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Recommend Stories


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CEREMONIAS SECRETAS Al hablar de ceremonias secretas nos estamos refiriendo a actividades reservadas exclusivamente a los hombres y que son en aspecto

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URUGUAY ORILLAS DEL PAISITO Texto & Fotos: Guido Piotrkowski 66 / Uruguay Uruguay / 67 SE SIENTE COMO UNA ISLA A la Ciudad Vieja de Montevideo,

EMPOTRABLE SUBMONTAR. 40 cm. 50 cm. 60 cm. 70 cm. 80 cm. 90 cm. 100 cm. 110 cm. 120 cm. 130 cm KTS1130 KTS1125 KUD3219 KIM
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MECANO Alumno:___________________________________________ Fecha_____________ 4R 4 cm 4 cm 4 cm 4 cm 4 cm 4 cm 4 cm 4 cm 32 cm 2A 6 cm 4 c

Story Transcript

n. 67

aprile 2023

Differenti per natura Dinamiche trasformazioni avanzano nella città-oasi del design

PAOLO Jannacci

Nicola Bertellotti

Stefano Giovannoni

Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - LO/MI

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editoriale

Quale futuro per Milano?

Negli ultimi mesi a Milano si è aperto un dibattito che difficilmente arriverà a una sintesi rapida e univoca. La nostra città, per anni elogiata (anche su queste pagine) come modello da imitare e traino di un Paese intero, sta conoscendo crepe e zona d’ombra, almeno per alcuni. Milano sulla spinta di Expo 2015 si era affermata a livello internazionale come città accogliente, dinamica, creativa, a tratti persino visionaria. Capitale della moda prima, del design poi, era diventata un punto di riferimento del lifestyle a livello globale. Poi il Covid ha determinato un’inevitabile battuta d’arresto, ma il problema non è stato forse quello, sia perché la pandemia ha colpito tutte le grandi metropoli più o meno allo stesso modo, anche se in tempi diversi, sia perché la ripartenza c’è stata ed è innegabile. Quello che forse è avvenuto è stato di aver colto troppo in fretta tutti i benefici di una vocazione internazionale che in fondo è sempre stata nel DNA della nostra città, senza valutarne le ricadute su chi a Milano ci vive e rappresenta il motore nascosto e silenzioso del suo straordinario sviluppo. Oggi molti lamentano un senso di precarietà, insicurezza, costi folli degli immobili non commisurati agli stipendi dei residenti, una gentrificazione dilagante che rischia di premiare solo i grossi fondi e investitori internazionali. Dilagano da mesi sui social i video dei taccheggi sulla metropolitana, spesso opera di trasfertisti da altre città, ma anche scene di degrado in zone della città fino a qualche anno fa risparmiate. La politica e l’amministrazione locale hanno certamente le loro colpe, ma il milanese per sua natura non è abituato a cercare scuse, e anche in questa occasione dovrebbe singolarmente cogliere i segnali, individuare le proprie responsabilità e trasformarle in proposte e occasioni di rilancio per tutta la comunità. Già, comunità, parola meravigliosa e troppo spesso dimenticata, nella frenesia di esserci e di apparire che modelli di successo contemporanei troppo spesso ci impongono. Su questo numero ospitiamo come editorialisti due amici e due penne straordinarie, Moreno e Simona, che nelle prossime pagine daranno due visioni opposte della nostra città. Entrambi critici e attenti osservatori ci aiuteranno a riflettere sulla direzione che stiamo prendendo, e sulle opportunità che non sono affatto scomparse. Un dibattito che non può che trovare la sua vetrina ideale nel momento di massima visibilità per Milano: la design week con il suo immancabile Fuorisalone.

Stefano Ampollini

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sommario

10

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di Simona Galateo

di Marco Torcasio

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di Moreno Pisto

di Marilena Pitino

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a cura della redazione di Club Milano

di Alessandra Cioccarelli

Nicola Bertellotti

A tutto design

Andrea Loreni

Canto per Milano 2023

Appuntamenti

L’arcobaleno di colori della primavera

18 Paolo Jannacci

30

Stefano Giovannoni

di Paolo Crespi

di Marco Torcasio 34

Il “lavoro intelligente” si fa in hotel

di Marco Torcasio

38 Andrea Frazzetta

di Marilena Pitino 40

Pedalando sulla buona strada

di Giulia Lenzi

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sommario

64 Splendide ventenni 

di Ilaria Salzano 66

Su misura e con un tocco personale

di Marzia Nicolini 70

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Liberiamo lo streaming

di Paolo Crespi

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Questione di personalità

a cura di Giuliano Deidda 52

Forever Bowie

di Giuliano Deidda 56

Simone Landi

di Giuliano Deidda 62

Spring superstar

di Monica Codegoni Bessi

in copertina. L’installazione Be Open al Giardino Botanico di Brera. Foto di Andrea Frazzetta 8

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L’impero del sole di Savino Pellerano

76 La magia di Nola

di Stefano Ampollini

78 Andrea Locci

di Simone Zeni

80 Notizie

a cura della redazione di Club Milano

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opinioni

A tutto design

La prima volta che sono venuta a Milano per visitare il Fuorisalone era il 2000, nove anni dopo la sua nascita. Anche se identificare un vero e proprio anno zero non è così semplice per un evento diffuso nato sostanzialmente in modo quasi del tutto spontaneo. Tuttavia, l’impressione che mi aveva lasciato girovagare per la città di Milano – in quegli anni in cui l’immagine che restituiva di sé mostrava un carattere ancora un po’ grigio e non del tutto di facile accesso – era di un momento felice, dinamico, eccitante. Ogni spazio, dagli showroom storici a quelli presi a prestito per esporre oggetti, ricerche e sperimentazioni nell’ambito del design, era soprattutto un’occasione vera e propria di scoperta e dialogo con persone arrivate da tutto il mondo. Una porta aperta verso culture, produzioni, visioni internazionali tutte raccolte in un unico luogo, per un breve periodo e dislocato in posti normalmente inaccessibili o completamente ripensati. L’evento degli eventi. Non si poteva mancare. Bisognava esserci. La vera fiera campionaria, per chi nel design ricercasse nuove tendenze, produzioni, stili, pensieri e visioni, stava nei meandri spesso più nascosti e impensabili della città. Una caccia al tesoro. Con il pregio assoluto di aver aperto le porte soprattutto ai cittadini il mondo del design, con tutti i suoi colori, sfumature, pregi e difetti. Oggi, dopo evoluzioni e anche involuzioni, ci ritroviamo ancora una volta a festeggiare la città e il mondo che ci circonda. Perché nel frattempo il concetto stesso di design si è allargato. Da tempo non parla più solo a un mondo specializzato, ma a tutti coloro che nella quotidianità usano e vivono lo spazio che li circonda, da quello più domestico fino alla città, immersi nel design, dai prodotti, alle strategie di pensiero, alle relazioni tra le persone, dal marciapiede al bicchiere del cocktail al bar. Milano nel frattempo ha cambiato volto, è diventata una città internazionale, scintillante e affascinante. Gli occhi di tutto il mondo sono qui puntati per fare nuovi business, ma anche per godersi l’eccezionalità e la bellezza di un luogo ancora capace di sfidarsi e di solleticare domande e riflessioni. Quest’anno il tema del Fuorisalone è “Laboratorio futuro”, perché è lì che è necessario guardare, tenendo allenato lo sguardo, teso l’orecchio, ma soprattutto, godendosi il più possibile il viaggio. Buon Fuorisalone.

SIMONA GALATEO Architetto e curatrice, ha realizzato libri e

scritto per riviste, tra cui Abitare, Domus, Arquitectura Viva, Artribune. Ha organizzato numerose mostre sui principali temi dell’architettura contemporanea, esposto al Padiglione Italia della Biennale di Architettura di Venezia e alla Triennale di Milano. 10

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opinioni

Canto per Milano 2023

Milano è pericolosa. Milano è costosa. Milano è “M-l’Ano” come diceva Madonna. La Stazione Centrale allo sbando, nei parchetti ci sono i bimbi che giocano in 50 mq recintati (come i cani) di fianco agli spacciatori. A Porta Venezia intendo, non in periferia. Gli affitti costano due reni. E la città da anni è più il tempo che è vuota che piena. Prima si svuotava davvero solo a Natale e ad agosto, ora siamo quasi sempre immersi in un perenne agosto. La sera mi affaccio sul balcone e c’è un silenzio irreale. Poche luci, poca gente, poche auto in giro, tutte parcheggiate. Questa città va ripensata. Va ripensato il suo modello, va ripensata la sua filosofia, vanno ripensati gli orari, gli uffici, le strade, le offerte dei bar che campano solo sui pranzi di lavoro. Se non fa questa cosa, Milano la immagino deserta tra qualche anno. Palazzi sfitti, monopattini parcheggiati in mezzo alle carreggiate, locali chiusi, gente che deambula spersa e disperata. Altro che 2026, Milano-Cortina e queste robe qui. Questa città ha bisogno di nuovi illuministi che se ne fregano dei dati, di chatGPT, dei grandi eventi che poi lasciano il vuoto: piazze, alberi della vita, mausolei, padiglioni, tutti vuoti. Questa città ha bisogno di un rinascimento culturale. Ma non parlatemi di soldi, di profitti, di musei. Di budget. Che la cultura debba fare soldi è una degenerazione di questi tempi dove tutto è mercificato. Gli artisti a Milano dovrebbero essere stipendiati senza l’obbligo di produrre niente. Dovrebbe essere invasa dai mecenati e invece ci sono solo mercenari. Questa città ha bisogno di coraggio, di iniziative non brandizzate. Questa città ha bisogno di vita. Di feste per strada. Di gente che fabbrica cose con le mani. Di parole da dimenticare. Via fee. Via bdg. Via k. Riprendiamocela. Camminiamo. Guardiamo in alto. Che nelle facciate dei palazzi, nei terrazzi, verso il cielo sta città dà il meglio di sé. Chi è che la deve ripensare? Partiamo da noi. La speranza è un ragazzo di 24 anni che si chiama Matteo e apre un piccolo panificio artigianale, otto metri quadri, e lo fa senza prendere un ufficio stampa, senza scomodare il marketing. Sta lì dentro 12 ore al giorno, fa il suo pane di grani antichi, farro e segale, ha sempre le mani sporche e la fila fuori. Semplice e buono. Ecco le due parole di cui ha bisogno Milano: semplicità e bontà. Due parole che si portano dietro un enorme carico di profondità e complessità: entrambe hanno dietro operosità, tentativi, sbagli, talento, improvvisazione e genio. Questa città ha bisogno di gente che legga Calvino. Di solidarietà. Di qualcosa di magico e concreto. Come un chilo di pane che quando lo mangi senti l’amore: magico e concreto sono antitetici solo per i miseri di spirito e di passione.

moreno pisto È stato Direttore di Urban e Riders, oggi dirige

MOW. Inviato televisivo con tre libri scritti, su Instagram è @pistoisfree. Fa interviste, scrive di temi d’attualità, si incazza spesso. Tarantino di nascita, montecatinese in gioventù, milanese dal 2004. Ha quattro figli. 12

CANADIANCLASSICS.IT

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APPUNTAMENTI

La città apre le porte dei propri spazi alla musica, al design, all’arte e alla fotografia per costruire occasioni di accoglienza e di ricerca, in un’alternanza di temi, stili, tecniche e visioni

a cura della redazione di cm

Piano City 2023 LOCATION VARIE 19, 20, 21 MAGGIO Torna uno dei festival di pianoforte tra i più prestigiosi d’Italia. Una manifestazione unica nel suo genere che, coinvolgendo istituzioni, associazioni, partner e cittadini, investe per una città sempre più attiva, grazie alla musica e a un programma capillare sul territorio. Un progetto, a cura di Ponderosa Music&Art e hdemia, che vanta la direzione artistica di Ricciarda Belgiojoso e Titti Santini. Il cuore della kermesse batte a ritmo musicale nei giardini della GAM (Galleria d’Arte Moderna), che oltre al concerto inaugurale ospita nelle serate di sabato e domenica artisti di fama nazionale e internazionale. Sabato 20 maggio alle ore 20.00 apre la serata Jin Ju, riconosciuta dalla critica internazionale per la perfezione tecnica e il suo virtuosismo, con Brahms e Liszt, seguita alle ore 21.00 da Koki Nakano, che insieme al danzatore Mourad Bouayad presenta il suo Oceanic Feeling. Tornano dopo tre anni di assenza i concerti nelle case e nei cortili dei milanesi, per trasformare gli spazi privati in luoghi d’incontro. Da non perdere, domenica 21 maggio alle 5:00 del mattino, Demian Dorelli che sveglierà la città sulle note di My Window, album raccolta dei suoi brani inediti, presentati in anteprima sul piazzale del Cimitero Monumentale. Nelle foto Jin Ju e Jeremiah Fraites ritratto da Cory Richards.

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APPUNTAMENTI

L’arcobaleno è sottovalutato Alcova 2023 VIALE MOLISE 62 DAL 17 AL 23 APRILE Una nuova edizione di Alcova prende vita negli spazi articolati di un’inedita location. Come un rito che si ripete, un luogo magico e sconosciuto ai più di Milano vibrerà di persone, oggetti e idee, trasformandosi in una piattaforma globale dedicata a offrire uno spaccato puntuale e calzante della scena internazionale del design contemporaneo. I monumentali spazi dell’Ex-Macello di Porta Vittoria ospiteranno oltre settanta progetti volti a esplorare direzioni diverse e complementari della pratica del design. La nota piattaforma di ricerca Atelier LUMA - LUMA, Arles, coordinata da Jan Boelen, offrirà ai visitatori un viaggio scenografico nel mondo della materia, fondato su anni di sperimentazione e ricerca sullo sviluppo dei materiali. Il tema dei materiali e del loro ruolo nel design contemporaneo ispirerà anche un’installazione su larga scala della piattaforma finlandese Habitarematerials, curata da Nemo Architects. Entrambe le installazioni saranno accompagnate da un programma di talk, lecture e interventi performativi. Foto di Federico Floriani.

LEICA GALERIE MILANO C/O LEICA STORE MILANO DAL 12 APRILE AL 24 GIUGNO L’arcobaleno è sottovalutato di Piero Percoco è la nuova mostra che Leica Camera Italia presenta negli spazi di Leica Galerie Milano, a cura di Denis Curti e Maurizio Beucci. Una gigantografia di un grande ulivo che brucia conduce in un mondo surreale che si rivela, in maniera contradditoria, molto più vicino alla realtà. Da un’immagine straziante che richiama con forza la necessità di proteggere la terra e la natura, si avvia un viaggio verso una possibile salvezza, verso una nuova vita, un Paese delle meraviglie, la Puglia, terra d’origine di Percoco, che diventa simbolo di ripartenza, come i fiori che continuano a vivere sopra le fiamme testimoniano.

