos sus hijos. Pero, a pesar de que muchas de nuestras presencias son en periferias urbanas, no es suficiente. Debemos superar algunos miedos, la tendencia a encerrarnos en los métodos antiguos, superar los sentimientos de impotencia ante las grandes dificultades de las periferias urbanas” (DA 509, 513). Los nuevos retos pastorales y espirituales se pueden entender como exigencias de conversión pastoral (cf. DA 370), de respuestas creativas a los nuevos desafíos. Vivir la misión en dimensión de misericordia nos pide de comprometernos a ser compañeros de camino de los hermanos más pobres. Solo así seremos sacramento de amor, solidaridad y justicia entre nuestros pueblos de América.

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LA MISERICORDIA MANIFESTADA EN EL BEATO JOSÉ ALLAMANO P. Ssimbwa Lawrence, IMC La palabra misericordia tiene su origen en dos palabras del latín: miserere, que significa tener el corazón (cors) con los pobres (miser).Dicho de otro modo, es sentir afecto por los pobres, y trascenderse aún asimismo hacia los demás, olvidándose de ese modo de su persona. Cabe notar que, la misericordia ha sido un tema imperdonablemente olvidado tanto en las reflexiones teológicas como en la mayoría de los discursos que rigen las sociedades actuales. Sin embargo, ella es un mandamiento que gobierna tanto el cristiano en su particularidad como la Iglesia en su conjunto. La Iglesia como sacramento de la presencia permanente de Cristo en el mundo, es tambien sacramento de la misericordia . A través de la Palabra y los sacramentos, presenta en la historia y en la vida de cada cristiano el Evangelio de la misericordia, que es Jesucristo. Para ello, “la Iglesia debe dar testimonio de la misericordia de Dios revelada en Cristo, en toda su misión de Mesías, profesándola principalmente con verdad salvífica de fe necesaria para una vida coherente con la misma fe, tratando después de introducirla y encarnarla en la vida bien sea de sus fieles, bien sea-en cuanto posible-en la de todos los hombres de buena voluntad . En el sermón de la montana, Jesús aclara que los bienaventurados son los misericordiosos porque alcanzarán la misericordia (Mt 5, 7). Acerca de este aspecto, san Juan Pablo II, explica que, “la Iglesia ve en estas palabras una llamada a la acción y se esfuerza por practicar misericordia (…) y el hombre alcanza el amor misericordioso de Dios, su misericordia en cuanto él mismo internamente se transforma en el espíritu de tal amor hacia el prójimo . Pues, “este proceso auténticamente evangélico no es solo una transformación espiritual realizada de una vez para siempre, sino que, construye todo el estilo de vida, una característica esencial y continua de la vocación cristiana” . A lo largo de la historia del cristianismo, muchos santos y beatos tanto conocidos como desconocidos, tradujeron eso en su vida. La misericordia no quedó como asunto teórico solo para predicarse, sino que la hicieron parte integral de su misión y ser. Son innumerables ejemplos de ellos, pero vale destacar a san Francisco de Asís, beata madre Teresa de Calcuta, san Juan Bosco, san Vicente De Paul, san Juan de la Cruz, beato José Allamano, beata Irene Estefani Nyaatha, entre otros. Los mencionados santos y beatos mostraron cual era el sentido último del amor cristiano al prójimo. Su testimonio indica que “la misericordia cristiana consiste en el fondo en encontrarse con Jesucristo en la persona sufriente” . La misericordia, aspecto central en el beato José Allamano. El aspecto de misericordia no es ausente en el ser y quehacer del beato José Allamano. Todo el Documentazione IMC - 1/2016