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APPUNTAMENTI

Il suono dell’arte LaFil al Mudec. Musica Surrealista MUDEC DAL 22 al 28 MAGGIO

Bright Flow Milano LOCATION VARIE DAL 18 AL 23 APRILE Milano è una città d’acqua, tanto quanto Venezia, ovvero una città sorta sul passaggio di diversi fiumi e altrettanti canali (due per tutti, l’Olona e il Seveso). Questa l’intuizione che dà il via alla prima edizione di Bright Flow Milano, l’evento di valorizzazione urbana dal forte impatto artistico, tecnologico e sostenibile che porta le opere d’arte lì dove ci sono i corsi d’acqua più iconici della città. Giochi di luce, workshop e talk prenderanno forma in un evento diffuso durante una delle settimane più stimolanti della vita milanese: la Design Week, dal 18 al 23 aprile. Bright Flow Milano nasce dal desiderio di creare un appuntamento annuale in cui far riscoprire la natura “acquatica” di Milano attraverso l’illuminazione dei navigli a oggi navigabili e quelli ormai interrati. Cinque installazioni luminose in cinque diversi punti della città: via Corsico, opera di Carlo Bernardini; ponte Alda Merini, opera di Amadama; Centro dell’Incisione, opera di Nino Alfieri; Ripa di porta Ticinese, opera di Gianpietro Grossi; Barcone Milano, installazione luminosa interattiva. Filo conduttore l’alleanza tra luce e acqua, nel contesto dinamico e internazionale che rende Milano più che mai fucina di idee e creatività.

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LaFil - Filarmonica di Milano trasferirà la propria residenza al Museo delle Culture all’interno del percorso della mostra Dalí, Magritte, Man Ray e il Surrealismo. Capolavori dal Museo Boijmans Van Beuningen (22 marzo – 30 luglio 2023) per proporre un progetto artistico unico nel suo genere, che reinventerà per una settimana il concetto di fruizione culturale e musicale della città. In un dialogo continuo di rimandi tra arte surrealista e musica classica, brani ispirati ai capolavori surrealisti in mostra affascineranno il pubblico con momenti concertistici e performance improvvisate, regalando un’esperienza che intende declinare il rapporto tra musica d’orchestra e fruizione museale. Foto di Fabrizio Spucches.

Lussemburgo,

la città del Belvedere Siti storici ed edifici contemporanei, corsi d’acqua e valli verdi fanno del Lussemburgo una capitale altrettanto diversificata quanto i suoi abitanti provenienti da più di cento nazionalità.

Alfonso Salgueiro

Immaginate una città che unisce tutto. Ambiente multiculturale e ospitalità rilassata. Un’atmosfera internazionale e una tradizione vivace. Un’architettura moderna accanto alle antiche mura della fortezza. Il contrasto tra il progresso e il patrimonio storico dell’UNESCO.

Immaginate una città dove si può fare shopping a volontà e poi passeggiare in rigogliosi parchi per immergersi nella natura. Lasciate che il vostro sguardo vaghi su una città dai mille volti. Godetevi lo splendido Belvedere. Godetevi Lussemburgo.

www.visitluxembourg.com

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musica

PAOLO Jannacci

ANTEPRIMA PIANO CITY Il suo presente è un’acuta riflessione sul senso del fare musica oggi condividendo valori e ricordi, collettivi e familiari. Con qualche sana provocazione sull’uso del pianoforte, il politicamente corretto e le bizzarre derive della discografia di PAOLO CRESPI

La sera del 18 maggio, nell’anfiteatro Apple di Piazza del Liberty, firmerai insieme a Frida Bollani Magoni l’anteprima della nuova edizione di Piano City. Cosa stai architettando per l’occasione? Il mio sarà un concerto per piano solo e con Frida, che si esibirà subito dopo, condivideremo il palco per un duetto in cui ci passeremo idealmente il testimone. Farò alcuni classici che mi porto sempre nel cuore – penso ai brani di Michel Legrand interpretati da Bill Evans o a standard jazz come Over the Rainbow – ma mi piacerebbe iniziare con Who Can I Turn To di Bricusse e poi costruire dei medley da inframmezzare a poche canzoni, mie (Alla ricerca di qualcosa o Voglio parlarti adesso) e del papà (Ti te se no…). I tributi all’arte di Jannacci senior sono una costante delle tue esibizioni. Com’è cambiato in dieci anni, da quando lui non c’è più, il tuo rapporto con la figura paterna? Sento ancora di più la nostalgia, la mancanza. Di come nel quotidiano affrontavamo insieme determinate sfide o avventure. Non cambiando sentiero e continuando a portare avanti questa operazione di ricordo necessario per la mia città e il mio paese, il dolore si acuisce proprio quando c’è più intensità e attenzione. Come si superano i momenti di down? Mia aiuta vedere mia figlia Allegra, 15 anni a maggio. Seguirla con mia moglie Chiara mi fa vivere nella dimensione corretta di un padre e di un gruppo familiare, mi dà sicurezza e serenità. E quando 18

mi metto a suonare mi ritiro in una dimensione più artistica e “onirica”. A volte il modo di lavorare e di pensare come facevo con mio padre Enzo mi fa venire in mente nuovi brani o soluzioni creative. Il pianoforte, sempre presente anche nelle tue immagini e post su Instagram, è un co-protagonista ingombrante? Il nostro è lo strumento più completo e strepitoso che ci sia, ma bisogna sapere bene come utilizzarlo. Si impara col tempo, e non parlo della tecnica. Il fatto è che dopo un po’ il pianoforte è difficile da reggere, diventa pesante, fastidioso. A differenza di uno strumento a pizzico come la chitarra, sempre piacevole all’ascolto, può anche romperti brutalmente le scatole. Il segreto è dosare bene gli ingredienti del repertorio. Ecco perché molti pianisti si soffermano su elementi ripetitivi e ipnotici, proprio per evitare di stordire lo spettatore con dieci “brani della vita” che poi finiscono per mandarti fuori di testa. È il tuo viatico per Piano City? Lì, nel mio piccolo, ho sempre cercato di fare cose diverse. E anche il pubblico, molto più motivato che altrove, ti dà ogni volta indicazioni diverse su come suonare in quella determinata occasione. È un momento splendido. Puoi avvertire quasi il respiro della tua città. Enzo Jannacci, appena raccontato in un bel libro biografico che hai scritto a quattro mani con il critico musicale Enzo Gentile, aveva una sua tribù. Qual è la tua? È in primis il gruppo di musicisti del mio quartet-

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musica

Paolo Jannacci ritratto da Simone Galbiati e Nicola Allegri. Courtesy Piano City Milano

to: Stefano Bagnoli, Marco Ricci e Daniele Moretto. Siamo tutti un po’ orsi e pieni di impegni, ma quando ci vediamo scatta la magia. E la libertà dell’ironia e del sarcasmo che sono merce rara in questi tempi ingessati in cui devi pesare ogni frase, ogni parola. Non ho tanti amici, ma fra loro ci sono sempre il mio discografico Tony Verona e i miei autori Paolo Re, Maurizio ed Emiliano Bassi. Tu e il tuo quartetto state lavorando a un nuovo progetto discografico? Nì. I nuovi brani ci sono tutti, con un filo conduttore interessante che è uno sguardo su ciò che mi circonda e mi piace oppure no, con dentro i miei sentimenti di artista, di padre, di figlio. Ma il grosso punto di domanda è se ha ancora senso, oggi, uscire con un LP. Ci butti dentro due-tre anni di

lavoro e dopo una settimana è già “vecchio”, sommerso da una valanga di uscite e in balia di ascolti improbabili. Il mercato non esiste più e la tecnologia non aiuta. In che senso? In nome della musica liquida abbiamo accantonato i cd audio che erano un supporto di grande valore: garantivano in tutto il mondo, con qualsiasi impianto, una qualità alta e una conformità del 99%. E celebriamo il ritorno al vinile che in realtà è un passo indietro di cinquant’anni. E se non hai un super impianto resti al palo. Per non parlare del livello degli mp3 sul telefonino… Per fortuna esistono ancora i live. A proposito, vi aspetto tutti a Jannacciami!, il concerto-omaggio corale del 3 giugno agli Arcimboldi. Ci sarà da divertirsi. 19

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fotografia

ABBANDONARSI TRA BELLISSIME ROVINE MONUMENTALI. Nel

libro In Absentia del fotografo Nicola Bertellotti trionfano luoghi scrutati – come titolo comanda – in absentia hominis. La macchina di Bertellotti, vera e propria “camera delle meraviglie”, diviene testimone oculare di epoche mai esperite, nel sussurro di un polveroso brano affrescato, nelle spire di un signorile scalone a chiocciola, nei broccati sdruciti di eleganti poltrone o nelle scenografie di un teatro ridotto in macerie. Bertellotti ci mostra l’annosa competizione tra Natura e Cultura, le cui battaglie hanno costellato la lunga età moderna d’Europa e, in primis, d’Italia di Marco Torcasio

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fotografia

Oro, Lombardia 2023 

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fotografia

Sotto. Idillio, Friuli Venezia Giulia 2019

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Sopra. Un canto per gli alberi, Toscana 2021

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fotografia

La causa di un disordine qualsiasi, Piemonte 2018

“Mi sono domandato come facciano questi luoghi a suscitare in noi così tanto fascino. La risposta è semplice: ci assomigliano, poiché la loro caducità ci dice qualcosa della nostra”

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fotografia

La bellezza delle crepe inscrive nelle fotografie di NICOLA BERTELLOTTI il ricordo di un’età felice. Si affaccia ai nostri occhi una poetica decadente che guarda al passato ma già offre una visione distopica del futuro

Come ti sei avvicinato alla fotografia? Sono arrivato alla fotografia in modo bizzarro. Da ragazzino realizzavo cortometraggi con gli amici ma nonostante la passione non ho optato per il Centro Sperimentale di Cinematografia bensì per un percorso universitario canonico scegliendo Storia. Ho comprato la mia prima Reflex mosso dall’amore per il viaggio e ho iniziato a cimentarmi, da autodidatta, con la street photography. La rivista Il Fotografo pubblicò una mia foto scattata a Essaouira, in Marocco, e io nei fui felicissimo. In quello stesso giornale trovai la foto di un noto luogo abbandonato in provincia di Lecco, Consonno, che mi affascinò a tal punto da spingermi ad andare lì per scattare. Nonostante non avessi Flickr ma soltanto Facebook, i miei scatti hanno cominciato a diffondersi in rete fino ad approdare all’interno di una mostra. Quale evento ha rappresentato uno spartiacque per la tua professione? 24

La personale Fenomenologia della fine che ho tenuto a Pisa nel 2014 con il patrocinio del Comune nel bellissimo spazio espositivo Sopra le Logge. A cui è conseguito l’ingesso nella galleria d’arte contemporanea Senesi Arte. Dietro le tue fotografie ci sono anche interessi di tipo artistico e filosofico? C’è soprattutto un grande amore per la letteratura e per il cinema. Sarò nel panel del prossimo Festival della Comunicazione di Camogli (dal 7 al 10 settembre, NdR) dove parlerò di luoghi e memoria, non solo attraverso le mie immagini ma anche mediante ciò che ci sta attorno. Non mi sento un fotografo, e non lo dico per falsa modestia ma perché sono i soggetti ad aver fatto di me un fotografo. I titoli che scelgo mi aiutano a veicolare la mia visione: sono rimandi al cinema e alla letteratura che canalizzano la mia espressività tanto quanto le immagini. In che modo lo strumento fotografico riesce a toccare memoria, ricordi, nostalgia? Sono i luoghi prescelti a farlo. Mi sono domandato come facciano a suscitare in noi così tanto fascino. La risposta è semplice: ci assomigliano, poiché la caducità dei luoghi ci dice qualcosa della nostra. Come scegli le location dei tuoi scatti? Attraverso un grande lavoro di ricerca che mi porta a passare nottate intere su Google Maps, a contattare chi carica su YouTube video di case stregate e a condivisione informazioni e coordinate con amici e colleghi fotografi d’Europa. Hai mai fotografato un luogo abbandonato nel milanese? La foto che ho chiamato “Oro” rappresenta un inedito, l’ho scattata tra Vigevano e Milano in un palazzo abbandonato che si è presentato ai miei occhi come una capsula del tempo. Il legame con la città si è materializzato attraverso oggetti, cartoline d’epoca, lettere, documenti. Alla fine prevale la bellezza o il dolore? Il mio non è un lavoro di denuncia. Evito i luoghi dove il dolore è ancora vivo prediligendo quelli che diventano “altro” grazie allo scavare del tempo. Lo faccio per svelare un’inedita geografia della bellezza di cui non ci accorgiamo, presi come siamo della nostra frenesia.

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fotografia

Sopra. Nostalgia dell'altrove, Toscana 2016

Sotto. À rebours, Belgio 2015

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persone

IL TEATRO DELLE MERAVIGLIE.

Il 26 maggio ANDREA LORENI, l’unico funambolo italiano specializzato in traversate a grandi altezze, lascerà i milanesi con il fiato sospeso camminando lungo un tragitto di 205 metri, dall’iconico e pluripremiato Bosco Verticale all’UniCredit Tower di Marilena Pitino

Il teatro di strada e le arti circensi contemporanee in stretta connessione con la natura nel grande giardino della Biblioteca degli Alberi. Torna l’appuntamento con BAM Circus – Il Festival delle Meraviglie al Parco, ideato e diretto da Francesca Colombo, direttore generale Culturale di BAM, Fondazione Riccardo Catella. Ad aprire l’edizione 2023 un evento eccezionale che vedrà protagonista il funambolo Andrea Loreni. Da dove è scaturita una passione così insolita come quella per il funambolismo? Dapprima è nata l’attrazione per il teatro di strada. A Milano negli anni Novanta ho assistito allo spettacolo di un giocoliere e mi ha colpito molto la dinamica di relazione con il pubblico. È stato un momento di condivisione pervaso da un profondo senso di libertà. Cosa rivedi in questa pratica? È una sottolineatura della vita. Noi funamboli siamo costantemente a rischio e a contatto con la morte a ogni passo. Occorre fare i conti con le fragilità ed essere disposti a farsi carico dei rischi dell’esistenza. La tua prima traversata? È stata sul Po a Chivasso, vicino Torino, un’espe-

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rienza più intensa delle altre. Tanta adrenalina, sia prima che dopo la performance, e anche un po’ di paura, che si ripresenta tutte le volte. Cosa provi quando poggi il piede sul cavo? Subentra la paura, che cerca di impedirmi di andare avanti. Per procedere ho bisogno di lasciare indietro le preoccupazioni, i pensieri e me stesso. Che cosa significa abituarsi alla paura? Essere disposti a provare questo sentimento e riprovarlo. Non aver paura di avere paura. Ho imparato a conoscerla e a capire su quali leve lavora. La paura è un alleato interessante, sempre lì pronta a dirti “fai attenzione”. Come sei stato coinvolto nel progetto di BAM Circus – Il Festival delle Meraviglie al Parco? Lo scorso anno sono andato alla prima edizione del Festival e ho regalato un mio libro a Francesca Colombo, direttore generale culturale di BAM, Fondazione Riccardo Catella, ma senza chiederle nulla. Ci siamo semplicemente “notati”. In seguito le ho parlato del progetto di realizzare una traversata tra il Bosco Verticale e l’UniCredit Tower, riscontrando subito dell’interesse. Oggi stiamo costruendo insieme l’evento e ci stiamo preparando al 26 maggio. A rendere tutto più emozionante ci

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sarà la musica realizzata dal pianista e compositore Cesare Picco, che interpreterà le diverse fasi della traversata. Un momento di meraviglia da condividere con la città. Come ti stai preparando alla traversata? Ci sono due aspetti tecnici rilevanti. In primis l’uso di un nuovo cavo realizzato con un materiale sintetico, più leggero e con una maggiore tenuta e sicurezza rispetto all’acciaio. Ci saranno inoltre delle corde di stabilizzazione e quattro tecnici appesi al cavo si muoveranno insieme a me. Come stai trascorrendo le giornate in vista dell’evento del 26 maggio? Cerco di prepararmi ad arrivare impreparato. Ho imparato ad avere la mente del principiante. Pratico meditazione, Tai Chi ed esercizi di consapevolezza legati al corpo. Sto lavorando molto sulla preparazione fisica perché la salita finale sarà molto tosta. Che relazione c’è tra filosofia zen e funambolismo?

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Il funambolismo è come un maestro zen. Richiede presenza assoluta e capacità di affrontare l’ignoto con lo spirito dell’esploratore. L’esercizio principale sta nella disponibilità a vivere il presente. Attraverso la pratica zen mantengo sul cavo una certa postura e lascio andare dolori e tensioni. C’è un rito che sei solito fare prima di salire sul cavo? È una piccola sequenza operativa: inizio a scaldarmi fisicamente, lavoro sulla voce per legarmi alle sensazioni e compio ventuno respiri. Quando arrivi al termine della traversata cosa provi? Stupore e commozione. Per un’istante riesco a vedere tutto con purezza. Cosa ti aspetti da te stesso e da chi ti seguirà? Cercherò di aprirmi per entrare in connessione con il pubblico. Durante le traversate emerge un sentimento di solitudine ma sapere che c’è qualcuno a guardarmi mi rende meno solo. È interessante scoprire chi sei veramente senza poter mentire.

Andrea Loreni ritratto nel grande giardino botanico di BAM

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città

Tempo di belle giornate en plein air. A Milano i luoghi più poetici sono quelli in cui ammirare fioriture ricche di colori e vivacità. Uno spettacolo da contemplare rigorosamente a piedi

di Alessandra Cioccarelli

L’arcobaleno di colori della primavera

La primavera è un piacevole incoraggiamento ad abbandonare la pigrizia invernale e uscire alla (ri)scoperta dei luoghi più poetici della città, specialmente se incorniciati da cascate di glicini, magnolie in fiore, roseti, prati di tulipani e fiori di campagna. Da dove cominciare? Uno scorcio speciale è in Santa Maria delle Grazie: la splendida chiesa che si incontra lungo Corso Magenta non solo custodisce l’Ultima Cena di Leonardo, ma anche il chiostro delle rane, un angolo bucolico reso ancor più poetico dalla romantica fioritura della magnolia stellata. E da qui vale la pena dirigere i passi verso il vicino Parco Sempione, polmone verde della città. Che scegliate il trekking, un picnic en plein air, una visita al Castello Sforzesco, sarete abbracciati dall’incanto di aceri, faggi, olmi e magnolie in fiore. Tra i parchi da esplorare per ammirare lo spettacolo della primavera c’è in zona Porta Nuova l’innovativa Biblioteca degli alberi, all’ombra del Bosco Verticale: un gigantesco (più di 8000 metri quadri) tappeto, punteggiato di fiori, vi accoglierà in un morbido e colorato abbraccio. Passeggiando tra prati fioriti, giardini di piante acquatiche, foreste circolari e cascate di rampicanti vi sembrerà di essere catapultati in un quadro impressionista. La primavera si mostra nella sua bellezza anche nel Parco di CityLife, costellato di ciliegi e magnolie. Qui la tradizione italiana di orticoltura e giardinaggio è celebrata anche grazie al progetto Orti Fioriti, che si estende per 3000 metri quadri e permette al visitatore di immergersi nei profumi e colori del Giardino delle Erbe, del Giardino dei Profumi o lungo il viale dei Fruttiferi nani. Una sfilata di magnolie e alberi di pruno dà il benvenuto anche a chi visita i pittoreschi Giardini Indro Montanelli, situati in zona Porta Venezia. Dopo una visita al Planetario, la cui architettura vanta la firma del Portaluppi, è piacevole passeggiare tra aiuole fiorite e sentieri bucolici di questo centralissimo giardino per apprezzare la varietà della sua flora. E, a pochi minuti da qui, merita una sosta anche Villa Necchi Campiglio, il gioiello déco di via Mozart, progettato sempre da Portaluppi e arricchito da un giardino di platani, tigli, faggi, magnolie, orten-

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sie. Questo luogo magico, nel cuore del Quadrilatero del Silenzio, è incorniciato in primavera dalla rigogliosa fioritura del glicine. Un tuffo nella bellezza vi aspetta poi nell’incantato Orto Botanico di Brera, lo storico giardino nascosto dietro la Pinacoteca, nota per custodire tra i suoi capolavori lo Sposalizio della Vergine di Raffaello e Il Bacio di Francesco Hayez. Passeggiando tra specie esotiche, piante aromatiche e alberi secolari potrete ammirare il fascino unico di quest’oasi cittadina, fondata nel 1775 per volere dell’Imperatrice Maria Teresa d’Austria. Infine un bel giro in bicicletta costeggiando il Naviglio della Martesana: lungo il canale, che da Milano giunge a Trezzo sull’Adda, potrete ammirare ville signorili, parchi e ponticelli avvolti dalla fioritura di soffici ciliegi e glicini. Per gli appassionati di tulipani (e di fotografia) è immancabile una tappa a Tulipani Italiani, il campo “u-pick” situato ad Arese, all’interno del Parco delle Groane, e ideato dalla coppia di olandesi, Edwin Koeman e Nitsuhe Wolanios a partire tra una tradizione botanica molto diffusa nel loro Paese. Un viaggio lontano dal caos immersi in un arcobaleno di tulipani e di specie sempre nuove.

Villa Necchi Campiglio. Foto di Barbara Verduci. Courtesy FAI - Fondo Ambiente Italiano

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Stefano Giovannoni in posa per il progetto Qeeboo

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STEFANO GIOVANNONI

IL DESIGN CON UN TOCCO POP CHE SUSCITA MERAVIGLIA. Ligure di origini

e milanese d’adozione, con le sue creazioni è pioniere di una cultura del design che unisce pensiero, visione ed emozione. Opere best seller le sue, nate per riconnetterci con il nostro lato più creativo di Marco Torcasio

Tra poltrone di Edra, antichi oggetti indiani e quadri del Seicento mi accoglie nella sua casa-studio all’angolo fra via Solari e via Stendhal, un tempo ex fabbrica di turbine e oggi anche spazio espositivo dall’animo irriverente e multiculturale. Stefano Giovannoni è stato tra i primi a comprendere, già in tempi non sospetti, che zona Tortona sarebbe ben presto diventata uno dei distretti più strategici per il design milanese. E di intuizioni vincenti è costellato tutto il suo percorso professionale che dagli anni Ottanta a oggi ha incasellato un successo dietro l’altro. La sua avventura nel mondo del design è iniziata con dei mattoncini della Lego? La passione per i Lego mi accompagna sin da bambino e mi ha portato a iscrivermi alla Facoltà di Architettura di Firenze. Dopo la laurea l’accesso al

mondo del lavoro non si è dimostrato facile perché a quei tempi era necessario avere le giuste conoscenze nell’ambiente. Ho subito capito però che quello del design era un mondo più aperto, al quale accedere senza scendere a compromessi. Ho iniziato l’attività didattica all’interno dell’Università, ma alcuni incontri importanti, a metà degli anni ’80, con Andrea Branzi, Alessandro Mendini ed Ettore Sottsass, hanno influenzano fortemente il mio approccio al mondo del design. Insieme a Guido Venturini ho fondato il gruppo King-Kong Production avviandomi alla realizzazione dei primi progetti. Poi istituimmo insieme ad altri colleghi che gravitavano attorno alla Facoltà di Architettura di Firenze un movimento che prendeva il nome di Bolidismo. Un’avanguardia del design che, grazie a uno spiccato senso della 31

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“Il design ha il potere di trasferire nell’oggetto la nostra identità culturale, l’identità dell’autore, del periodo storico in cui opera e dell’immaginario che lo contraddistingue”

comunicazione che anticipava la rete, ci ha dato risonanza in tutto il mondo, prima tra i lettori delle riviste specializzate, poi tra i collezionisti, fino alla produzione industriale che rimane il motore del design. Da qui il legame con Milano? Sì, l’industria era a Milano. A Firenze si faceva ricerca ed era la fucina culturale più importante di quegli anni. Ha avuto dei maestri? All’Università di Firenze ho incontrato colui che reputo il mio maestro più incredibile. Nonostante non sia poi così conosciuto, Remo Butti era realmente un genio oltre che un trascinatore, le sue lezioni nell’aula Minerva dell’ateneo fiorentino erano sempre le più affollate. Un personaggio chiave della scena Radicale fiorentina che ha formato generazioni di progettisti. Quali sono state le trasformazioni più im32

portanti nel mondo del design di cui è stato testimone negli ultimi anni? Fino agli anni Duemila il goal per ogni designer era l’invenzione di un oggetto del desiderio. Con il cambiamento del contesto generale e l’evoluzione del gusto collettivo quegli oggetti si sono rivelati non legati al consumo e ai bisogni reali. Sono venuti a mancare dei trend eterogenei poiché i linguaggi sono diventati molteplici. Ne è dimostrazione il mondo dell’abitare oggi più che mai ibrido. Ha collaborato con molte e importanti aziende. Per Alessi, ad esempio, ha realizzato diverse serie di successo… Nel 1989 ho disegnato insieme a Guido Venturini il vassoio in acciaio “Girotondo”. L’icona dell’omino stilizzato, che poi è quella che ritagliano i bambini nella carta, è un riferimento che appartiene a tutti, legato al mondo dell’infanzia e della memoria. Qui è stata ritagliata nel metallo: una citazione che

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tutti possono capire e riporta il figurativo all’interno di un contesto, quello del design, da cui era stato bandito. Nel mondo oggi ne esistono oltre dodici milioni di pezzi, numeri che nessun designer ha mai eguagliato. Dopo il vassoio è nata un’intera famiglia di best seller declinata in cestini per il pane, fruttiere, spille che nella storia ha fatto segnare il record assoluto di vendite. Nel 2016 ha fondato Qeeboo, brand specializzato nella produzione di arredi, lampade, mobili e oggetti di design dallo stile ironico e giocoso. Nel catalogo in continua espansione si trovano prodotti e oggetti di successo come la sedia Rabbit, la lampada Kong e il portaombrelli Killer a forma di squalo. Quelli che lei disegna però non sono semplicemente oggetti… Ci aiuta a interpretarne correttamente la natura? La filosofia alla base di Qeeboo guarda alle origini del design rivestendole le icone del nostro immaginario di emozione e fantasia. Si tratta di oggetti ironici, ludico-narrativi, figurativi, con stili e caratteri diversi, realizzati in plastica. Si rivolgono a un pubblico il più ampio possibile ma ciò che conta è che l’utente interagisca inventando nuove funzioni e cambiando le destinazioni d’uso, trasformano così sedie in tavoli, lampade in vasi e accessori. Il suo sguardo sul mondo ha sempre avuto un occhio rivolto verso Oriente. Perché? Spesso in Oriente gli oggetti Qeeboo funzionano meglio che in Europa. Il design ha il potere di trasferire nell’oggetto la nostra identità culturale, l’identità dell’autore, del periodo storico in cui opera e dell’immaginario che lo contraddistingue. Nell’evoluzione che ha riguardato l’architettura negli ultimi anni com’è cambiato l’orizzonte a Milano? Milano è stata per tanti anni ferma mentre le altre città europee crescevano. Poi hanno iniziato a succedere delle cose, sono nati nuovi quartieri e nuove architetture. Oggi la città non è affatto male… E poi con la mia moto a tre ruote riesco a percorrerla tutta in poco più di mezz’ora. Quali sono i luoghi della città a cui è legato? Eataly e il mercato del pesce. Ho una grande passione per la cucina. Pensi che nella mia dimora milanese ne ho tre. Ripone delle speranze nella generazione dei giovani designer?

Consiglierei loro di volare sempre alto. Oggi tanti giovani pur di fare – soprattutto nel design – fanno dei compromessi che piano piano portano a perdere identità. La ricerca è fondamentale, come lo è stata per la mia generazione, per fare cose che abbiamo una forza espressiva unica.

“Alcuni incontri importanti, a metà degli anni ’80, con Andrea Branzi, Alessandro Mendini ed Ettore Sottsass, hanno influenzano fortemente il mio approccio al mondo del design”

Le iconiche Rabbit Chair di diversi colori progettate da Stefano Giovannoni 33

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Il “lavoro intelligente” si fa in hotel L’hôtellerie milanese si reinventa nel segno di un’ospitalità a tuttotondo. Non solo alloggio e ristoro per turisti e viaggiatori d’affari, ma anche spazi e servizi per tutti i lavoratori che necessitano di un’oasi felice in cui lavorare da remoto. L’ufficio del futuro sarà in un albergo a cinque stelle?