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recorrido de su vida muestra que el fundador de los misioneros y misioneras de la Consolata fue instrumento fiel de la misericordia de Dios. Se dejó utilizar por Él para propagar su misericordia a los demás. Eso fue por la convicción que tenía de que, la misericordia era la viga maestra que ha regido siempre la vida de la Iglesia y la de los cristianos. A continuación se presenta cómo la misericordia ha sido un pilar fundamental en la vida y la misión del beato José Allamano. La fundación del Instituto. Para poder situar la centralidad de la misericordia en el beato José Allamano, hay que tener en cuenta la fundación del Instituto, es decir, las circunstancias por las cuales fue fundado. Es cierto que la fundación del Instituto de la Consolata para Misiones es fruto de la misericordia de Dios. Aunque, de ningún lugar, ni de ningún escrito se menciona la palabra “misericordia” como elemento inspirador en su fundación, es muy claro que la preocupación del beato José Allamano por aquellos hombres y mujeres que nunca habían tenido la oportunidad de conocer a Cristo, o lo habían conocido pero sin profundidad (como es el caso de los cristianos de Kaffa-Etiopia cuyo pastor había sido expulsado), no fue por casualidad, sino por la misericordia. La historia de la vida del beato José Allamano muestra que se empapó completamente de la misericordia de Dios. La experimentó cuando se le murió su padre a la edad temprana. La misericordia de Dios lo acompañó en compañía de su madre María Ana Cafasso. La experimentó, asimismo, cuando cursaba en el oratorio salesiano de Valdocco, donde se encontró con el santo de misericordia, Juan Bosco. La vida llena de santidad de su tío José Cafasso tambien le irradió de huellas de misericordia. Las obras misericordiosas de este santo para con los encarcelados no dejaron de influenciar su vida. La curación milagrosa es otro elemento que muestra la misericordia de Dios en la vida del beato José Allamano. Definitivamente sintió que la misericordia de Dios lo acompañaba cuando se curó prodigiosamente de la enfermedad que probablemente estorbaría la fundación del Instituto. Esas circunstancias, en una u otra forma, influyeron el ser y quehacer misericordioso del beato José Allamano, marcaron su vida, y se volvieron acontecimientos vitales que alimentaron el proyecto de la fundación del instituto cuya tarea era seguir con la propagación de la Consolación de Dios a las tierras lejanas. No se puede negar que la fundación del Instituto fue fruto del celo apostólico del beato José Allamano. Su celo apostólico hizo que él ensanchara sus horizontes hacia el mundo entero. Aquí es donde se puede notar la misericordia y la compasión apostólica del beato José Allamano. Se compadeció con otras tierras del mundo, con otras culturas totalmente diferentes a la suya; en este caso el África, la mayoría de cuyos habitantes en ese entonces, todavía no habían conocido a Jesucristo. Por la misericordia seguramente “sintió la urgencia del mandato de Cristo a anunciar el Evangelio a todos” . A raíz de eso, le parecía innatural que en su iglesia local, fecunda de tantas instituciones dedicadas a las obras de caridad, faltara una dedicada exclusivamente a las misiones.

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Es claro que muchos misioneros inspiraron el ser misericordioso de José Allamano hacia las tierras de misión. Uno de ellos era el cardenal Guillermo Massaia. Es importante notar que este misionero capuchino fue uno de los modelos significativos del beato José Allamano . La necesidad de continuar con el trabajo de él inspiró la fundación del Instituto de la Consolata para Misiones. El beato José Allamano se impresionaba muchísimo cuando leía las obras misioneras de él en Etiopia. El encuentro personal con él después de la expulsión de ese país le motivó para el futuro proyecto de un instituto exclusivamente misionero. Con la expulsión de este gran misionero de las tierras etiópicas, el fundador de los misioneros de la Consolata sintió la gran misericordia con el pueblo al que el Señor le había encomendado. Eso le permitió descubrir “un vacio de apostolicidad” que, a su juicio, pronto tenía que llenarse. La misericordia del beato José Allamano está muy ligada a la forma como percibía con constancia y astucia las necesidades espirituales, morales, sociales y pastorales de esos cristianos. Vale recordar que, su intención era que los primeros misioneros de la Consolata pudieran entrar en contacto con aquellos cristianos abandonados para continuar con la obra del cardenal Guillermo Massaia. La opción preferencial por los pobres. Dios es el misericordioso por excelencia para con los pobres. El amor y la solicitud de Dios tienen como destinatarios especiales a los pobres y débiles. Su misericordia hacia ellos se manifiesta, sobre todo, en la prohibición de oprimir y explotar a extranjeros, viudas y huérfanos (Ex 22, 20-26), en la proteccion de los pobres ante los tribunales (Ex 23, 6-8), y en la prohibición de la usura (Ex 22, 24, 24-26). La opción de Dios por los pobres se refleja con especial énfasis en el mensaje de los profetas. Éstos denunciaron la explotación, violación, y la opresión de los débiles y pobres (Am 2, 6-8; Isa 1, 11-17; Ez 18,7-9). Los profetas muestran que los pobres encuentran en el Dios de Israel el refugio, la compasión, el derecho y el consuelo. La opción preferencial por los pobres es uno de los rasgos que marca el ser misericordioso del beato José Allamano. No hay duda alguna que en la trayectoria de su vida haya tenido preocupación por los pobres y débiles, tanto a nivel local como en las tierras de misión donde trabajaban los misioneros y las misioneras de la Consolata. La opción preferencial por los últimos está muy ligada a la razón primigenia de la fundación del Instituto. Desde los inicios del instituto, el fundador mostraba la preferencia hacia la periferia. Se compadecía con aquellos hombres y mujeres de tierras lejanas que no habían conocido al Salvador del mundo. No cesaba en inculcar este aspecto a sus misioneros y misioneras. Para él, el misionero “no parte para obtener así un poco de distracción, ni tanto menos