In Italia i lavoratori che hanno scelto lo smart working nell’ultimo anno sono cresciuti del 19%, raggiungendo a oggi la quota di 3,6 milioni e il numero è ancora in aumento secondo quanto stimato dall’Osservatorio Smart Working del Politecnico. Tra il lavoro svolto da casa e il vero “lavoro intelligente” la differenza è però sostanziale poiché le abitazioni non dispongono quasi mai di spazi funzionali all’operatività. È storia diffusa: ci ritroviamo a lavorare in condizioni che inibiscono la concentrazione, portando a dilatare l’orario di lavoro con conseguente sovraesposizione alla tecnologia e annullamento delle relazioni sociali. Per far fronte alle condizioni di malessere che l’adattamento improvviso al lavoro agile ha provocato, gli spazi di coworking si moltiplicano nelle grandi città e le strutture nate per il tempo libero iniziano a trasformarsi, seppur parzialmente e occasionalmente, in luoghi di lavoro. In questa cornice giocano un ruolo anche le strutture ricettive, con gli hotel in prima fila. Il mondo dell’hôtellerie infatti sta mettendo a segno nuovi format di hospitality improntati al benessere degli smart workers. Se lavorare fuori casa aumenta la produttività e stimola la socialità, gli hotel ambiscono a dimostrarsi hub perfetti poiché dispongono di aree adeguate e possono garantire molteplici servizi utili ai lavoratori. Sia per gli alberghi di grandi dimensioni, sia per le piccole strutture ricettive, è dunque sempre più impellente l’urgenza d’investire in connessioni internet a banda larga, stabili e potenti, come in una serie di servizi collaterali funzionali al “work from hotel”. Spiega Camilla Doni, general manager del Best Western Hotel Madison di Milano: «Pensare che un albergo possa servire solo a chi è di passaggio o si trova lontano da casa è riduttivo. Noi riteniamo che debba essere un luogo aperto alla città e parte integrande della vita dei cittadini. Per questo abbiamo deciso di includere nella nostra offerta la possibilità di affittare uno spazio in cui fare smart working. Centralità e tranquillità sono i

di Marco Torcasio

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indirizzi Best Western Hotel Madison

via Privata Leopoldo Gasparotto 8 Excelsior Hotel Gallia piazza Duca d’Aosta 9 Sheraton Milan San Siro via Caldera 3 Urban Hive Milano corso Garibaldi 84

La lobby di un hotel come luogo deputato al lavoro agile da Smartphone, iPad o tablet. Courtesy URBNX

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Un particolare di una delle suite di Urban Hive Milano. Foto di Paolo Valentini

La lobby dell’hotel Sheraton Milan San Siro

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“Il mondo dell’hôtellerie sta mettendo a segno nuovi format di hospitality improntati al benessere degli smart workers”

nostri punti di forza: raggiungerci è facile e veloce, e qui si può lavorare senza essere disturbati. Mediante l’applicazione URBNX è possibile prenotare per poche ore o per intere giornate una delle postazioni di lavoro posizionate in un’area appartata, una delle sale meeting di cui è dotato il Best Western Hotel Madison, beneficiando della connessione Wi-Fi da 1 Gigabyte, dell’honesty bar e di un garage convenzionato con servizio di valet parking. Il servizio è aperto a chi si trova lontano da casa, ma anche – e soprattutto – a chi abita nelle vicinanze e vuole trascorrere le ore di lavoro nei pressi della propria dimora». Spostandoci di poco, in una zona strategica della città, l’Excelsior Gallia è un’altra scelta preferenziale per i viaggiatori che vogliono lavorare nell’attesa di un treno o tra una partenza e l’altra grazie alla sua vicinanza con la Stazione Centrale. Il Gallia Lounge & Bar sito al piano terra è il luogo migliore per lavorare in un ambiente tranquillo ed elegante, con il Wi-Fi veloce, aperto e accessibile in tutti gli spazi comuni. Durante l’orario del pranzo gli chef Vincenzo e Antonio Lebano propongono persino un menu ad-hoc, improntato alla condivisione tra colleghi. A soli cinque chilometri dal centro, anche lo Sheraton Milan San Siro ha attivato il pacchetto “Work Anywhere Stay Pass” per permettere agli ospiti di iniziare la giornata lavorativa all’interno della struttura. L’offerta include: check-in alle 6.00 e check-out alle 18.00; camera in day use con spazio di lavoro privato dedicato (scrivania, sedia, bagno privato, luce naturale); Wi-Fi e connettività; $ 10 di credito giornaliero per cibo e bevande, acqua in bottiglia; accesso ai servizi dell’hotel (centro benessere, piscina, spa, ristoranti). L’idea di prevedere spazi dedicati allo smart working contraddistingue anche la strategia di Urban Hive Milano, nuovo quattro stelle in Corso Garibaldi che accoglie un pubblico cosmopolita sia a vocazione business che leisure. Nato dalla completa rivisitazione di quello che fu lo storico Carlyle Brera, l’hotel adotta una visione circolare dell’uso degli ambienti comuni. «Il mezzanino, dedicato alle colazioni fino alle 10.30, dopo le 11.00 si trasforma in un coworking space per le molte startup cittadine che cercano luoghi di contaminazione dove costruire nuove forme di esperienza. Le nostre tre meeting rooms completano l’offerta alimentando il rapporto tra città e hotel all’insegna di versatilità e modularità. Il servizio di coworking è aperto a tutti: sia per chi si trova lontano da casa e soggiorna da noi, ma anche per chi abita nelle vicinanze e vuole trascorrere il tempo dedicato all’operatività vicino alla propria dimora. È possibile prenotare le postazioni per alcune ore o per intere giornate, beneficiando della connessione Wi-Fi e godendosi l’offerta del ristorante Portico84» ha spiegato la Sales & Marketing Manager Giulia Agozzino. 37

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L’INCANTO DELLA FOTOGRAFIA Il fotoreporter ANDREA FRAZZETTA collabora con il New York Times e il National Geographic. Per lui la fotografia è emozione, scoperta, nutrimento. Ha visitato molti paesi in Africa, Sud America e nell’area del Mediterraneo per raccontare storie di umana bellezza

di MARILENA PITINO

Al centro della sua estetica c’è la ricerca del bello per generare incanto. Le sue narrazioni hanno un ritmo preciso che scaturisce dalla costante ricerca e scoperta di luoghi, individui e le loro infinite sfumature. Oggi il suo approccio si rivela più contemplativo, ma senza mai rinunciare a uno sguardo sincero sul mondo che osserva. Ci racconti la tua formazione? Mi sono laureato in architettura al Politecnico di Milano e mentre studiavo mi sono appassionato di fotografia. In seguito, per interessi e casi fortuiti, mi sono lanciato nel fotogiornalismo. Grazie a una borsa di studio ho fatto un’esperienza di lavoro presso l’agenzia Grazia Neri, che rappresentava il fotogiornalismo ai massimi livelli. Durante i sei mesi di stage mi sono immerso nel mondo della fotografia che mi ha travolto totalmente. Me ne sono innamorato, è stato un colpo di fulmine. Il tuo primo lavoro da fotoreporter? Dopo la laurea ho chiesto in regalo un biglietto per seguire una ONG in Africa. Non ho esercitato la professione di architetto neanche un giorno. Sono partito subito alla volta di Manaus, per raggiungere poi la vicina Foresta Amazzonica. Un viaggio rivelatosi determinante, che mi ha portato a diventare fotoreporter. 38

Quando hai preso in mano per la prima volta la macchina fotografica? Alla prima comunione mi hanno regalato una Polaroid, poi durante il liceo ho ritrovato una vecchia macchina fotografica di mio padre. Ho iniziato così a stampare le prime foto in bianco e nero. Ho sempre avuto l’interesse per la fotografia, ma non avevo mai pensato di farne un lavoro. Che cosa significa essere un fotoreporter? È molto più di un lavoro, è identificazione totale, arricchimento umano. E io infatti mi sento l’uomo più ricco del mondo. Mi permette di entrare nella

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vita delle persone e di viaggiare, è un’incredibile raccolta di esperienze dal valore inestimabile. Come si costruisce una struttura narrativa? La fotografia è come la musica e la letteratura, ha una sua grammatica. È abbastanza facile fare una buona foto, ma è molto difficile riuscire ad avere una visione narrativa autoriale e consapevole. C’è uno stile che ti identifica? Ho sempre coltivato una ricerca estetica al di là del racconto. La mia massima aspirazione è cercare di documentare nel modo più bello possibile. Hai viaggiato molto in Africa, Sud America e nell’area del Mediterraneo. C’è un luogo a cui sei particolarmente legato? Ho lavorato tantissimo in Africa e la sua potenza ed energia mi hanno nutrito e aiutato a tirar fuori la mia creatività. Susan Sontag diceva che ci sono fotografi che amano fotografare lontano e fotografi che riescono a fotografare vicino. All’inizio del mio percorso ho infatti avuto bisogno di allontanarmi per uscire dalla mia comfort zone. Adesso quando fotografo il Mediterraneo mi sento a casa. C’è la mia luce, il mio ritmo. Come sono nate le produzioni per le testate internazionali? La collaborazione New York Times è arrivata a seguito di un progetto per il Festival del cinema africano in Burkina Faso. Ho mandato una proposta alla direttrice della fotografia che incredibilmente mi ha risposto, chiedendomi di fotografare per l’edizione successiva. Così sono entrato a far parte del team. Il National Geographic è arrivato in un secondo momento. Per lo speciale The Voyage Issue mi hanno chiesto di raccontare il mio viaggio dei sogni, scrivendomi: “Pensa in grande, per favore”. Così ho trascorso quasi tre settimane in Dancalia insieme ai nomadi Afar. È un luogo poetico, un deserto di sale bianco, circondato da vulcani. Al termine del viaggio una mia foto è stata scelta per la copertina. Un altro salto per la mia carriera. Che rapporto hai con Milano? D’amore e odio. Provo un grande senso di riconoscenza per la città, è stata indubbiamente una grande fortuna avere a portata di mano gli ambienti giusti e l’energia della creatività, ma è talmente brutta, che non solo ha costruito il fotografo che è dentro di me, ma anche il viaggiatore.

A qualche luogo sei particolarmente legato? Mi piacciono le piccole cose: il Planetario, il Museo di Scienze Naturali, Parco Sempione e il Castello Sforzesco. Amo quelle serate in cui il vento porta via lo smog e la luce è così straordinaria che sembra di essere a New York. A un giovane fotografo cosa consiglieresti? Gli direi di puntare su ciò che lo rende più felice e di preservare il suo punto di vista. Ciò che sei si rispecchia sempre nelle foto che fai.

Nella pagina accanto, Andrea Frazzetta ritratto da Marco Garofalo

Sopra. Foto realizzate da Andrea Frazzetta durante il Fuorisalone di Milano 39

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Pedalando sulla buona strada La ciclabilità urbana sta cambiando e con essa i ciclisti milanesi. Sempre più numerosi ed eterogenei, oggi rappresentano l’8% del totale, ma il Comune di Milano si prefigge l’obiettivo di portarli al 20% entro il 2035

di Giulia Lenzi

Biker in acrobazia sulla Darsena di Milano. Foto di Marco Ottaviano/Pexels

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“Oggi la comunità dei ciclisti milanesi cresce costantemente anche perché sempre più varia, includendo non solo riders ma persino lo stesso sindaco”

Bici da città, pieghevoli, elettriche o con il seggiolino per i bambini. Ogni giorno circa 100 mila milanesi si spostano così, attraversando la città su due ruote. C’è ancora tanta strada da fare perché Milano diventi una città “bike friendly” ma i numeri sono incoraggianti, come quelli della pista ciclabile di Corso Buenos Aires: presto ribattezzata “ciclabile della discordia” per la sua capacità di dividere i pareri di automobilisti, residenti, commercianti e degli stessi bikers (che non la troverebbero abbastanza sicura) rivela che in realtà i milanesi hanno una gran voglia di usare la bicicletta. Da quando è stata completata, nel 2020, i passaggi in entrata e uscita dal centro sono più che raddoppiati, con una media giornaliera di 6.792 bici con punte che sfiorano le 10.000, e che non scendono sotto le 2000 anche nei giorni di pioggia (Fonte: Fiab Milano Ciclobby). «Stiamo studiando il piano della mobilità e il piano urbano dei parcheggi» ha annunciato l’Assessore alla Mobilità del Comune di Milano, Arianna Censi. «Entro agosto rimuoveremo quelli in corso Buenos Aires». Oggi la comunità dei ciclisti milanesi cresce costantemente anche perché sempre più varia, includendo non solo riders ma anche giornalisti, avvocati, insegnanti, studenti, artigiani, persino lo stesso sindaco. E visto che Milano è la città d’elezione di media e influencer, c’è chi si batte per la ciclabilità urbana anche sui social: Ilaria Fiorillo racconta ogni giorno la Milano su due ruote attraverso la pagina Instagram @milano_in_bicicletta dove trovare itinerari, iniziative, racconti di viaggio e informazioni utili. Il tema ricorrente è quello della sicurezza: «Ben vengano nuove ciclabili e bike lane (ciclabili senza cordolo divisorio, NdR) ma dobbiamo puntare a rendere più sicure le strade della città, abbassare i limiti di velocità ampliando la Zona 30 e pedonalizzare le strade davanti alle scuole. Dovremmo imitare le grandi città europee dove questo modello è già stato introdotto e funziona» spiega Fiorillo. Complice anche la pandemia, Milano sta cambiando volto e trasformare la città più frenetica d’Italia in un esempio virtuoso sembra finalmente possibile. Lo scorso anno la Città metropolitana di Milano ha avviato la redazione del BICIPLAN (Piano urbano della mobilità ciclistica) dando vita a Cambio, un maxi progetto da oltre 400 milioni di euro che prevede l’ampliamento della rete ciclabile raggiungendo i 750 km di infrastrutture (oggi Milano ne conta quasi 300).

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CM per Tudor

STILI

Un tuffo nel passato Tudor arricchisce la linea Black Bay con un nuovo modello che incarna, in chiave moderna, la più pura espressione del suo primo orologio subacqueo e rende omaggio allo storico modello con una cassa di 37 millimetri di diametro e un calibro di manifattura Tra le novità più interessanti presentate in occasione del recente Watches & Wonders di Ginevra c’è il nuovo Tudor Black Bay 54, riedizione di un modello iconico disponibile nella versione con cinturino in caucciù oppure con bracciale in acciaio. Il marchio sceglie così di offrire un esemplare più fedele che mai al suo primissimo orologio subacqueo, la referenza 7922. La cassa di 37 millimetri riprende le proporzioni classiche di un tempo, ma racchiude nel calibro di manifattura MT5400 tutto il knowhow moderno di Tudor e vanta un’impermeabilità fino a 200 metri. Come nella referenza 7922, la lunetta unidirezionale non presenta una scala dei minuti, come per rievocare i primi Anni ’50, quando le immersioni subacquee erano agli albori e Tudor creò un orologio per i pochi coraggiosi che osavano cimentarsi in questo nascente sport. I nuovi dettagli estetici, tuttavia, non si limitano alle dimensioni della cassa e alla lunetta. La lancetta dei secondi di forma “Lollipop” evoca quella del modello originale. L’evoluzione è visibile anche dal punto di vista ergonomico, con una corona e una lunetta ridisegnate ed entrambe caratterizzate dalle proporzioni del modello storico. Presenti anche elementi assolutamente contemporanei, come il quadrante con finitura satinata soleil e la chiusura “T-fit” che si adatta alla perfezione al polso. www.tudorwatch.com 42

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QUESTIONE DI PERSONALITÀ. Lo stile

al maschile è stato per decenni teorizzato, regolamentato e raccontato attraverso tutta una serie di generalizzazioni astratte: l’eleganza, la classe e lo stile appunto, in contrapposizione alla moda o, peggio, alle mode. L’autoreferenziale dibattito, più o meno appassionante, torna ciclicamente a occupare le pagine di pubblicazioni specializzate, anche se con sempre meno convinzione. Uno dei valori più importanti di questi nostri tempi confusi è, del resto, quello della libertà individuale. Per quanto riguarda l’estetica, questo si traduce nel fatto che non esiste “lo” stile, ma tanti stili, quante sono le personalità di ognuno di noi a cura di giuliano deidda

foto LUDOVICA ARCERO

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RICCARDO CARDANI RIDER SNOWBOARD CROSS

“Lo snowboard è stato la mia prima passione in fatto di sport estremi. Il resto è arrivato dopo, anche la moto. Dopo l’incidente, a causa del quale ho perso l’uso del braccio destro, ci sono voluti sei anni perché salissi di nuovo in sella. Avevo 17 anni quando è successo e riprendermi la vita è stato difficile. La musica mi ha aiutato molto in quei momenti, suono batteria, piano e chitarra. È stato però il nuoto a salvarmi, perché è stato l’unico sport a permettermi di allenarmi senza dolore. Sono così diventato un atleta professionista e, a quel punto, sono tornato al primo amore, guadagnandomi un posto nella nazionale di snowboard”.

Giacca da smoking doppio petto in cashmere e lino con inserti in raso e camicia guru in popeline di cotone con frontale plissettato, tutto KITON

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Link & Co. Club Milano corso Venezia 6

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BAR MANAGER DRY MILANO

EDRIS AL MALAT

“Il connubio cocktail e pizze, che ha reso il Dry riconoscibile, è frutto di uno studio continuo legato alla stagionalità dei prodotti. La collaborazione tra il bar e la cucina ha permesso di rendere unici i sapori che proponiamo e, contemporaneamente, di eliminare gli sprechi, utilizzando come ingredienti dei cocktail molti degli scarti della cucina. Questa nostra identità continua a portare nuove collaborazioni, ultima in ordine di tempo quella con liquore Strega, per cui ho realizzato il cocktail Strata, che prende nome dei bicchieri della prima Strega Design Collection, disegnati da Lucia Massari, e presentati da Dry durante la Design Week”.

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Dry Milano via Solferino 33

Giubbino in cotone PT TORINO, camicia bowling in lana HEVÒ, cinquetasche in denim TELA GENOVA, sneakers in pelle vegetale e suede, con lacci in PET riciclato e fondo ultra leggero in TPU riciclato VOILE BLANCHE

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ANDREA SARLI Giacca camicia e pantaloni in twill di cotone customizzati GRASSI 10000, giubbino reversibile in taffetà di recupero con imbottitura in poliestere riciclato COTOPAXI

FONDATORE CLINICA BOTANICA

“A 18 anni non volevo studiare e sono andato a lavorare come ragazzo alla pari. Facevo il giardiniere. Qualche anno dopo, ho fondato in Italia la mia prima startup, un’attività di importazione e distribuzione di un agrume australiano. In seguito mi sono appassionato alla cucina e mi sono unito al catering FoodFellas, che ho abbandonato nel 2020 per rimettermi a fare il giardiniere. Mi sono chiesto quanto fosse sostenibile la filiera del giardinaggio, così ho avuto l’idea di Clinica Botanica, per cambiare un settore finalizzato solo al profitto. È necessario migliorare questa filiera, eliminare gli sprechi e cercare di fare le cose con etica”. location

Clinica Botanica c/o Dopo? via Carlo Boncompagni 51/10

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LEONARDO TALARICO DESIGNER E CREATIVE DIRECTOR

“Perseguo un pensiero di purezza e linearità delle forme, convinto che dalle piccole intuizioni possano nascere grandi progetti. Creo oggetti senza tempo che non seguono le mode, ma hanno tratti estremamente personali. Con i miei progetti racconto e mi racconto, per me un designer è un narratore. Tra le mie narrazioni progettuali, in occasione della Milano Design Week 2023, vanno in scena novità per Cappellini, Trussardi Casa, Dieffebi, oltre alla mia presenza all’interno di Superstudio Più nella mostra Stars of Today, dove i miei prodotti vestono total black, al fine di valorizzare al massimo la forma”.

Giacca monopetto due bottoni e pantaloni flat front in cotone, tutto N°21, T-shirt in jersey di cotone HEVÒ, sneakers in pelle con suola in gomma SANTONI, vaso Stem design Leonardo Talarico, CAPPELLINI

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RAMI LAZKANI V-neck in maglia di cotone FILIPPO DE LAURENTIS, pantaloni flat front in twill di cotone BERWICH Opera. Beirut X3.5, Courtesy dell’artista

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Made in Milano via Benvenuto Cellini 21 50

ARTISTA VISIVO

“Mi sono trasferito a Milano da pochi mesi, per portare avanti il mio percorso artistico, dopo esser passato da Atene, Barcellona e Varsavia. Il mio lavoro è incentrato su un ricordo distorto del Libano, il mio paese, soprattutto delle due principali città, Tripoli, la natura, e Beirut, la cultura. Rappresentare la percezione comune del Libano come un luogo caotico, ma ancora navigabile, in cui vivere, è un mio obiettivo. La mia tecnica enfatizza il caos. Si può identificare il carattere delle città attraverso lo spessore delle linee, la densità degli edifici e la stratificazione di infiniti fili elettrici di queste composizioni”.

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MARQUIS

DJ E PRODUCER

“Benvenuti nel mio studio. Dietro di me trovate il mio Farfisa Soundmaker del 1979 e lo sgabello sul quale sono seduto è quello del Crumar, entrambi synth italiani che hanno fatto la storia con il loro suono. Il primo sono andato a prenderlo a Bologna e il secondo l’ho trovato incredibilmente nel mercatino di fianco a casa mia. In sala c’è un giradischi che suona The Jazz Workshop di Mezare Israel Yekabtzenu, disco che amo ascoltare quando cucino con gli ingredienti che ho comprato al mercato. La mia musica, come la mia vita, si riempie di profumi, racconti e colori che amo descrivere attraverso i miei brani, i miei live e i miei dj set”.

Polo in maglia di cotone PIACENZA, pantaloni flat front in velluto di cotone con dettagli in raso PAUL SMITH, ankle boots in pelle con suola in cuoio PREMIATA

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FOREVER BOWIE Grazie a una consistente donazione, il Victoria and Albert Museum di Londra si è assicurato il prezioso archivio dell’artista e potrà presto renderlo fruibile al grande pubblico. Si tratta di un’eredità dal valore culturale inestimabile

di GIULIANO DEIDDA

Quando il 10 gennaio 2016 arriva la notizia della morte di David Bowie, a due giorni dalla pubblicazione dell’ultimo lavoro discografico dell’artista, Blackstar, è chiaro a tutti che il Duca Bianco, che ha sempre tenuto nascosta la propria malattia, ha voluto dare un senso artistico anche alla propria fine. L’album è da quel momento interpretato come una sorta di testamento, l’ultimo regalo da parte di un personaggio che ha dato tantissimo alla cultura, all’arte, alla musica e alla moda dagli anni Sessanta al momento della sua scomparsa. «David Bowie è stato uno dei più grandi musicisti e performer di tutti i tempi» ha affermato di recente Tristram Hunt, direttore del V&A Museum di Londra, che nel 2013 è stato teatro di David Bowie Is…, la prima mostra che ha potuto attingere al prezioso archivio della star, successivamente andata in tour in tutto il mondo, passando anche per l’Italia, al Mambo di Bologna, nel 2016. Proprio il V&A ha annunciato a fine febbraio che si sta assicurando l’archivio completo dell’artista. Si tratta di una notizia eccezionale, dato che si parla di più di 80.000 pezzi che coprono sei decadi. Questo vuol dire che dal 2025 il pubblico potrà avere accesso ai segreti dei processi creativi di una delle figure più pionieristiche e influenti nella storia della musica, registrata e live, delle arti visive, della moda e non solo. Fan, studenti e ricercatori potranno goderne grazie alla creazione del David Bowie Centre for the Study of Performing Arts, all’interno del V&A East Storehouse, nel Queen Elizabeth Olympic Park di Stratford. Oltre alla creazione del nuovo centro, questo regalo sarà di supporto per la conservazione, la ricerca e lo stu52

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dio dell’archivio. Tutto ciò è stato possibile grazie al David Bowie Estate e alla generosa donazione di 10.000.000 di sterline da parte della Blavatnik Family Foundation e del Warner Music Group. «Il V&A è entusiasta di poter diventare il custode del suo incredibile archivio e di poterlo rendere fruibile al pubblico. Le radicali innovazioni che Bowie ha apportato alla musica, al teatro, al cinema, alla moda e allo stile, da Berlino a Tokyo, passando per Londra, continuano a influenzare il design e la cultura visiva e a ispirare creativi di tutte le discipline, da Janelle Monáe a Lady Gaga, passando per Tilda Swinton e Raf Simons» ha continuato Dr. Tristram Hunt. Proprio Tilda Swinton, amica personale e collaboratrice dell’artista, ha commentato in modo partecipato la notizia dell’acquisizione: «Nel 2013 la mostra del V&A David Bowie Is… ha dato una prova inequivocabile che Bowie è un esempio spettacolare di artista, non solo per il suo lavoro unico e fenomenale, ma per l’influenza e l’ispirazione che

vanno ben oltre il lavoro stesso. Dieci anni dopo, la natura rigenerativa del suo spirito continua a crescere sempre di più in termini di risonanza, popolarità e portata culturale per le nuove generazioni. Acquistando il suo archivio per la posterità, il V&A sarà in grado di rendere fruibile la sua storia, non solo agli artisti di tutti i campi, ma a ognuno di noi, per il prossimo futuro. Questa è veramente una grande notizia, che restituisce gratitudine a tutti coloro che l’hanno resa possibile». L’archivio abbraccia tutta la carriera di Bowie e comprende testi di canzoni scritti a mano, lettere, spartiti, costumi originali, moda, foto, film, video musicali, set design, strumenti appartenuti all’artista, copertine di dischi e premi. Include anche scritti più intimi, processi mentali e progetti non realizzati, la maggior parte dei quali non sono mai stati visti dal pubblico. Vanno segnalati per esempio i costumi di scena, come l’outfit rivoluzionario di Ziggy Stardust, disegnato da Freddie Burretti (1972), le creazioni flamboyant di Kansai Yama-

“Si tratta di una notizia eccezionale, dato che si parla di più di 80.000 pezzi che abbracciano sei decadi”

Il V&A acquisterà il David Bowie Archive e creerà il David Bowie Centre for the Study of Performing Arts nel V&A Storehouse, che aprirà nel Queen Elizabeth Olympic Park di Stratford nel 2025. L’acquisizione e la creazione del centro sono stati resi possibili grazie al David Bowie Estate e a una generosa donazione di 10.000.000 di sterline della Blavatnik Family Foundation e del Warner Music Group.

Tuta a righe per l’Aladdin Sane tour, 1973, disegnata da Kansai Yamamoto. (Foto di Masayoshi Sukita. © Sukita e The David Bowie Archive). Nella pagina accanto. Autoritratto nella posa utilizzata per la copertina dell’album Heroes, 1978, di David Bowie. (© The David Bowie Archive)

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Il V&A acquisterà il David Bowie Archive e creerà il David Bowie Centre for the Study of Performing Arts nel V&A Storehouse, che aprirà nel Queen Elizabeth Olympic Park di Stratford nel 2025. L’acquisizione e la creazione del centro sono stati resi possibili grazie al David Bowie Estate e a una generosa donazione di 10.000.000 di sterline

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della Blavatnik Family Foundation e del Warner Music Group. Sopra. David Bowie che si esibisce come The Thin White Duke nel tour Station to Station, 1976. (Foto di John Robert Rowlands. © John Robert Rowlands e The David Bowie Archive). Sotto. Testo ritagliato di Blackout da Heroes, 1977 di David Bowie (© The David Bowie Archive)

moto per il tour di Aladdin Sane (1973) e il cappotto decorato dalla Union Jack disegnato dallo stesso Bowie e da Alexander McQueen per la copertina dell’album Earthling (1997). L’archivio include inoltre i manoscritti dei testi di brani come Fame (1975), Heroes (1977) e Ashes To Ashes (1980), oltre a esempi del metodo di scrittura cut-up, insegnato a Bowie dallo scrittore William Burroughs. Non manca anche una serie di taccuini intimi relativi a ogni epoca della vita e della carriera dell’artista. Sono presenti un collage di fotogrammi del film L’uomo che cadde sulla terra (titolo originale The Man Who Fell To Earth, 1975-76), diretto da Nicolas Roeg, e più di 70.000 tra fotografie, stampe, negativi, lucidi di grande formato, diapositive e provini a contatto firmati dai fotografi più importanti del XX secolo, da Terry O’Neill a Brian Duffy, passando per Helmut Newton. Per quanto riguarda invece strumenti, amp e altri equipaggiamenti, vanno segnalati il sintetizzatore EMS di Brian Eno, utilizzato negli album Low (1977) e Heroes, e uno stilofono, regalo di Marc Bolan alla fine degli anni Sessanta, usato nella registrazione di Space Oddity. Un portavoce del David Bowie Estate ha ulteriormente evidenziato l’importanza di questa operazione: «Il fatto che il lavoro di una vita di David diventi parte delle collezioni nazionali del Regno Unito gli assicura il posto che gli spetta di diritto tra molte altre icone culturali e geni artistici. Il David Bowie Centre for the Study of Performing Arts, insieme alle possibilità di accesso al dietro le quinte che il V&A East offre, farà in modo che il lavoro di David venga condiviso con il pubblico in modi che non sono stati finora possibili. Per questo siamo così felici di lavorare a stretto contatto con il V&A e continuare a commemorare la duratura influenza culturale di David».