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parte para conquistarse una gloria, ni tampoco para obtener cosas materiales. Su partida es una empresa de fe a favor de los más pobres” . El beato José Allamano tenía la convicción de que, el misionero de la Consolata no podía separarse del compromiso con los pobres, pues Jesucristo es el rostro humano de Dios y el rostro divino del hombre. Vale notar que “la opción preferencial por los pobres está implícita en la fe cristológica en aquel Dios que se ha hecho pobre por nosotros, para enriquecernos con su pobreza” . Esta opción nace de la fe en Jesucristo, el Dios hecho hombre que se ha hecho nuestro hermano (Hb 2, 11-12). La opción preferencial por los pobres le llevó al beato José Allamano a preocuparse mucho por su liberación integral. La liberación es “un proceso iluminado, reforzado y sostenido por la fe y celebrado por ella como anticipación de esa plena liberación anunciada en la vida, muerte y resurrección de Jesús” . En Él y por Él, la total liberación será realidad y gozosa. Eso significa que la liberación integral de los pobres debe abarcar la totalidad de la persona: su cultura, su estructura, su dimensión histórica y su camino hacia la plena estatura de Cristo. El ambiente misionero del beato José Allamano. No se puede dudar que el fundador recibió la vocación de ser misericordioso desde el mismo Dios cuyo atributo divino es la misericordia. Tampoco se puede negar que su misericordia hacia los pueblos de la periferia haya sido influenciada por el ambiente denso de misionariedad de la iglesia local donde se crió. Cuando nació él, el ambiente de su iglesia local estaba repleto de misionariedad. Estaban naciendo institutos misioneros como el PIME, luego nacieron los combonianos. Eso significa que tuvo la ventaja de conocer los maestros de la misión adgentes, quienes se volvieron sus modelos y posteriormente los de sus misioneros y misioneras. Ellos, sin lugar a dudas, influenciaron su ser misericordioso hacia los pobres en los lugares periféricos del mundo. Al hablar de los modelos de la misión, no se puede dejar de mencionar a san José Cafasso quien le impresionó al beato José Allamano por su capacidad de moverse hacia todos con un celo apostólico incansable . San Juan Bosco es otro modelo que contribuyó al crecimiento del ser misericordioso del beato José Allamano hacia la misión Ad gentes. Él solía ver las expediciones misioneras con tanta solemnidad que salían de Turín para los lugares de misión. Se suma tambien al cardenal Massaia entre los que fueron modelos del beato José Allamano. El misionero capuchino en medio de persecución, misionó por 33 años en Etiopia. Para ello, fue modelo de perseverancia en la misión. El ejemplo de estos modelos, su compasión hacia los que no conocían a Cristo, su amor inquebrantable a Dios y al prójimo; todo eso, influenció el celo misionero y misericordioso del beato José Allamano. La misericordia de esos santos manifestada en las obras caritativas, entrega total a la misión adgentes, no dejó de sembrar las semillas de misericordia en el ser del fundador de los misioneros y misioneras de la Consolata. CONCLUSIÓN “La misericordia es la viga maestra que sostiene la vida de la Iglesia (...). La credibilidad de la Iglesia pasa a través del camino del amor misericordioso y compasivo” . La misericordia fue una columna fundamental en el ser y quehacer del beato José Allamano. Fue misericordioso porque entendió que a él se le había aplicado la misericordia. Los misioneros y misioneras de la Consolata, somos los herederos del carisma del beato José Allamano de ser heraldos de la misericordia y la Consolación de Dios al mundo. Para ello, este año santo de misericordia no puede pasar desapercibido en nuestro compromiso y quehacer misionero.

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