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CONTEMPORANEITÀ D’ARCHIVIO. Simone Landi, contitolare dell’omonima

azienda specializzata nella produzione di capispalla da settantacinque anni, racconta quali sono le basi sulle quali fonda il successo de L’Impermeabile, marchio di cui è direttore creativo di Giuliano Deidda

Quali sono le differenze tra il trench di scuola italiana e quello British? Gli inglesi hanno inventato il trench e globalmente sono riconosciuti come i detentori del brevetto, grazie a una sapiente politica commerciale. In Italia lo produciamo da solo un centinaio di anni e noi come azienda da settantacinque. All’inizio si realizzava soltanto seguendo la tradizione inglese, poi abbiamo iniziato a sperimentare, rendendolo più corto e più avvitato e aggiungendo particolari meno militari. Credo che la sua evoluzione negli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta abbia portato il trench a essere il capospalla iconico che è oggi. L’Impermeabile è sinonimo di heritage e capi immortali. Come si è evoluto il brand negli anni? Come ironicamente le dicevo prima, da settantacinque anni la Landi si preoccupa di rendere perfetti i propri prodotti. Rilanciando il nostro storico marchio L’Impermeabile abbiamo voluto riproporre il nostro archivio, cercando di rimanere fedeli alla nostra tradizione. L’evoluzione stessa è dovuta alla grandissima quantità di capi archivio e, di volta in volta, alle geniali intuizioni del nostro 56

team di creativi che li reinterpretano. Nelle ultime stagioni sono stati introdotti nuovi capi spalla in diversi tessuti. Quali sono i candidati a essere i futuri modelli distintivi del brand? Accanto ai nostri classici e agli immortali reversibili, stiamo riscontrando molto interesse sulle vestibilità più ampie nel pubblico giovane. Le ultime collezioni sono arricchite dalla blue label, disegnata da Romano Ridolfi, e quella per il prossimo autunno inverno comprende anche alcuni pantaloni. Si tratta dell’inizio di un nuovo concept? Come è nata questa collaborazione? Romano è prima di tutto un amico, il suo occhio nel riconoscere quello che l’archivio può dare è inimitabile e ciò dimostra la sua sterminata produzione passata. La blue label rappresenta la parte più spinta della nostra collezione, quella dove sperimentiamo tessuti ed effetti più disinvolti. Da questa stagione abbiamo deciso di occuparci anche del marchio personale di Romano: RR, che rappresenta un ingresso nel total look in continuità con il nostro impermeabile.

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Simone Landi, titolare dell’omonima azienda e direttore creativo de L’Impermeabile

La sostenibilità è un tema sempre più importante per il made in Italy. Come si pone la Landi sulla questione? Siamo stati trai primi a rendere attiva l’idea della sostenibilità quando ancora nessuno ne parlava. Come azienda, già nel 2006 abbiamo iniziato a usare tessuti a impatto zero per le nostre produzioni e ne 2018 siamo stati i primi ad aver proposto dei capi realizzati con materiali riciclati al 95% e riciclabili al 100%. D’altro canto, se vogliamo rivolgerci ai consumatori giovani, uno dei principali interessi deve essere salvaguardare l’ambiente che lasceremo loro in eredità. Chi è il pubblico de L’Impermeabile? Come cambia da mercato a mercato? Direi che non cambia. Riscontriamo che, dopo tanti anni di globalizzazione, il nostro consumatore condivide i nostri ideali estetici e il concetto del marchio, a prescindere che si tratti di un asiatico o di un americano, di un europeo o di un mediorientale. Il nostro provocatorio motto, “La moda è quello che non va di moda”, trova riscontro in tutti coloro che assecondano la propria personalità, anteponendola a conformismi legati al gruppo di

L’allestimento de L’Impermeabile a Pitti Immagine Uomo 103

appartenenza sociale. In quali Paesi il marchio è più forte? Quali quelli a cui puntate? Siamo presenti globalmente dall’America all’Asia. Ovviamente l’Europa e l’Italia in particolare sono stati i primi mercati. Il nostro obbiettivo è quello di attrarre consumatori giovani e sempre più attenti alla propria personalità, così da consolidare il mercato fidelizzando nel tempo. Parlando di Milano, in quali negozi troviamo L’Impermeabile? Nei punti vendita più rilevanti per il nostro target, che coincidono con gli indirizzi simbolici dello shopping milanese, dalla Rinascente a Eral 55, passando per Biffi. All’orizzonte c’è un monomarca L’Impermeabile o Landi? Ci stiamo lavorando, ma non voglio e non posso dare anticipazioni in questo momento. Quali sono i prossimi obiettivi? In azienda siamo abituati a darci più obiettivi contemporaneamente, ma uno su tutti è quello di riuscire a conciliare l’aumento di produzione con una sempre maggiore qualità del prodotto. 57

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PREPPY ADDRESS L’heritage statunitense di Sebago ha inaugurato lo scorso 5 aprile la propria vetrina nel centro di Milano. Il brand ha scelto uno spazio di 78 metri quadrati al numero 2 di piazza San Fedele, uno dei luoghi più rappresentativi della città, poiché ospita il monumento a Alessandro Manzoni. Il flagship store si sviluppa su un unico piano e si ispira a un concetto modulare che si adatta in modo flessibile, per ospitare le collezioni apparel e footwear, con specifici corner dedicati alle diverse linee, Citysides, Campsides, Docksides e Outsides, la più recente, che esprime una sperimentazione fuori dagli schemi. «Sebago è da sempre sinonimo di eleganza nel casualwear. Siamo contenti che il marchio sbarchi a Milano. Siamo sicuri che per i tanti amanti del brand questo negozio diventerà una destinazione importante, un luogo dove potersi immergere nelle sue origini e scoprire tutto il lavoro che i nostri team fanno» ha annunciato con orgoglio Lorenzo Boglione, Vice Presidente di BasicNet, il gruppo proprietario del marchio. Per due settimane la promozione dello store è stata affidata a uno sciuscià brandizzato, in giro nelle strade del centro.

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NUOVI CONTRASTI Si propone come una rivoluzione cromatica dell’eyewear, quella portata avanti da Lightbird con le nuove montature maschili della collezione Light Social. Il designer Corrado Rosson ha infatti studiato delle combinazioni di colore inedite, accostando trasparenze a tonalità calde e fredde in modo personale, creando così contrasti inusuali per delle montature da vista, che ne esaltano le linee contemporanee. Inoltre tutti gli occhiali hanno un QR code sul terminale dell’asta, che permette di accedere un sistema che attiva la garanzia e connette l’azienda, l’ottico e il cliente finale.

SOSTENIBILITÀ METROPOLITANA Il piumino leggero è una delle invenzioni per cui sarà ricordato questo secolo, essenziale in tutte le stagioni e perfetta sintesi di stile e comodità. Per Canadian questo capo raggiunge il suo apice quando è anche sostenibile. Il brand ne propone infatti una versione eco, dal design urbano, con cappuccio integrato e chiusura a zip, e realizzato con un tessuto ottenuto da bottiglie di plastica riciclate. È declinato in tonalità accese e forti, in modo da essere indossato anche su un abito formale in modo contemporaneo, per recarsi in ufficio in monopattino o in motorino, possibilmente elettrico.

UK MEETS USA Cosa succede quando uno storico marchio britannico di calzature incontra un guru dello stile newyorchese, punto di riferimento globale del luxury streetwear? Può nascere per esempio una capsule come The Originals 8th St Collection by Ronnie Fieg di Clarks, che torna con nuovi stili per questa stagione. La collezione reinterpreta alcuni modelli iconici con un mix di colori nuovi. Fieg, il cui percorso nel footwear è iniziato a metà degli anni Novanta con lo store David Z sulla 8th St di Manhattan, collabora con Clarks da oltre dieci anni, con il suo tocco riconoscibile. 59

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IL CLASSICO CHE NON TRADISCE La montatura Otello è un evergreen di Epos, come molti dei modelli che compongono la vastissima collezione I Classici, dall’eleganza senza tempo. Pochi marchi indipendenti nel settore dell’eyewear sono stati capaci di valorizzare e mantenere i design vintage più di successo come il brand milanese. Questo rende il marchio guidato da Luca Lavezzari una realtà solidissima che non tradisce mai. Gli occhiali Otello sono caratterizzati da linee bold mai eccessive. Il frontale è infatti di 8 millimetri e le aste, dai 6 millimetri in prossimità delle tempie, diventano più sottili nella parte terminale. Realizzati in acetato con fregi disegnati in esclusiva per Epos, gli Otello sono disponibili in tre varianti colore, marrone traslucido, nero lucido e tartarugato scuro lucido.

foto H2O

Occhiali da vista Otello TK con montatura in acetato, disponibili con clip-on e con lenti colorate, sfumate e specchiate, EPOS

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Da molte stagioni la divisa urbana maschile si è fatta meno rigida, sconfiggendo le convenzioni più radicate. Anche nelle occasioni formali sono ormai consentite mise rilassate, che lasciano ampia libertà di seguire il proprio gusto personale. Si dà finalmente spazio all’estro e alla voglia di distinguersi, abbandonando ogni rigida formalità. Il capo maschile imprescindibile in tutte le epoche resta comunque la camicia. Se per le occasioni che necessita-

Capo immancabile del guardaroba, in primavera diventa vero protagonista del look, alleggerendolo con l’eleganza di pattern colorati, perfetto complemento per un mood rilassato

Spring superstar di Monica Codegoni Bessi

no un’eleganza più rigorosa quella bianca dal fit perfetto è un must a cui non ci si può sottrarre, nella quotidianità la camicia stampata, dai colori accesi e dal fit più morbido, anche over, trova il suo pieno riconoscimento come elemento portante del look. Grazie al suo appeal scanzonato è in grado di donare carattere, per distinguersi e esprimere la propria personalità, scegliendo tra stampe floreali e pattern astratti. Lo hanno mostrato le passerelle maschili per la primavera estate 2023, da Magliano, che suggerisce di portarla sbottonata, consiglio valido anche per Federico Cina, a Etro, che la ritiene irrinunciabile sotto l’abito formale. Da sempre protagonista nei look delle star di musica e cinema, a partire dal re del rock and roll Elvis Presley nel film Blue Hawaii, fino al nostro Jovanotti nel video di L’estate addosso. Come dimenticare inoltre alcuni dei sex symbol più all’avanguardia della storia del cinema, pionieri di un’estetica maschile ancora oggi fonte d’ispirazione, da Al Pacino in Scarface a Jim Carrey in Ace Ventura, passando per Tom Selleck  in  Magnum P.I. e Johnny Depp in Paura e delirio a Las Vegas. Tornando alla primavera estate 2023, i materiali cardine di stagione – da decorare come tele di un pittore – sono l’impalpabile seta, il fresco cotone, il prezioso lino, alleato nei momenti in cui la temperatura si fa più torrida, e la viscosa, morbida e piacevole da indossare. Qualsiasi sia il tessuto scelto, il ruolo da protagonista delle camicie stampate è esaltato da scelte calibrate in fatto di styling. L’abbinamento con pezzi neutri dai colori tenui, per esempio, ne esalta i contrasti. Questa svolta pop del menswear, in atto a dire il vero da parecchio,  è ormai radicata tanto quanto la tradizione, alla quale si affianca con uno spirito molto contemporaneo.

La camicia a maniche lunghe e corta in vita si indossa con i pantaloni di ispirazione biker con zip sulle ginocchia, Joeone 62

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Camicia stampata: il capo indispensabile della bella stagione non ha paura di osare

ASPESI Blazer sfoderato monopetto tre bottoni in lino leggero tinto capo con bottoni in madreperla e tasche PAUL SMITH Camicia in viscosa con stampa astratta Hot Summer e colletto con bottoni a anello

CHRISTIAN LOUBOUTIN Zaino in pelle di vitello testurizzata, con cinghia regolabile e un pannello giallo fluo logato

Berwich Pantaloni una pince in canapa bio senza coloranti, con side adjusters e risvolti

VOILE BLANCHE Sneakers barca con tomaia in suede, lacci in pelle e suola in gomma con battistrada dentellato 63

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Splendide ventenni  di Ilaria Salzano 

Dai modelli più esclusivi e introvabili a quelli che hanno saputo introdurre innovazioni uniche nel segmento. Ecco le auto che hanno compiuto 20 anni… Da tenere sott’occhio nel mercato

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Il fatturato delle auto classiche è tornato a crescere, registrando 1.039 milioni di euro nel 2021, con un +46% rispetto al 2020. Lo afferma lo studio annuale di  Ademy, secondo cui è stato l’1,5% del venduto a generare oltre il 34% del fatturato. Supercar come è immaginabile, modelli con valore superiore al milione di dollari, ma anche vetture a oggi introvabili o auto che hanno fatto la storia del ventennio e che sanno tenere ancora viva la passione dei motori, pur uscite di produzione.  Tre le reginette, ricordiamo l’ultima hypercar uscita dai cancelli di Maranello con motore esclusivamente termico, la Enzo. Una vettura che con un V12 da 5.998 cc e 660 CV è stata prodotta solo in quattrocento esemplari. Tra questi, 20 anni fa solo una ne uscì di colore nero dalle linee di produzione: un pezzo davvero unico, acquistato dal Sultano del Brunei e lo scorso anno messo all’asta. Con un design ispirato alle auto da Gran Premio, un motore abbinato a un cambio sequenziale a sei marce in stile Formula 1, venne realizzata in fibra di carbonio e alluminio, con un piccolo spoiler attivo per essere in grado di scattare da ferma a 100 km/h in 3,6 secondi.    Tra le altre vetture che si accingono a diventare miti dell’automobilismo, la Rolls Royce  Phantom VII. Il primo esemplare è stato consegnato alle  00.01 del 1° gennaio 2003 nello stabilimento di Goodwood, a

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oggi l’unico posto al mondo che produce a mano automobili, nonché quartier generale dell’azienda. La lussuosissima vettura vanta un motore V a 12 cilindri, per scattare da 0 a 100 km/h in 5.9 secondi e una velocità massima di 240 km/h: non male per un peso ordine di marcia di 2485 kg. Meno bene i consumi (15.9 l/100 km) che ovviamente poco interessano agli appassionati di questo target di automobili, ricercatori del modello proprio per mettersi alla guida, lasciando a fianco lo chauffeur.   Tra le ultime ventenni, da non dimenticare Porsche Cayenne. Ancora oggi, con altre due generazioni davanti, la prima versione è un’istituzione, avendo rappresentato una delle sfide più vincenti per il brand. Mai prima di allora Porsche, infatti, si era cimentata nella produzione di un modello a ruote alte: i designer di Stoccarda, dopo uno studio approfondito sull’aerodinamica, trasferirono lo stile tipico del marchio sui volumi massicci del suv. Lo fecero così bene da dare il via nel segmento anche a tanti competitor. Per il gran debutto, sotto il cofano, un poderoso V8 da 4,5 litri – il motore più grande dai tempi della 928 – con 340 CV e 450 CV, fornito di cambio automatico a sei rapporti e sospensioni pneumatiche. Obiettivo: un’elevata capacità di disimpegno anche nel fuoristrada di difficoltà medio-alta, dotata di riduttore e di blocchi ai differenziali centrale e posteriore, nonché di un'elettronica messa a punto per tutti gli utilizzi: un mix di gran avanguardia.   

Nella pagina accanto. “Se costruissimo un fuoristrada secondo le nostre specifiche e con la scritta Porsche sul davanti, si venderebbe senz’altro”. Ferry Porsche aveva ragione. Dal 2002, la Porsche Cayenne è uno dei principali pilastri del successo mondiale della casa automobilistica

Sopra. La Enzo Ferrari: l’unico esemplare che uscì dalle linee di produzione di colore nero Sotto. Il primo modello fabbricato della Rolls Royce Phantom VII

Stessa cosa per Audi TT. Al debutto nessuno credeva nell’enorme successo che avrebbe potuto riscuotere il progetto nel 1995, visto come troppo “futuristico”: debuttarono tra le novità il cambio DSG fino a quel momento adoperato solo nelle corse, il telaio in alluminio a zone differenziali, per bilanciare al meglio possibile i pesi e il motore 3.2L VR6 aspirato. L’auto – fortemente voluta dall’allora presidente del consiglio di amministrazione di Volkswagen Ferdinand Piëch – vide la luce nel ’98: dal design alle performance, diventò un riferimento per una cerchia di guidatori in cerca di tecnologia e prestazioni. Il modello ora si ferma dopo 25 anni di onorata carriera. A ricordo della sua storia, il lancio della TT RS Coupé Iconic Edition,  con il 2.5 litri a 5 cilindri Audi da 400 CV sotto il cofano. Disponibili solo un numero limitatissimo di esemplari, cinque dei quali destinati all’Italia. Aperta ufficialmente anche qui la corsa alle ultime splendide ventenni in circolazione. 65

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Spazi abitativi dalla metratura sempre più contenuta? Un assillo dei nostri tempi che impone una progettualità strategica e la scelta di arredi salva spazio, meglio se multifunzionali

Su misura e con un tocco personale di Marzia Nicolini

Esempio di soggiorno small size arredato al fine di aumentare il senso dello spazio. Foto di Sidekix Media su Unsplash

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Appartamenti di 20, 30, 40 metri quadri. Dati i folli prezzi del settore immobiliare, specie nelle grandi città dove le case vengono vendute e affittate a cifre proibitive, abitare in spazi domestici piccoli o molto piccoli è quanto di più comune. Di necessità virtù. In questi casi, infatti, ci si trova davanti a una sfida, che può diventare altamente stimolante se affrontata con il giusto spirito. Organizzare un ambiente di vita extra small equivale a sfruttare ogni singolo centimetro con creatività e strategia. Di questa tendenza parla il nuovo libro Small Houses (Taschen). Il volume traccia un’affascinante mappa di soluzioni abitative formato mini, mettendo a disposizione utili ispirazioni di interior design per chi vive (per scelta o per bisogno) in pochi metri quadri. Quel che conta è non farsi abbattere dalla superficie contenuta del proprio appartamento, ma farlo diventare una casa-bijoux. Un primo consiglio è affidarsi ad arredi capaci di assolvere a due funzioni in una. Il classico esempio? La panca contenitore in cucina o all’ingresso, il divano o la poltrona letto, la scrivania ribaltabile che si trasforma in elemento decorativo da chiusa. Salvare centimetri, o comunque sfruttarli al meglio, è di assoluta importanza quando lo spazio è poco. Allo stesso modo, può essere molto utile creare una suddivisione razionale e netta delle funzioni domestiche. Ad esempio, in un bilocale la zona notte e quella giorno possono essere contraddistinte da colori diversi, per creare una precisa connotazione: se nel living vincono il giallo, il rosso e l’arancio, la zona notte trova la sua identità rilassante puntando su nuance blu, azzurre e verdone. Nella stanza da bagno, lunga vita ai mobiletti sospesi, dai pensili a quelli richiudibili con battenti. Se non disdegnate il concetto di open space, considerate di buttare giù un muro divisorio, al preciso scopo di guadagnare ariosità e luce naturale. Validissima anche l’opzione soppalco, previa valutazione di una generosa altezza dei soffitti. Rialzare la zona letto o quella studio equivale ancora una volta ad aumentare il senso di spazio. Infine un promemoria forse banale, ma di certa importanza: la cura dei dettagli in una casa mini è tutto.

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I mobili su misura restano la soluzione più consigliata quando la casa è extra small

Correlation Bench Small Di We Do Wood è una pratica panca contenitore in legno di rovere disegnata da Sebastian Jørgensen

Eiffel Shelf Di Hay è una libreria a giorno autoportante che porta la firma dei designer Depping&Jørgensen

Drop Leaf HM6 Tavolo pieghevole in legno massello di noce o rovere di &Tradition con cerniere e dettagli in ottone

May Di Karl Andersson, la cassettiera in MDF sintetizza l’essenza del design scandinavo

Felt Un sistema modulare da parete di Norm Architects che può essere usato anche a scopo decorativo

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Liberiamo lo streaming di Paolo Crespi

Non tutta la musica liquida finisce in cuffia o nella soundbar del televisore. Quando le serate si allungano, gli speaker per l’outdoor sono insostituibili nell’animare feste e condividere emozioni

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Andando verso l’estate aumentano esponenzialmente le occasioni in cui ascoltare la nostra musica preferita all’aperto, approfittando delle ore di luce in più e dei più frequenti weekend di bel tempo. A fare da “pusher”, nell’era della musica liquida, priva di supporti fisici, ci sono naturalmente i poderosi servizi di streaming che ci seducono con il classico mese di prova e le offerte flat rivolte ai singoli e ai gruppi familiari. Ci costano un bel po’, ma in compenso ci permettono di ascoltare tutto lo scibile musicale al netto delle fastidiose interruzioni pubblicitarie che penalizzano l’utilizzo free consentito ancora da qualche provider. Per ascoltare al meglio e condividere il flusso delle nostre playlist (ma anche stazioni radio e podcast) durante un party o una scampagnata, oltre allo smartphone e a un abbonamento su misura a Spotify, Apple Music, Deezer, Tidal, Amazon Music o Qobuz, serve anche un buon sistema audio portatile, da esterno. Tutti dotati di connessione wireless Bluetooth di ultima generazione, gli “outdoor speaker” hanno caratteristiche comuni, come le batterie ricaricabili e un certo grado di impermeabilità (garantito dalla scelta dei materiali e da alcuni accorgimenti tecnici) e altre per cui si differenziano, come la forma, le dimensioni, il numero degli altoparlanti, la loro potenza e, talvolta, la gamma colori tra cui scegliere quello che fa per noi. Il loro impiego è quanto mai versatile: si va dalla terrazza di casa alla spiaggia, dal

A fianco il piccolo e grintoso Willen, lo speaker super portatile del marchio Marshall, noto per l’amplificazione degli strumenti elettrici 68

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pic-nic sull’erba alla passeggiata in montagna. Alcuni – pochi per fortuna – li piazzano nel cestello della bici o sul manubrio del monopattino elettrico e li accendono a tutto volume mentre sfrecciano nel traffico cittadino o sul lungomare nell’ora della siesta… Insomma, la loro maneggevolezza e l’assenza di vincoli stimolano gli usi più creativi e libertari. La buona musica fa il resto. Attenzione solo alle telefonate: capita a tutti, prima o poi, che la voce del chiamante, se lo Smartphone non ha un sistema di disconnessione automatica, finisca nella cassa trasformando inavvertitamente una conversazione privata in una sorta di co-op.

Qui sopra un’immagine ambientata di Roam, il nuovo smart speaker impermeabile di Sonos, disponibile in cinque

colorazioni diverse. Mentre in casa si aggancia al Wi-Fi, all’aperto utilizza il Bluetooth per riprodurre musica, podcast o audiolibri

DA ASPORTO. È la musica liquida che puoi portare in giro ovunque e ascoltare in scioltezza, con gli amici, grazie alla stabilità delle connessioni Bluetooth con lo Smartphone, alla copertura ecumenica dei migliori servizi di streaming e all’ultima generazione di speaker portatili destinati all’outdoor: potenti, versatili, dotati di buona qualità sonora e a prova di temporale estivo.

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In Perù la bellezza naturale dei luoghi e la straordinaria cultura di civiltà millenarie si uniscono. In un percorso che si snoda tra la natura maestosa dell’Amazzonia e la culla della civiltà Inca, disegnato per poter apprezzarne le escursioni imperdibili e le suggestioni leggendarie

testo Savino Pellerano foto Kel 12

L’impero del sole

SAVINO PELLERANO, da oltre 25 anni lavora come organizzatore di viaggi e sperimenta personalmente i percorsi che propone. Ha accompagnato viaggiatori in America Latina, Africa, Asia, Oceania ed ha aperto per il mercato italiano l’esplorazione via terra tra Irian Jaya (West Papua) e Papua Niugini con percorsi da Lima a Rio de Janeiro, tra le Ande peruviane.

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Fortezza di Waqra Pukara

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Il Fiume sacro degli Inca. Le Montagne della Luna in Africa evocarono, intorno al 1860, esplorazioni estreme alla ricerca delle sorgenti del Nilo allora ritenuto il fiume più lungo sulla Terra. Ma nel nuovo mondo la vera sorgente del Rio Amazonas fu attribuita solo nel 2001, grazie alla National Geographic Society, che la collocò sul Nevado Mismi a 5.597 metri nelle Ande peruviane, sorgente che nutre il fiume Apurimac sacro agli Inca. Oggi con il riconoscimento della sorgente Apurimac, il Rio delle Amazzoni misura 6992 km ed è il fiume più lungo del mondo.

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Nella pagina accanto, donne Quechua

Sotto. Machu Picchiu vista dalla “porta della città”

Sopra. Waqra Pukara, particolare

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“La notte in tenda, a 4300 metri, regala un suggestivo scorcio sul Canyon e sulla sagoma di Waqra Pukara” Il Perù è uno scrigno di bellezza dove l’immenso patrimonio culturale dalle civiltà pre-ispaniche regala tutt’oggi sorprendenti scoperte. Hiram Bingham, “l’Indiana Jones” di Yale, esploratore e archeologo statunitense porto alla luce e diede visibilità, grazie anche al National Geographic, a una delle sette meraviglie del mondo moderno quale è Machu Picchu. Ma pochi sanno che non molto distante dal Cusco, l’imperatore Inca Huayna Capac – nipote di Pachacútec (fondatore di Machu Picchu) – volle edificare sulla base di antiche civiltà pre-incaiche il suo tempio sacro oggi chiamato Waqra Pukara. Dichiarato nel 2017 Patrimonio Nazionale della Cultura questo tempio-fortezza sito a 4300 metri si affaccia sul profondo e sacro Canyon del fiume Apurimac. Raggiungerlo è una piccola avventura. Il percorso di avvicinamento necessita di una sosta presso le comunità locali, occasione per entrare a contatto con la popolazione autoctona. Da qui il giorno dopo si prosegue a piedi per quattro ore circa lungo antichi sentieri Inca per 7 chilometri salendo di circa 900 metri. La notte a 4300 metri regala un suggestivo scorcio sul Canyon e sulla sagoma di Waqra Pukara. In lingua quechua Waqra Pukara significa “la fortezza dalle corna” ma le i locali da secoli lo chiamano Llama Pukara ovvero “la fortezza del Lama” in quanto per loro la forma evoca le orecchie di un Lama in posizione di allerta, d’altronde nel 1450 “bovini e conquistadores” non c’erano ancora. Il Sacrificio delle bimbe Inca Apocalypto, il film di Mel Gibson sui Maya, ci ha fatto capire come questa civiltà fosse dedita ai sacrifici umani poiché le stagioni dovevano portare abbondanti raccolti e

Nella pagina accanto. Ponte Inca di Q’eswachaka 74

prosperità, soprattutto alle classi ai vertici del potere politico e religioso, o placare chissà quali ire e funeste predizioni. Ma in verità nessuno nella storia è sfuggito alla logica del sacrificio, anche quello estremo, un “dono” che più era sentito e sofferto e maggiore sarebbe stato il gradimento dell’entità al quale era rivolto. Anche la piccola Juanita, figlia tredicenne appartenente a una famiglia di alto rango dell’eletto popolo Inca, intorno al 1450 intraprese un lungo percorso verso il sacrificio. Scelta tra tante per purezza e preziosità da sacerdoti intransigenti fu il tramite tra l’Inca e gli dei perché si placassero le ire dei vulcani che stavano devastando l’area intorno alla città di Arequipa, nel sud del Perù. Accompagnata da ancelle e sacerdoti a più di 6000 metri sulla cima del vulcano Ampato, con i soli sandali, alcune vesti di lana e il supporto energetico delle foglie di coca, fu sistemata in una nicchia della montagna e dopo essere stata vestita con abiti ricercati e ingioiellata venne stordita con abbondante “chicha”, una bevanda alcolica a base di mais, e anestetizzata dalle foglie di coca per poi essere colpita e uccisa. Nel 1995 grazie al suggerimento di alcuni alpinisti e allo scioglimento dei ghiacci dovuto all’eruzione di un vicino vulcano due antropologi ritrovarono questo fagotto integralmente conservato dai ghiacci e contenente la piccola sagoma di questa bambina inca. Oggi Juanità è protetta all’interno di una teca refrigerata presso il Museo Santuarios Andinos di Arequipa. Juanita fu la prima di tante bambine Inca ritrovate sulle vette di altissimi vulcani sparsi nell’immenso Tahuantinsuyo, il grande impero Inca, montagne cosi alte che rappresentavano il veicolo più vicino tra la terra e gli dei.

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“Hiram Bingham, esploratore e archeologo statunitense portò alla luce una delle sette meraviglie del mondo moderno, Machu Picchu” 75

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La magia di Nola testo e foto Stefano Ampollini

Un viaggio a New Orleans è l’occasione per immergersi nella storia e scoprire l’altra faccia degli Stati Uniti, ben lontana dalla frenesia delle grandi metropoli delle due coste

Uno scorcio di Garden District, zona residenziale di New Orleans che raccoglie alcune tra le ville storiche meglio conservate degli Stati Uniti

Nella pagina accanto. Fondata nel 1961, Preservation Hall ha lo scopo di preservare le tradizioni musicali di New Orleans

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New Orleans è una destinazione unica fin dal nome, a testimonianza delle sue origini francesi, anche se per i locali è semplicemente Nola (acronimo della città e dello stato della Louisiana). Un luogo di contrasti e di grosse sofferenze che hanno lasciato cicatrici profonde nella storia della città, il principale mercato di schiavi di tutto il Nord America a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo. Per contrasto New Orleans ha saputo dare vita a sonorità straordinarie la cui eredità non manca di sorprendere i tanti visitatori che si imbattono nel reticolo fatto di colori e suoni del Quartiere Francese, il cuore pulsante della parte vecchia della città con la sua tradizionale architettura coloniale. Il jazz è pervasivo in ogni angolo della città, che ha persino intitolato l’aeroporto al suo figlio più illustre, Louis Amstrong, lui stesso nipote di schiavi, che nacque proprio qui nel 1909. Un concerto nella minuscola sala della Preservation Hall, vero tempio pagano della musica, è un’esperienza irripetibile. Se il Mardi Grass, il Carnevale con i suoi balli e le parate coloratissime, è l’occasione perfetta per essere inondati dall’energia avvolgente di New Orleans, qualsiasi altro momento dell’anno è perfetto per assaporarne lo spirito autentico. Imbattersi in cortei di matrimoni accompagnati da bande improvvisate in una delle vie che tagliano perpendicolari la caotica Barboun Street, non è così raro e può essere un’esperienza quasi onirica che ti catapulta in un’altra epoca. Il “viaggio”, spirituale oltre che materiale, è agevolato dal fatto che New Orleans non dimentica il suo passato e non ha nessuna intenzione di nasconderlo, anzi. Dal molo proprio di fronte al French District l’ultimo battello a vapore, con la sua caratteristica ruota posteriore, ogni sera porta i turisti a vivere l’esperienza di una crociera fluviale lungo il maestoso Mississipi. Ma anche rimanendo a passeggiare lungo il Riverwalk l’atmosfera delle luci rosa del tramonto che si riflettono sulle acque del fiume non è da meno. Qui ci si può imbattere in cartelli informativi che ricordano che proprio su queste rive sbarcarono nel 1719 l’Aurore e la Duc du Maine, le prime due navi cariche di schiavi che avrebbero aperto una rotta

fatta di sofferenza che per oltre un secolo segnò la storia degli Stati del Sud, fino alla Guerra Civile. La Gray Line, il più importante tour operator attivo da queste parti, tutti i giorni organizza visite guidate in quello che resta delle piantagioni di canna da zucchero che circondano la città. Oak Alley Plantation, oggi gestita da una Fondazione, era la più vasta ed è quella meglio conservata, con il suo famoso viale alberato circondato da due fila di querce secolari sopravvissute ai numerosi uragani. Nel 2005 Katrina, uno dei più devastanti della storia americana, rase al suolo e inondò gran parte della città, causando quasi 1400 vittime. Oggi nei bar del centro vengono serviti cocktail che portano il suo nome, quasi a esorcizzarne il ricordo, a dimostrazione che gli abitanti del luogo vivono tutta la loro esistenza accompagnati da una sorta di fatalismo e persino di ironia. Per capire fino in fondo l’essenza di New Orleans non si può prescindere dalla sua cucina creola, dai sapori forti e speziati: è d’obbligo assaggiare almeno una volta un piatto  di Jambalaya o il famoso Gumbo (una zuppa a base di pollo e gamberi) intinto di Tabasco, la salsa piccante più famosa al mondo che viene prodotta proprio in Louisiana ad Avery Island, a due ore da qui. 77

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L’insegna storica che guarda al futuro Di origini sarde, Andrea Locci gira l’Italia e il mondo lavorando in cucine d’alto profilo. È l’executive di Giannino dal 1899 a Milano e lavora a stretto contatto con Maurizio Lai, corporate chef del gruppo. Una storia di tradizione (e mondanità) che guarda avanti di Simone Zeni

Com’è iniziato il suo percorso in cucina? Tutto è cominciato un po’ per gioco, dando una mano alla mamma ai fornelli, facendo i ravioli con la nonna, i dolci con le zie o portando la legna da ardere a mio padre mentre, durante le tre ore di cottura al caminetto, si apprestava a salare il maialetto. Le tradizioni culinarie di famiglia, legate alle mie origini sarde, sono state i primi insegnamenti di questo mestiere. Ecco perché, dopo le scuole medie, ho deciso di tramutare la passione in professione. Ho iniziato subito a lavorare durante le stagioni estive, mentre frequentavo ancora la scuola. Subito dopo il diploma ho lavorato in un ristorante stellato, da allora ho iniziato a scrivermi tutte le ricette e i “trucchi del mestiere”, a capire cosa volesse dire ricercare il dettaglio, a scoprire i processi chimici dietro ogni preparazione. 78

Quando è diventato executive chef di Giannino dal 1899? Dopo varie esperienze maturate in Sardegna, a Milano e all’estero, tra ristoranti e hotel esclusivi, nel gennaio 2022 ho iniziato il percorso in Giannino dal 1899. Questa avventura è iniziata assieme a Stefano Gioffredi, il nostro direttore, e Maurizio Lai, corporate chef di Giannino dal 1899 a Milano e Londra. Tutti e tre formiamo una bella squadra e ci completiamo a vicenda. Il suo rapporto con lo chef Lai ormai è consolidato. Com’è lavorare con un professionista di tale esperienza? Fantastico, è come lavorare in famiglia. Collaboriamo oramai da tredici anni, diversi i progetti e diverse le esperienze, ma sempre affrontate fianco a fianco. Ci sentiamo tutti i giorni e ci aggiorniamo reciprocamente. Tra di noi c’è stato fin dal principio un clima sereno, un rapporto costruttivo e professionalmente sempre stimolante. Che insegnamento ha raccolto? Le parole d’ordine sono: formazione e squadra. Sono due cardini strettamente correlati e senza i quali non si può portare avanti questo lavoro. Con Lai ho visto quo-

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tidianamente quanto questi due aspetti siano fondamentali. Come si è approcciato a un locale dalla storia così importante? Entrare in un ristorante con tale storia è onere e onore. Bisogna rispettarlo. Mi ricordo ancora il primo Riso al salto servito. Da lì, tramite la formazione, il lavoro continuo di tutto lo staff e la ricerca del prodotto giusto siamo arrivati al “Giannino odierno”. Come descriverebbe l’ambiente oggi? Il Giannino di oggi non dimentica la propria storia. Ecco perché nelle sale si respira l’atmosfera di un ristorante classico, anche se attuale nel design. Questo concetto si ritrova coerentemente anche nell’offerta culinaria. Le luci soffuse creano un’ambiente rilassante, per una “guest experience” completa, capace di coinvolgere tutti i sensi. Il ristorante è frequentato, come una volta, da personaggi influenti, che ci scelgono per la nostra idea di ospitalità senza tempo. Come si compone il menu? Siamo conosciuti per la tradizione milanese, che è ancora ben presente in carta sebbene proposta in una chiave più contemporanea. L’idea di cucina che attualmente seguiamo è mediterranea, incentrata sul gusto. Un piatto che la rappresenta di più? Poiché sono sardo può apparire singolare, ma ho sempre avuto un debole per i risotti. In realtà anche la Sardegna è terra di riso: qui si produce, esattamente come lo zafferano di Sardegna DOP. Tre piatti del suo menu che un cliente deve necessariamente provare? Il Risotto alla Milanese Riserva San Massimo con salsa di midollo di vitello; la Fregola ai crostacei, miso, gamberi rossi e nasturzio; la Terrina di foie gras, crumble al caffè tostato, gel al mirto, pompelmo laccato.

Granchio rosso, mango, gazpacho verde, insalata di puntarelle. Ingredienti (per 4 persone): 1 granchio rosso, 1 foglia di alloro, 250 g di puntarelle affettate e tenute in acqua e ghiaccio. Per il gazpacho: 5 pomodori Camone verdi, 1 cetriolo, 1 costa di sedano, ½ peperone verde, 2 ravanelli pelati. Per la salsa: 75 g di mango frullato, ¼ di mango tagliato a cubetti, 100 g di maionese di soia. 40 g di succo di limone, olio evo q.b., sale Maldon q.b., pepe fresco a piacere. Preparazione: lessare il granchio per 13 minuti in acqua poco salata con la foglia d’alloro, raffreddarlo ed estrarre la polpa. In una bowl miscelare la maionese di soia con la purea e i cubetti di mango. Aggiungere la polpa di granchio, miscelare il tutto delicatamente e inserirlo in un coppapasta. Frullare le verdure per il gazpacho emulsionandole con un po’ olio evo, sale e pepe. Filtrare con un colino. In ciascun piatto versare tre cucchiai di gazpacho verde, appoggiare il granchio rimuovendo il coppapasta e guarnire con le puntarelle tagliate finemente e condite con limone, sale Maldon e olio.

Giannino dal 1899 via Vittor Pisani 6

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luoghi

Casa Ornella. In occasione della Design

Week 2023 Casa Ornella (così ribattezzata in omaggio a Ornella Vanoni) apre le sue porte al pubblico in via Conca del Naviglio 10, permettendo ai visitatori di immergersi in un mondo eclettico dove sono i colori a dettare le regole. La dimora riflette la visione creativa di Maria Vittoria Paggini che dissacra gli stilemi convenzionali sia della casa privata che dello spazio espositivo, fondendoli in un connubio di potenzialità, oggetti e ispirazioni. Nasce così un luogo da vivere e condividere con i designer, gli artisti, gli stilisti e i liberi pensatori che amano sperimentare, inventare e creare ciò che è nuovo, in una stratificazione di ispirazione e linguaggi. Il progetto di interiors a firma della designer diviene così wunderkammer contemporanea.

luoghi

Innocenti Evasioni. Il ristorante di proprietà dello chef Tommaso Arrigoni, inaugurato nel 1998 e insignito di stella Michelin da quattordici anni, cambia indirizzo. La nuova sede – a venticinque anni esatti dalla fondazione – ha da poco aperto al pubblico in via Candiani 66, nel quartiere Bovisa, proprio accanto al Politecnico, segnando l’inizio di una nuova era per uno dei ristoranti che ha fatto storia in città. La location è una destinazione contemporanea, luminosa e circondata da grandi vetrate affacciate su un ampio giardino alberato. Caratterizzato da pulizia estetica e formale, in cui il noce canaletto e la lamiera di ferro si intrecciano con eleganza, l’ambiente è impreziosito da lampadari di design e dalle opere d’arte contemporanea di Fabio Pietrantonio.

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LIBRI

Un maestro della scena. A 25 anni dalla scomparsa di Giorgio Strehler, la grandezza delle donne che hanno lavorato e condiviso il palcoscenico con lui permea il nuovo volume di Stella Casiraghi, Strehler interpreta le donne. Voci e volti femminili del teatro di Giorgio Strehler. Edito da Skira in collaborazione con il Piccolo Teatro, il libro è un album della memoria con una tesi di fondo: la forza del maestro era anche e soprattutto la forza delle “sue” donne. In foto Strehler e Mariangela Melato nel 1979. Foto di Luigi Ciminaghi.

CULTURA

Motore di modernità.

Il Vittoriale si prepara a farsi palcoscenico dell’edizione pilota del Festival GardaLo!, il primo festival culturale della sponda lombarda del Lago di Garda, al via a Gardone Riviera dal 24 al 26 giugno. Un appuntamento che arricchisce l’offerta culturale, diventando un vero e proprio momento atteso all’interno del calendario estivo. Quattro percorsi tematici per oltre venti incontri tra conferenze, spettacoli, dialoghi a confronto per discutere a tuttotondo della contemporaneità.

MUSICA

Sonorità rivoluzionarie. Esce

il 14 aprile per BMG Elvis, il nuovo album dei Baustelle che, per la band, rappresenta il ritorno nello spirito e nella forma al rock. Francesco Bianconi, Claudio Brasini e Rachele Bastreghi presentano un lavoro che tocca territori mai esplorati prima, su una matrice fatta di strutture blues, soul, rock and roll, boogie. Il primo singolo estratto Milano è la metafora dell’amore restituisce una fotografia nitida dell’hinterland della città. Foto di Alessandro Treves.

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art director

via Monte Stella 2

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Luigi Bruzzone

10015 Ivrea TO direttore responsabile

collaboratori

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Caporedattore print & web

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AGF Solutions via del Tecchione 36 20098 San Giuliano Milanese MI

n.67 aprile 2023

Milano nascosta

Ponte Alda Merini. Di fronte a quella che è stata la sua casa, in Ripa di Porta Ticinese, è posta una targa in memoria di Alda Merini, a cui (dal novembre 2019) è dedicato il ponte sul Naviglio Grande all’altezza di via Corsico. Più volte ricostruito, oggi si presenta in cemento armato con una tipica forma ad arco realizzata negli anni Trenta del Novecento. Dalla sua sommità si ha una vista bellissima del canale e delle caratteristiche case di ringhiera circostanti. Soggetto a diventare teatro di eventi contemporanei come tanti angoli dei Navigli e della vicina via Tortona, il Ponte Alda Merini sarà sede di un’istallazione luminosa dell’artista Amadama per la Design Week 2023. 82

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19 — 21.05.2023

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L’INIZIATIVA È FINANZIATA CON LE RISORSE DEL PIANO SVILUPPO E COESIONE DEL MINISTERO DEL TURISMO

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